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Miles Yu, il falco di Pompeo

Giulia Pompili

L’“inestimabile” consigliere del segretario di stato che alimenta il “red scare” anti cinese di Trump

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Roma. Quando una settimana fa il segretario di stato americano, Mike Pompeo, ha pronunciato il suo discorso molto duro contro la Cina alla Nixon Library – un discorso “antidiplomatico”, come lo ha definito sul Washington Post il presidente del Council on Foreign Relations Richard Haass – tutti sapevano chi ci fosse dietro a quelle parole. Miles Yu, cinquantasette anni, docente di Storia militare all’Accademia navale degli Stati Uniti, è oggi il consigliere più fidato di Pompeo. Si occupa di Cina al settimo piano del dipartimento di stato, negli uffici del Policy Planning Staff diretto da Peter Berkowitz, un ufficio d’analisi istituito da George Marshall nel 1947 e diventato influente sotto la direzione di George Frost Kennan, il padre della politica del contenimento contro l’Unione sovietica. Maochun “Miles” Yu oggi è considerato un “tesoro nazionale”, perché conosce la Cina ed è parte integrante del fronte anticinese di Washington. Non a caso Matt Pottinger, viceconsigliere per la Sicurezza nazionale del presidente Donald Trump, e uno dei falchi più influenti della Casa Bianca – è suo il primo discorso di un funzionario dell’Amministrazione americana pronunciato in mandarino, rivolto direttamente ai cittadini cinesi – dice di lui: “E’ una risorsa inestimabile”.

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Roma. Quando una settimana fa il segretario di stato americano, Mike Pompeo, ha pronunciato il suo discorso molto duro contro la Cina alla Nixon Library – un discorso “antidiplomatico”, come lo ha definito sul Washington Post il presidente del Council on Foreign Relations Richard Haass – tutti sapevano chi ci fosse dietro a quelle parole. Miles Yu, cinquantasette anni, docente di Storia militare all’Accademia navale degli Stati Uniti, è oggi il consigliere più fidato di Pompeo. Si occupa di Cina al settimo piano del dipartimento di stato, negli uffici del Policy Planning Staff diretto da Peter Berkowitz, un ufficio d’analisi istituito da George Marshall nel 1947 e diventato influente sotto la direzione di George Frost Kennan, il padre della politica del contenimento contro l’Unione sovietica. Maochun “Miles” Yu oggi è considerato un “tesoro nazionale”, perché conosce la Cina ed è parte integrante del fronte anticinese di Washington. Non a caso Matt Pottinger, viceconsigliere per la Sicurezza nazionale del presidente Donald Trump, e uno dei falchi più influenti della Casa Bianca – è suo il primo discorso di un funzionario dell’Amministrazione americana pronunciato in mandarino, rivolto direttamente ai cittadini cinesi – dice di lui: “E’ una risorsa inestimabile”.

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“La sua esperienza maturata sotto il totalitarismo lo ha reso uno dei suoi nemici più potenti”, dice Pottinger. Miles Yu è cresciuto a Chongqing e si è laureato alla Nankai University di Tianjin. Poi, nel 1983, si è trasferito negli Stati Uniti, a Berkeley, per un dottorato in Storia militare. Poco dopo c’è stato il massacro di piazza Tian’anmen: “Se Ronald Reagan ha ispirato il mio trasferimento in America”, ha detto Yu al Washington Times, “le proteste di piazza Tian’anmen del 1989 mi hanno riconsegnato una speranza di libertà per la Cina. E mi hanno trasformato da studente secchione a sostenitore dei manifestanti”. Negli anni successivi, a Berkeley, Yu ha ospitato diversi dissidenti cinesi e docenti critici nei confronti del Partito comunista cinese.

 

Considerato un autorevole analista, dai suoi libri, dai suoi discorsi e soprattutto dalla rubrica “Inside China” che firmava sul Washington Times – un quotidiano conservatore noto per le teorie complottiste, comprese le ultime sul virus come arma biologica cinese – si intuisce perfettamente la sua posizione anti Pechino: è contrario al dialogo, alle “sottigliezze diplomatiche” e ai messaggi poco chiari che secondo lui, finora, hanno caratterizzato i rapporti con Pechino. È così che nel giugno del 2019 è arrivata la chiamata al dipartimento di stato: insieme con Dave Stilwell, assistente del segretario di stato per gli Affari asiatici ed esperto militare di Corea e Giappone, Miles Yu è stato reclutato per costituire un team definito “realista” sulla Cina. Citato per la prima volta nel 2017 dall’allora consigliere per la Sicurezza H. R. McMaster, il “principio di realismo” sulla Cina – lo racconta Michael Auslin su Foreign Policy – è entrato nel maggio di quest’anno nel documento ufficiale sulla Strategia della sicurezza nazionale americana.

   

Miles Yu è di origini cinesi e quindi, nel “red scare” che sta montando in America, è legittimato a parlare. In Cina è considerato un traditore, uno di quei cinesi che studiano in America e mollano la patria per fare gli interessi americani. In un video pubblicato su Twitter dall’editore cinese Bau Pu, si vede un uomo che armato di martello cancella il nome di Maochun Yu dalla stele con i nomi degli alumni della scuola di Chongqing. Perfino Hu Xijin, direttore del tabloid cinese Global Times, in uno dei suoi video dice: “È un uomo che ha abbandonato la Cina a vent’anni e ha mancato i fondamentali anni formativi di socialismo con le caratteristiche cinesi”. E poi non torna in Cina da tempo, quindi non ha l’esperienza per parlare di Cina. “L’atteggiamento negativo e persino ostile di Yu nei confronti del Partito comunista cinese è estremo: spera di vedere la caduta del Partito. Ma come consulente politico ha idee preconcette che indurranno gli Stati Uniti a fare una stima errata delle relazioni tra il Partito e il popolo cinese”, si legge in un editoriale del Global Times di qualche giorno fa.

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“Il discorso di Pompeo, la politica sulla Cina del dipartimento di stato, è parte di un insieme”, dice al Foglio Giulio Pugliese, associate fellow per l’Asia-Pacifico all’Istituto affari internazionali. “Va letto insieme a quelli di William Pelham Barr del dipartimento di giustizia, di Christopher Wray, direttore dell’Fbi, e di Robert O’Brien”, il consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump che di recente, insieme con il suo vice Pottinger, ha fatto un tour europeo anti Cina (subito dopo è stato trovato positivo al Covid-19). “Di fatto c’è un martellamento concertato sul montare ad arte la minaccia cinese per fini interni, per influenzare l’opinione pubblica sulla linea radicale del governo, e di propaganda esterna”. In questo contesto, il timore è che il problema cinese – un problema reale che abbiamo imparato a conoscere – secondo diversi analisti verrà usato dai falchi in chiave elettorale, senza però sortire alcun risultato dal punto di vista dello stato di diritto e dei diritti umani. Hong Kong ne è un esempio.

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