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L’ora dei cattivi

Daniele Raineri, Giulia Pompili, Micòl Flammini

I governi ostili all’occidente sfruttano questa crisi da coronavirus. Noi siamo disorientati, per loro è un’occasione d’oro. Dalla propaganda cinese al greggio

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Ci illudiamo che i governi ostili che hanno dei conti da regolare con l’occidente abbiano dichiarato una tregua a causa del coronavirus ma, come in tanti altri campi, ci stiamo sbagliando anche su questo. C’è un detto inglese che riassume bene la situazione: “Never waste a good crisis”, non si spreca mai una bella crisi e Cina, Russia, Iran, sauditi e il resto dell’assortimento che vorrebbe un occidente più debole non se lo sono fatto ripetere due volte. Hanno visioni strategiche a lungo termine, hanno strutture che si occupano di queste cose a tempo pieno, hanno la spregiudicatezza e le capacità per aggredire, per adattarsi a quello che succede e per prendere l’iniziativa. La pandemia globale sarà un grosso problema anche per loro, ma anche l’occasione per qualche colpo bene assestato contro i poteri egemoni che detestano. Nella notte tra domenica e lunedì un attacco di hacker non meglio identificati ha preso di mira il dipartimento americano (fonte: Bloomberg) che si occupa delle risorse della sanità – e quindi in questi giorni si occupa della risposta nazionale all’emergenza pandemia. Il governo americano pensa che sia stato un “foreign hostile actor” e che lo scopo fosse rallentare le operazioni per reagire al contagio, che in America stanno partendo in questi giorni con un grande ritardo. Così, ci scopriamo un po’ più esposti e non soltanto agli infetti asintomatici. Mentre le democrazie occidentali sono impacciate e si muovono con lentezza e si chiedono se sia giusto sospendere il voto (le municipali francesi di domenica, le primarie dei democratici di oggi) perché va bene che è il momento più sacro del patto fra cittadini e stato ma è in corso una crisi sanitaria senza precedenti nella storia recente. Mentre il presidente francese va all’Opéra di Parigi ma pochi giorni dopo annuncia restrizioni in tutto il paese. Mentre il premier inglese Johnson ha le mani occupate con una scommessa suicida che riguarda l’immunità di gregge. Mentre succede tutto questo, i foreign hostile actor, che nello stato di semi-crisi ci sguazzano da sempre, sono più veloci a reagire e considerano questa situazione come una chance da sfruttare. Chi guarda le notizie in questi giorni vede che il presidente americano Donald Trump voleva che la Germania gli cedesse in segreto le sue ricerche promettenti su un vaccino anti Covid così che lui potesse renderlo disponibile “ma soltanto agli americani”. E vede gli aerei atterrare dalla Cina in Italia carichi di materiale medico, con una esibizione calcolata di “soft power” che è andata dritta al cuore di molti italiani. Poteva esserci un confronto peggiore? Qui di seguito vediamo meglio alcune notizie degli ultimi dieci giorni che sembrano arrivate in ordine casuale – e invece no.

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Ci illudiamo che i governi ostili che hanno dei conti da regolare con l’occidente abbiano dichiarato una tregua a causa del coronavirus ma, come in tanti altri campi, ci stiamo sbagliando anche su questo. C’è un detto inglese che riassume bene la situazione: “Never waste a good crisis”, non si spreca mai una bella crisi e Cina, Russia, Iran, sauditi e il resto dell’assortimento che vorrebbe un occidente più debole non se lo sono fatto ripetere due volte. Hanno visioni strategiche a lungo termine, hanno strutture che si occupano di queste cose a tempo pieno, hanno la spregiudicatezza e le capacità per aggredire, per adattarsi a quello che succede e per prendere l’iniziativa. La pandemia globale sarà un grosso problema anche per loro, ma anche l’occasione per qualche colpo bene assestato contro i poteri egemoni che detestano. Nella notte tra domenica e lunedì un attacco di hacker non meglio identificati ha preso di mira il dipartimento americano (fonte: Bloomberg) che si occupa delle risorse della sanità – e quindi in questi giorni si occupa della risposta nazionale all’emergenza pandemia. Il governo americano pensa che sia stato un “foreign hostile actor” e che lo scopo fosse rallentare le operazioni per reagire al contagio, che in America stanno partendo in questi giorni con un grande ritardo. Così, ci scopriamo un po’ più esposti e non soltanto agli infetti asintomatici. Mentre le democrazie occidentali sono impacciate e si muovono con lentezza e si chiedono se sia giusto sospendere il voto (le municipali francesi di domenica, le primarie dei democratici di oggi) perché va bene che è il momento più sacro del patto fra cittadini e stato ma è in corso una crisi sanitaria senza precedenti nella storia recente. Mentre il presidente francese va all’Opéra di Parigi ma pochi giorni dopo annuncia restrizioni in tutto il paese. Mentre il premier inglese Johnson ha le mani occupate con una scommessa suicida che riguarda l’immunità di gregge. Mentre succede tutto questo, i foreign hostile actor, che nello stato di semi-crisi ci sguazzano da sempre, sono più veloci a reagire e considerano questa situazione come una chance da sfruttare. Chi guarda le notizie in questi giorni vede che il presidente americano Donald Trump voleva che la Germania gli cedesse in segreto le sue ricerche promettenti su un vaccino anti Covid così che lui potesse renderlo disponibile “ma soltanto agli americani”. E vede gli aerei atterrare dalla Cina in Italia carichi di materiale medico, con una esibizione calcolata di “soft power” che è andata dritta al cuore di molti italiani. Poteva esserci un confronto peggiore? Qui di seguito vediamo meglio alcune notizie degli ultimi dieci giorni che sembrano arrivate in ordine casuale – e invece no.

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La botta perfetta di sauditi e russi

 

La guerra del petrolio della settimana scorsa è un derivato diretto della crisi da Covid-19. Possiamo scomporla in due parti. Una riguarda i russi, che hanno visto finalmente avverarsi le condizioni per un progetto che cullavano da molto tempo – far saltare il settore dello shale oil americano. L’America come si sa negli ultimi anni ha raggiunto l’indipendenza energetica grazie a un nuovo metodo di estrazione che permette di sfruttare enormi quantità di greggio che prima non erano raggiungibili – il cosiddetto shale oil. Ma l’estrazione è più costosa del greggio normale e quindi le compagnie americane in quel settore godono di buona salute soltanto quando il prezzo si mantiene in modo ragionevole sopra una certa soglia di profitto. Quando i russi hanno visto che la crisi da virus rallentava il traffico mondiale e quindi la domanda di petrolio e che quindi il prezzo al barile stava calando, hanno rotto il patto con i sauditi – un patto che teneva alto il mercato – e hanno spinto quel prezzo verso il basso. Si tratta di un colpo duro contro gli americani e le azioni del settore shale oil hanno perso quasi la metà del loro valore, le prospettive per il futuro sono pessime. I sauditi, che dall’Amministrazione Trump sono stati favoriti e protetti in tutti i modi, hanno voltato le spalle alla richiesta americana di non far scendere troppo il prezzo e si sono messi a fare una corsa al ribasso contri i russi. Hanno ignorato che la prima visita di Trump all’estero fu un viaggio trionfale di tre giorni proprio alla casa reale dei Saud nella capitale Riad, hanno ignorato la difesa a oltranza di Trump durante lo scandalo Khashoggi – il giornalista assassinato e smembrato da sicari sauditi dentro il consolato di Istanbul, si sospetta che il mandante sia il principe erede al trono Bin Salman – sono passati sopra ai quasi quattro anni di intesa fortissima e hanno fatto scendere il prezzo del petrolio a un livello che mette fuori mercato i produttori americani. Da dicembre, quando è apparso un nuovo virus in una città della Cina centrale, a marzo, quando russi e sauditi hanno rotto un equilibrio che durava da anni e hanno travolto lo shale oil americano, sono trascorsi quattro mesi. E gran parte di questo petrolio saudita scontatissimo – sette dollari al barile persino – va ai cinesi rivali di Trump nella guerra commerciale.

 

La recita subdola della Cina

 

Negli ultimi giorni la propaganda cinese in Italia ha fatto un balzo in avanti potente. Improvvisamente si è passati dai deprecabili episodi di razzismo contro la comunità cinese in Italia all’inno nazionale cinese suonato in via Paolo Sarpi a Milano prima dell’inno nazionale italiano. Il passaggio è avvenuto dopo l’incredibile campagna di comunicazione dedicata all’aereo della China Eastern Airlines atterrato il 12 marzo scorso a Fiumicino, con a bordo alcune donazioni della Croce rossa cinese all’Italia e un team di nove medici cinesi. Il video dell’inno cinese che risuona tra i palazzi italiani in quarantena sta martellando i social network italiani e i media ufficiali cinesi, così come i meme e i fumetti dell’Italia e la Cina che sorreggono l’Italia assieme. Se da un lato bisogna certo ringraziare la Croce rossa cinese per il sostegno, c’è un altro aspetto che accompagna sempre questo genere di iniziative: ed è la politica. La strategia cinese è sempre la stessa da secoli, portata avanti oggi con estrema furbizia: individuare i punti di debolezza dell’avversario, sfruttarli, confonderlo oppure portarlo alla resa. Il governo di Pechino ha usato questa strategia con l’Italia lo scorso anno, con la firma del Memorandum d’Intesa sulla Via della Seta – allora la debolezza del governo era economica, e le promesse di investimenti cinesi un miraggio per il governo gialloverde. Oggi la strategia è applicata alla peggiore crisi sanitaria mondiale dell’èra contemporanea. Come è stato largamente dimostrato, la Cina è il paese da cui tutto ha avuto origine. Prima hanno sottovalutato il problema, poi hanno controllato la narrazione e infine hanno sfruttato la loro struttura autoritaria per contenere il contagio – e questa risposta alla fine è stato osannata perfino dall’Organizzazione mondiale della sanità. Ora però la Cina è anche il primo paese ad avere – almeno in apparenza – superato l’emergenza. Ed è in cerca di sostegno internazionale per ripulire la propria immagine e per trasformarsi in potenza responsabile, quella in grado di sconfiggere il “demonio” e di insegnarlo agli altri. Lo fa pressoché indisturbata: l’America di Donald Trump, molto meno impegnata sul fronte della politica estera, ha i suoi problemi interni da gestire. 

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Non si spreca mai una bella crisi e Cina, Russia e altri non se lo sono fatti ripetere due volte. Non c’è alcuna tregua solidale, anzi


 

L’offensiva cinese arriva in modo subdolo, prima di tutto sul piano umanitario, con aiuti destinati in primo luogo ai paesi alleati e in emergenza come l’Iran e l’Italia. Già da tempo Pechino ha riconosciuto in Luigi Di Maio l’anello debole della catena di comando del governo italiano: è lui che da ministro dello Sviluppo economico ha firmato la Via della Seta, è lui che la settimana scorsa è andato a fare la conferenza stampa in diretta degli aiuti della Croce rossa, seduto accanto all’ambasciatore cinese in Italia Li Junhua. Pechino sa che chi è in cerca di un palcoscenico direbbe qualunque cosa pur di salirci: e infatti quella conferenza stampa, gli “aiuti concreti cinesi” e le parole di Di Maio sono finiti su tutti i media italiani e cinesi. Che celebrano i commenti degli italiani sui social network – tutti del genere “Grazie Cina!”, “Siete gli unici ad aiutarci!”. In realtà il ruolo del ministro degli Esteri Di Maio è stato semplicemente quello di parlare al telefono con il suo omologo cinese Wang Yi, e assicurarsi una commessa di mille respiratori da acquistare dai nostri abituali fornitori in Cina – fornitori che erano momentaneamente fuori gioco a causa della crisi e che ora il governo di Pechino sta incentivano a riprendere le attività. Ne sia consapevolmente oppure no, Di Maio offre la sponda “istituzionale” a un’operazione che ha un profondo significato politico. E lo dimostra l’attivismo dell’ambasciata cinese in Italia e dell’ambasciatore Li, che ormai va abitualmente alla trasmissione “Agorà” in Rai e viene ospitato sui giornali come un commentatore qualsiasi , e quello del colosso delle telecomunicazioni cinese Huawei, che insieme a tablet, tute protettive e mascherine vuole offrire “la connettività di rete ad alte prestazioni” tra le strutture sanitarie. 


Gli ostili sono svegli e prendono l’iniziativa, l’Europa discute sulle mascherine e non si rende conto di avere tutti gli occhi addosso


 

Ma se uno ti ha aiutato quando ne hai avuto bisogno poi con che cuore (vuol dire: con quale determinazione politica) lo fai fuori, per esempio, dalla gara per il 5G? Sul fronte internazionale le cose non vanno meglio. Se, per ora, la nuova Cina “salvatrice del mondo” ha disposto un finanziamento da venti milioni di dollari per l’Oms, e il suo team medico di supporto è arrivato soltanto in Italia, in Iran e in Iraq – presto anche in Spagna – la propaganda all’estero sta lavorando anche per togliere dalla Cina l’immagine di “untrice” o di causa della pandemia. L’altra debolezza del mondo occidentale che conosce perfettamente la Cina è l’antiamericanismo, che unito al complottismo fa un mix micidiale. E infatti da giorni il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lijian Zhao, propone la versione del “virus che si è originato in America”. Una versione totalmente sballata e priva di prove scientifiche e che però, guardacaso, comincia a circolare parecchio.

 

La rappresaglia dell’Iran

 

Per capire come l’Iran sta sfruttando questa crisi del coronavirus c’è da tornare a gennaio, quando i social media fantasticavano su una Terza guerra mondiale che non sarebbe mai arrivata e intanto a Wuhan la curva esponenziale del contagio decollava con discrezione. L’Amministrazione Trump aveva appena autorizzato l’eliminazione con un drone del generale iraniano Qassem Suleimani a Baghdad e ci si aspettava una reazione molto aggressiva da parte dell’Iran. Le aspettative tuttavia erano mal riposte e vuote, perché il regime iraniano non ha molte chance di infliggere danni diretti all’America e infatti la rappresaglia iraniana fu una mezza farsa che non uccise nemmeno un soldato americano – le vere vittime di quella notte furono i passeggeri di un aereo di linea abbattuto per errore dagli iraniani nel loro spazio aereo. L’Iran era in uno stallo strategico: se non faceva nulla contro gli americani tradiva la sua sostanziale debolezza, se invece attaccava rischiava una escalation senza controllo contro un’Amministrazione imprevedibile. Lo stallo è durato un paio di mesi, ma ora sembra finito. 


Sui social trionfano le bufale su italiani e Cina. Trump cerca in segreto di comprare il vaccino in Germania “ma soltanto per noi”


 

Il popolo iraniano sta soffrendo in modo indicibile il contagio da coronavirus, ma da quello che succede in Iraq in questi giorni è chiaro che le Guardie della rivoluzione iraniane, che comandano le milizie, approfittano del caos per avere quella vendetta che non potevano permettersi in tempi normali. Le milizie filoiraniane in Iraq all’improvviso hanno cominciato a colpire di nuovo le basi irachene che ospitano soldati americani. E’ lo stesso tipo di attacchi che ha portato all’uccisione di Suleimani a gennaio. Si erano interrotti, ora sono ripresi. Cinque giorni fa ci sono stati tre morti americani in un bombardamento con razzi a nord di Baghdad e la stessa base è stata di nuovo colpita il giorno dopo. E quando un elicottero americano l’ha raggiunta per portare via i feriti, le milizie hanno sparato anche a quello. Cercano la rissa, si direbbe, consci che a pochi mesi dalle elezioni e con un’emergenza spinosa come il Covid-19 in casa, l’Amministrazione Trump non ha lo stesso spazio di manovra e lo stesso consenso entrambi necessari a una guerra che aveva pochi mesi fa. Ieri intanto c’è stato ancora un altro attacco.

 

E l’Europa? Disorientata

 

Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel aveva forse trovato la formula giusta la scorsa settimana. Aveva detto che per andare incontro a questa crisi “ci vuole più Europa”. E così è, così sarà, se non fosse per qualche capriccio tra paesi e le parole scomposte di qualche leader. Tocca sempre a qualcuno intervenire per recuperare gli errori degli altri e per quanto Ursula von der Leyen abbia impiegato del tempo a riconoscere che il coronavirus si stava trasformando in un affare di tutti, ora è lei la leader deputata a rimproverare, recuperare e far sentire che l’Ue c’è, si muove e prende decisioni per tutti. E’ successo con l’economia, quando la presidente della Commissione è intervenuta per recuperare al “we are not here to close spreads” di Christine Lagarde. Von der Leyen, per rispondere e far riprendere l’Ue dal momento di disorientamento, il giorno dopo ha detto: “Faremo tutto quello che è necessario per sostenere gli europei”. Il suo “whatever it takes”. Questa Ue che si guarda intorno e deve far capire ai paesi che è indispensabile ora più che mai coordinarsi e agire insieme, ha un gran da fare, soprattutto se è circondata da nazioni che sono disposte a tutto per approfittare di questa crisi, che è sanitaria ma non soltanto. 


 La Cina ha identificato in Luigi Di Maio l’anello debole. E’ lui che desidera un palcoscenico e che fa da amplificatore per i cinesi


Bruxelles non è stata sempre in grado di agire in fretta, ma ha cercato le sue risposte. Come è successo con le mascherine. Alcuni paesi avevano annunciato di voler trattenere il materiale medico in previsione di una futura crisi sanitaria. Francia e Germania sono tra questi paesi, ma la Commissione è intervenuta, ha detto di essere pronta a lanciare una procedura di infrazione contro Parigi e Berlino e domenica le mascherine, con il resto del materiale sanitario hanno ricominciato a circolare. Von der Leyen ha detto che “nessuno può produrre da solo ciò di cui ha bisogno”. Quel che trema in questi giorni sono alcuni dei princìpi stessi sui quali è fondato il progetto europeo, libertà di circolazione di merci, servizi, capitali e persone. E dopo aver messo un punto alla questione delle mascherine, la notizia della chiusura dei confini da parte di molti dei paesi membri ha costretto ancora una volta l’Ue a intervenire. La Commissione si è espressa per dire agli stati di agire con giudizio nell’imporre restrizioni di movimento tra i confini europei, quei confini che sono di tutti. Una prova durissima per la solidarietà europea. Ieri ha pubblicato le sue linee guida, quattro pagine, in cui la Commissione ammette di non essere riuscita a dissuadere gli altri paesi dall’imporre maggiori controlli alle frontiere interne. Le nazioni faranno come vogliono, ma sono stati sollecitati a non ostacolare il mercato unico.

 

Ieri von der Leyen ha annunciato invece di volere imporre un divieto di trenta giorni per “i viaggi non essenziali” nella zona Schengen da paesi esterni. La presidente della Commissione ha detto di aver informato di questa decisione, che più che una risposta all’Ue sembra una risposta agli Stati Uniti, i leader del G7 durante una teleconferenza. “Ci vorrà tempo, sarà lunga, rimaniamo uniti”, è il messaggio che arriva dalle istituzioni europee. Domani Michel ha organizzato un altro video vertice per promuovere delle azioni coordinate in fatto di ricerca. Non è semplice riprendere l’unità europea, curarla, alimentarla nel momento in cui l’isolamento sembra essere la soluzione e nel momento in cui in alcuni paesi manca anche la solidarietà interna. In Spagna, per esempio, la Catalogna ne ha approfittato per promuovere un autoisolamento da Madrid.

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