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Bye bye Huawei

Giulia Pompili

Il Regno Unito adesso non vuole più le aziende cinesi per il suo 5G. Una vittoria per i falchi americani

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“Il modo migliore per proteggere le nostre reti è che gli operatori smettano di usare le apparecchiature Huawei per costruire le future reti 5G del Regno Unito”, ha detto ieri alla Camera dei comuni Oliver Dowden, ministro per la Cultura e il Digitale inglese, in un discorso molto atteso che segna un cambio di passo definitivo nel rapporto tra economia e diplomazia, tra Cina e resto del mondo.

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“Il modo migliore per proteggere le nostre reti è che gli operatori smettano di usare le apparecchiature Huawei per costruire le future reti 5G del Regno Unito”, ha detto ieri alla Camera dei comuni Oliver Dowden, ministro per la Cultura e il Digitale inglese, in un discorso molto atteso che segna un cambio di passo definitivo nel rapporto tra economia e diplomazia, tra Cina e resto del mondo.

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Il governo di Boris Johnson ha reso ufficiale una decisione che inverte completamente la rotta rispetto a sei mesi fa, quando aveva annunciato di non voler applicare alcun divieto sulla tecnologia cinese. Dopo mesi di pressioni, sia interne sia esterne, il Regno Unito ha scelto di seguire la linea americana e di escludere il colosso delle telecomunicazioni cinese dalla costruzione dell’infrastruttura del futuro, il 5G. 

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Secondo il calendario spiegato da Dowden, a partire dal 31 dicembre le aziende inglesi non potranno più acquistare apparecchiature Huawei, e si andrà avanti a tappe forzate fino all’esclusione totale dell’azienda cinese dal Regno Unito entro il 2027, “con un percorso irreversibile implementato al momento delle prossime elezioni”.

 

La politica prevale sul mercato, e prende una decisione durissima per il colosso cinese e per l’intero sistema d’influenza di Pechino all’estero. Tanto che, poche ore prima del discorso di Dowden a Westminster, secondo varie indiscrezioni della stampa, il presidente di Huawei UK, Lord Browne, ex ceo di Bp, uno dei manager più importanti e influenti del Regno Unito, avrebbe annunciato le sue dimissioni nel giro di un mese.

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Sin dall’introduzione della nuova legge sulla sicurezza a Hong Kong – che vìola di fatto il trattato del 1997, quello con cui l’ex colonia inglese è passata sotto la giurisdizione cinese ma con la garanzia che restasse autonoma fino al 2047 – Londra ha preso una posizione molto dura contro Pechino. Ma non c’è solo questo. L’Amministrazione americana di Donald Trump, soprattutto sulle questioni tecnologiche, sta ponendo ai suoi alleati tradizionali un out out: se usate Huawei, non potete parlare con noi. Il Five Eyes, il consorzio d’intelligence che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti, ha bisogno di una rete sicura e indipendente, e Dowden ha detto in Parlamento che i Cinque occhi stanno già pensando a delle “alternative” per escludere le aziende a rischio.

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Il primo a commentare la decisione inglese è stato non a caso il consigliere per la Sicurezza nazionale Robert O’Brien, che in questi giorni è a Parigi con il suo vice e falco anticinese, Matthew Pottinger, per incontrare i rappresentanti dei governi di Francia, Germania, Regno Unito e Italia. “La decisione di Londra corrisponde a un crescente consenso internazionale sul fatto che Huawei e altre aziende rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale, perché restano fedeli al Partito comunista cinese”, ha detto O’Brien, che dovrebbe incontrare domani il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i suoi stretti collaboratori (tra cui Carlo Massagli, consigliere militare di Palazzo Chigi che si occupa di questioni strategiche e d’intelligence con una certa autonomia).

 

Come confermato al Foglio martedì scorso da Enrico Borghi, deputato Pd e membro del Copasir, il governo italiano, che fino a poche settimane fa era su una posizione un po’ ambigua tra America e Cina, ha iniziato a prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di una esclusione dei colossi telco cinesi. Le resistenze arrivavano soprattutto dal Movimento cinque stelle, i cui esponenti da due anni presenziano a ogni iniziativa di Huawei e Zte in Italia.

 

Addirittura il 7 febbraio del 2019 il Mise guidato da Luigi Di Maio aveva frettolosamente smentito alcune indiscrezioni della stampa su un possibile blocco di Huawei dal 5G italiano. Ora perfino Di Maio – convocato a colloquio dall’ambasciatore americano Lewis Eisenberg la scorsa settimana – sembra capitolare su posizioni più atlantiste. La preoccupazione dal lato cinese è dimostrata dal comunicato diffuso ieri da Huawei Italia, che parla di una “deludente decisione inglese” e si aspetta che “il governo italiano prosegua il suo processo di digitalizzazione sulla base di criteri di sicurezza obiettivi, indipendenti e trasparenti per tutti i fornitori, preservando la diversità e la concorrenza nel mercato”. Ma è ormai chiaro che il mercato non c’entra più, in questa partita tutta politica.

 

Se c’è una cosa che Pechino teme, adesso, è che la decisione di Londra, unita al crescente attivismo americano con gli alleati europei, possa provocare una serie di reazioni simili da parte di altri paesi. Anzitutto la Germania, velatamente accusata dai falchi anticinesi di non aver preso una posizione sufficientemente ostile nei confronti di Pechino. Ieri il candidato alla leadership della Cdu e presidente della commissione per gli affari esteri del Bundestag, Norbert Röttgen , ha scritto su Twitter che la decisione inglese “è un’importante lezione per la decisione tedesca.

 

Sottolinea giustamente che laddove è coinvolta la tecnologia più moderna, i problemi di economia e della sicurezza non possono essere trattati separatamente”. Una settimana fa Guillaume Poupard, capo dell’agenzia di cybersicurezza francese, aveva detto che “non ci sarà un blocco totale” in Francia ma che per la costruzione dell’infrastruttura 5G saranno agevolate quelle aziende che fanno a meno delle apparecchiature cinesi. Pur avendo preso posizioni più deboli su questo piano, secondo Reuters, Germania e Francia sono i due paesi che hanno più fatto pressioni affinché l’Unione europea prenda presto provvedimenti concreti contro la Cina sulla questione Hong Kong.

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