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Il romanzo popolare della spagnolissima Madrid dai toni catalani

Guido De Franceschi

La Ayuso, presidente della Regione, cerca di rubare la scena a Casado, leader del Pp, nella lotta contro il governo e il virus

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Milano. Dopo settimane di guerriglia verbale, mediatica e giudiziaria contro le decisioni del governo spagnolo sulle misure per contenere il Covid-19, la presidente di centrodestra della Regione di Madrid, la popolare Isabel Díaz Ayuso, si comporta da nuovo capo dell’opposizione al premier socialista Pedro Sánchez. Mentre il contagio si diffonde di nuovo in tutto il paese, e soprattutto nella capitale, il governo, in accordo con la maggioranza delle amministrazioni regionali, ha deciso di adottare severe misure di chiusura laddove i numeri dei positivi e degli ospedalizzati superino una certa quota. La Ayuso avrebbe preferito invece una geometria variabile di chiusure più light, parcellizzando le decisioni quartiere per quartiere e via per via, con un metodo di contenimento che non convince il ministero della Salute. Con l’impugnazione delle decisioni nazionali presso il tribunale regionale, le lamentele per l’imposizione da parte del governo di uno stato di allarme a Madrid e in altri comuni limitrofi, e i proclami sull’autoritarismo del governo rosso che calpesta la libertà dei madrileñi (“Ci hanno imposto a mano armata lo stato di allarme”), la Ayuso ha conquistato l’attenzione mediatica e poi, con un’intervista al Financial Times, ha “internazionalizzato” la sua ascesa.

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Milano. Dopo settimane di guerriglia verbale, mediatica e giudiziaria contro le decisioni del governo spagnolo sulle misure per contenere il Covid-19, la presidente di centrodestra della Regione di Madrid, la popolare Isabel Díaz Ayuso, si comporta da nuovo capo dell’opposizione al premier socialista Pedro Sánchez. Mentre il contagio si diffonde di nuovo in tutto il paese, e soprattutto nella capitale, il governo, in accordo con la maggioranza delle amministrazioni regionali, ha deciso di adottare severe misure di chiusura laddove i numeri dei positivi e degli ospedalizzati superino una certa quota. La Ayuso avrebbe preferito invece una geometria variabile di chiusure più light, parcellizzando le decisioni quartiere per quartiere e via per via, con un metodo di contenimento che non convince il ministero della Salute. Con l’impugnazione delle decisioni nazionali presso il tribunale regionale, le lamentele per l’imposizione da parte del governo di uno stato di allarme a Madrid e in altri comuni limitrofi, e i proclami sull’autoritarismo del governo rosso che calpesta la libertà dei madrileñi (“Ci hanno imposto a mano armata lo stato di allarme”), la Ayuso ha conquistato l’attenzione mediatica e poi, con un’intervista al Financial Times, ha “internazionalizzato” la sua ascesa.

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Intanto, il vero capo dell’opposizione, il leader del Partito popolare (Pp) Pablo Casado, per coprire le spalle della Ayuso, che proprio lui ha voluto come candidata a Madrid, è costretto nel ruolo di suo corista e ne ripete le parole. Gli esperti del romanzo popolare, e cioè del confronto fra le diverse anime che compongono il Pp, si domandano se il protagonismo della Ayuso sia un tentativo velleitario oppure no. Ed evocano, come “precedente”, Esperanza Aguirre, della quale la Ayuso, che ha quarantadue anni e una carriera politica senza incarichi di rilievo, è stata una collaboratrice (è nota per essere stata la social media manager del profilo Twitter di Pecas, il cane della Aguirre: “Mi chiamo Pecas e vivo a Malasaña con una vera madrileña bionda. Incontrollabile. Liberale. Seduttore”).

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Quel capitolo del romanzo popolare iniziava così: “C’era una volta, alla presidenza della Regione di Madrid, Esperanza Aguirre”. In quegli stessi anni lontani, a capo dell’opposizione al governo socialista di José Luis Rodríguez Zapatero, c’era Mariano Rajoy. Sia la Aguirre che Rajoy facevano parte del Pp. Ma, mentre don Mariano, sembrava poco efficace nel contrastare Zapatero a causa del suo temperamento quietista da notaio galiziano, doña Esperanza, definendosi “liberale” ma manifestandosi come esponente di una destra senza complessi, rubava la scena, nel day by day mediatico, sia a Zapatero sia a Rajoy. Sappiamo com’è andata a finire. Le parole della Aguirre incontravano endorsement entusiasti sui giornali, nelle tv e nelle radio d’area, ma tutti i suoi tentativi di scalata al Pp sono poi falliti e doña Esperanza, dopo aver perso la corsa a sindaco di Madrid contro la candidata di sinistra-sinistra Manuela Carmena, è poi rimasta nelle retrovie. Rajoy, invece, dopo una lunga attività di leader dell’opposizione, in cui ha navigato, inaffondabile, tra continue critiche da parte dei mezzi di informazione (anche quelli teoricamente “amici”) che rimarcavano quanto fosse sfocato e incolore e che lo ritraevano come un loser professionale, ha finalmente vinto le elezioni del 2011 e ha poi governato per sette anni. In effetti, sembra ora di assistere alla ripetizione dello stesso schema fatto di quattro elementi: uomo di sinistra al governo; uomo di centrodestra apparentemente fiacco a capo dell’opposizione; donna di centrodestra outspoken e incline a una propaganda aggressiva a capo della Regione di Madrid; sovrarappresentazione mediatica di quest’ultima, creata da una torma di tertulianos (la versione spagnolerrima degli opinionisti da talk show) della destra madrileña. Perché in effetti si tratta, anche in questo caso, di un fenomeno molto madrileño che cerca di diventare nazionale.

 

Infatti, assai più che in altre zone della Spagna in cui pure il dominio politico dei popolari è storicamente più radicato e numericamente più rilevante, nella capitale e in alcune porzioni della sua cintura suburbana gli amministratori avvertono molto la pressione esercitata da una rumorosa opinione pubblica di destra-destra. Si tratta di un blocco sociale composito, in cui si mescolano istanze conservatrici da quartieri alti (la cui rappresentazione politica, dopo una forte sbandata a favore del movimento Ciudadanos sembra riconfluire nelle mani del Pp) e tentazioni di marca più trucista (intercettate negli ultimi anni dal partito ultrà Vox). Le parole d’ordine spesso taglienti che circolano in questo mondo della destra disinibita, trovano dapprima una efficace cassa di risonanza nei potenti media locali di centrodestra, ma poi, riescono spesso a far sentire il loro eco anche sui giornali e nelle tv nazionali, grazie magari a qualche dichiarazione dell’ex premier José María Aznar, che, pur avendo costruito la sua carriera prendendo voti al centro, da pensionato si è poi trasformato nel nume tutelare di ogni politico spagnolo che sogni il trionfo di una destra più identitaria.

Nella vicenda Ayuso-Casado-Sánchez ci sono però due varianti rispetto alla vicenda di Aguirre-Rajoy-Zapatero. La prima è che, almeno per ora, la Ayuso e Casado (che peraltro ha un profilo più da falco di quello che mostrava Rajoy), sembrano andare d’accordo – e questo, nel Pp, rasserena gli animi. La seconda è che Vox fa una feroce concorrenza a destra che ai tempi di Aguirre & Rajoy non esisteva – e questo, nel Pp, gli animi li esacerba. In più, sembra che questa bega regionale madrileña ricalchi quasi – in una parodia grottesca, visto che si parla della spagnolissima capitale – gli stessi toni rivendicativi dei separatisti catalani. Al punto che un giornale satirico, El jueves, ha messo in copertina una Ayuso idrofoba che brucia una bandiera spagnola, sventola il vessillo di Madrid e scandisce: “¡In-de-pen-den-cia!”. Se perfino questo scontro sinistra/destra innescato dal Covid-19 dovesse diventare, come pare che stia diventando, un’incredibile battaglia centro-periferia tra Madrid (come governo nazionale liberticida) e Madrid (come governo regionale in cerca di libertà dall’oppressione), e quindi se persino la capitale si infettasse dell’altro virus iberico per il quale non si è mai trovata neppure una cura, e cioè quello che turba gli assetti territoriali del paese, la già difficile convivenza politica delle molte Spagne diventerebbe ancora più complicata.

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