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Covid fatigue

La seconda ondata ha tre parole chiave: test, soldi e mascherine

L’eccezione tedesca che non è un’eccezione, il compromesso di Manchester e i cechi che hanno perso il buonsenso

Micol Flammini

La Germania ha una rete di laboratori pubblico-privata che serve a non mandare in affanno il sistema dei test: è un bene che ha ereditato e che ha  saputo sfruttare. La Repubblica ceca anche aveva un grande vantaggio a marzo: l’uso capillare delle mascherine, di cui ora non vuol sentir parlare. La Gran Bretagna forse ha trovato un modo per far rispettare i lockdown locali: "Decine di milioni”

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Roma. L’Europa della seconda ondata è diversa da quella della prima, ma non è detto che sia migliore, più organizzata, più cauta, più razionale. Ci sono dei mantra che continuano a essere ripetuti: bisogna proteggersi, bisogna trovare i soldi, bisogna tamponare e tracciare. Tutte queste parole d’ordine, spesso ripetute come fosse la prima volta, tirano fuori reazioni contrastanti. Ognuno ha la sua strategia, la sua stanchezza e la sua linea di compromesso. 

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Roma. L’Europa della seconda ondata è diversa da quella della prima, ma non è detto che sia migliore, più organizzata, più cauta, più razionale. Ci sono dei mantra che continuano a essere ripetuti: bisogna proteggersi, bisogna trovare i soldi, bisogna tamponare e tracciare. Tutte queste parole d’ordine, spesso ripetute come fosse la prima volta, tirano fuori reazioni contrastanti. Ognuno ha la sua strategia, la sua stanchezza e la sua linea di compromesso. 

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I tamponi in Germania. Per aumentare la sua capacità di testare, tamponare e tracciare, la Germania ha deciso di mobilitare tutta la sua rete di laboratori: pubblici e privati. Dopo aver visto la prima ondata, in attesa della seconda, il governo federale ha quadruplicato la capacità di fare test in tutta la nazione e non avrebbe potuto farlo senza chiedere aiuto ai laboratori privati. In un’intervista al Financial Times, il presidente della rete di laboratori Alm ha detto che comunque la nazione partiva avvantaggiata, come è successo anche per il numero dei posti in terapia intensiva: c’era una “situazione speciale in Germania, storicamente abbiamo una rete di laboratori privati sparsi a livello nazionale che lavorano cooperando. Non abbiamo dovuto inventare niente di nuovo”. Circa il 90 per cento dei test (dati Ft) viene effettuato nei laboratori privati. Un’arma importante che a giugno, quando era stato scoperto il focolaio nel Nord Reno Westfalia nei macelli di proprietà della società Tönnies, ha dato l’opportunità di aumentare la rapidità e la capacità di testare: c’era bisogno di 50 mila test in più a settimana. Se la rete di laboratori già esisteva, il governo si è però occupato di espanderla, di renderla più veloce e di fornire a tutti un aiuto finanziario, così i laboratori hanno iniziato a coordinarsi con le strutture sanitarie locali e a rispettare le linee guida dell’Istituto Robert Koch e del ministero della Salute. Se la Germania ha potuto evitare che la necessità di testare creasse, come scrive il giornale britannico, “un collo di bottiglia”, è anche perché c’è stato l’impulso a far sì che pubblico e privato agissero insieme, anche per quanto riguarda gli approvvigionamenti dei reagenti o la manutenzione dei macchinari. L’istituto Koch ha avvertito che sono queste le settimane in cui i laboratori potrebbero avere dei problemi, c’è un aumento della richiesta dei tamponi in tutto il mondo, e questo potrebbe rallentare la fornitura dei reagenti o delle macchine. Ma non c’è motivo secondo il governo di dare la precedenza ai laboratori pubblici: “La nostra esperienza, ha detto il ministro della Salute Spahn, è che nel momento in cui lo stato interferisce in queste catene di approvvigionamento è più un ostacolo che un aiuto”. 

 

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Soldi per Manchester. La scorsa settimana il sindaco laburista di Manchester, Andy Burnham, aveva detto che avrebbe combattuto contro le restrizioni che il premier Boris Johnson vuole imporre in alcune zone. Si tratta di un piano a più fasi, che prevede la chiusura delle città più a rischio. Burnham aveva giurato che avrebbe portato avanti la sua battaglia a nome di tutti gli altri sindaci, perché chiudere avrebbe rappresentato un rischio troppo alto per l’economia di Manchester, quindi niente lockdown. Nel fine settimana, il cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, che spesso ha rappresentato il buon senso che mancava al governo durante la pandemia, ha detto che “se saranno necessari più soldi” per ottenere un accordo con Burnham, non si dirà di no. Ha detto che è pronto a versare “decine di milioni”. Dopo giorni di guerre e minacce e dopo l’annuncio del cancelliere, il sindaco di Manchester ha ospitato nel suo ufficio Edward Lister, uno dei consiglieri di Johnson. Burnham ha detto che il colloquio è stato costruttivo, ma ancora non c’è un accordo; poi ha scritto al premier e agli altri leader conservatori suggerendo che voleva più di un semplice accordo finanziario per Manchester, e che c’è bisogno di una politica nazionale per  sostenere i blocchi locali, piuttosto che negoziare diversi pacchetti regionali. Di fronte alle nuove chiusure, che ovunque saranno più locali che nazionali, i compromessi sembrano essere spesso la chiave di tutto, anche per il ritorno della responsabilità. 

 

Mascherine ceche. A marzo, Petr Ludwig era tornato da New York a Praga in aereo, ed era l’unico a indossare la mascherina durante il volo. L’Europa era già alle prese con la pandemia, l’Oms ancora non aveva raccomandato l’uso della mascherina per proteggersi dal virus, ma Ludwig, che è uno scienziato, aveva pubblicato un video su YouTube per dire perché fosse importante proteggersi naso e bocca, perché la semplice mascherina rappresentasse una delle armi più importanti durante la pandemia. Il video, ne esistono una versione in ceco e una in inglese, pubblicato a metà marzo, è stato visto da moltissime persone e i cechi sono stati tra i primi a mettere la mascherina ovunque, in spazi chiusi e aperti. Il premier, Andrej Babis, che  aveva introdotto subito il lockdown, aveva quindi messo anche l’obbligo di mascherina, un obbligo che  i suoi cittadini si erano già imposti da soli. La richiesta di mascherine a Praga era talmente elevata che i cechi si sono messi a cucirle e a ridistribuirle ovunque ce ne fosse bisogno. L’importante era che ciascuno avesse una mascherina per uscire. La Repubblica ceca è venuta  fuori dalla prima ondata prima di tutti (con Austria e Danimarca), e aveva anche festeggiato il suo ritorno alla normalità con una festa a cui erano invitati tutti i cittadini a Praga. Babis era talmente entusiasta del successo della sua gestione che aveva anche consigliato al presidente americano Trump di provare a sconfiggere il virus alla maniera ceca: “Indossare una semplice maschera di stoffa diminuisce la diffusione del virus dell’80 per cento...Dio benedica l’America!”, aveva scritto su Twitter. Dopo i mesi estivi, con la caduta di ogni obbligo per le strade della nazione, la Repubblica ceca si trova ad affrontare il ritorno del virus con pochissima preparazione. Il sistema sanitario è fragile, la stanchezza da pandemia è arrivata anche lì e ha preso il posto dell’orgoglio per il modello ceco. Babis si è trovato a dover reintrodurre alcune restrizioni, ma sembra riluttante a parlare di mascherine. Per Ludwig è colpa della mentalità da populista: ha consigliato di proteggersi quando tutti erano pronti a farlo e non vuole più consigliarlo ora che la gente non vuol più sentir parlare di protezione. Nel fine settimana ci sono state delle manifestazioni contro il lockdown e contro la mascherina. La nazione più pro mask d’Europa si è trasformata e, nonostante i contagiati superino gli undici mila al giorno, il governo non vuole più tornare indietro. 

 

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