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Così la primavera algerina ottiene le dimissioni di Bouteflika

Rolla Scolari

Dopo sette settimane di proteste e le richieste avanzate anche dall'esercito, il presidente in carica da venti anni cede. Ma per i manifestanti è solo l'inizio

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Il popolo algerino “ha dimissionato” il presidente Abdelaziz Bouteflika. Con l’aiuto dell’esercito. Soltanto sette settimane fa, l’anziano leader, 82 anni, che dal 2013, quando è stato colpito da un ictus, compare raramente in pubblico e non tiene discorsi, era pronto a candidarsi a un quinto mandato. Ha presentato ieri le sue dimissioni al presidente del Consiglio costituzionale, scatenando la gioia delle piazze, e la festa della popolazione che ovunque è scesa in strada in serata a festeggiare, con canti, cori e persino fuochi d’artificio.

    

Da metà febbraio, ogni venerdì, enormi manifestazioni pacifiche ad Algeri e nel resto del paese hanno chiesto con caparbietà l’uscita di scena del presidente, al potere da vent’anni. E il palazzo ha provato di tutto per non mollare la presa. Dopo quasi un mese di dissenso, l’11 marzo, il primo scricchiolio del regime è arrivato quando Bouteflika ha annunciato tramite una lettera che non si sarebbe ricandidato, ma che le elezioni sarebbero state posticipate dopo la convocazione di una conferenza nazionale. La proposta non ha soddisfatto la piazza, che ha rifiutato una transizione gestita dal regime stesso, e accusato il leader di aver rinunciato a un quinto mandato per allungare il quarto. Il 15 e il 22 marzo, prima e dopo la preghiera islamica del venerdì, folle sempre più imponenti hanno invaso le strade della capitale. Ed è davanti all’insistenza di un movimento senza una chiara leadership e non intaccato ancora da dinamiche di partito e religiose che il più saldo alleato del regime ha preso le distanze da Bouteflika e dal suo clan, cambiando così gli equilibri del confronto. Il generale Ahmed Gaïd Salah, nominato dallo stesso presidente, ha assestato al palazzo il primo colpo in arrivo dall’interno del sistema, richiedendo il 26 marzo l’immediata applicazione dell’articolo 102 della Costituzione che apre all’impedimento del leader. Anche questo passo non ha calmato la piazza, che tre giorni dopo è tornata a scuotere il paese manifestando sorridente, con i suoi slogan sempre più irriverenti e i suoi cartelloni sempre più artistici, le famiglie in gita e tutte le generazioni riunite: “Andatevene tutti”, hanno gridato. L’obiettivo infatti non è più da settimane soltanto la caduta del presidente, ma del suo entourage allargato formato dalla famiglia più stretta, i fratelli, ma anche i fidati uomini d’affari. E’ quello che la piazza chiama “la gang”. E proprio di “gang” ha parlato ieri il generale Gaïd Salah in un comunicato in cui ha chiesto le dimissioni immediate di Bouteflika, arrivate poco dopo.

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In un video trasmesso sulla televisione pubblica, l’anziano presidente, visibilmente affaticato, in gandoura bianca, la tunica tradizionale del Maghreb, consegna documenti al presidente del Consiglio costituzionale. Il giorno prima, il palazzo aveva fatto un ultimo estremo tentativo di prendere tempo, annunciando che Bouteflika avrebbe presentato le sue dimissioni prima del 28 aprile, il termine ufficiale del suo mandato. L’ex alleato fedele del leader, il generale Gaïd Salah, si è scagliato contro “la testardaggine, la tergiversazione e l’atteggiamento subdolo di certi individui che cercando di far perdurare la crisi e di renderla più complessa”. Questi individui, ha detto, “avrebbero come unica preoccupazione i loro stretti interessi personali”. La narrativa utilizzata dal militare è la stessa della piazza, che accusa “l’entourage” del presidente di corruzione e di essersi per decenni spartito le ricchezze e le risorse del paese, lasciando fuori una popolazione sempre più giovane, frustrata dalla crisi economica, ma anche troppo lontana anagraficamente dalle paure e dagli incubi della guerra civile degli anni Novanta per non osare scendere in piazza. “Andatevene tutti”, hanno ripetuto anche ieri sera gli algerini scesi in strada a festeggiare un risultato storico che va oltre i confini del paese: una piazza araba ha ottenuto le dimissioni di un antico leader attraverso un dissenso che si è protratto per settimane, ma che a differenza di quanto accaduto altrove nel 2011 non è stato insanguinato da scontri e violenze. Per i manifestanti, quello di ieri è soltanto un inizio: dai social ai cartelloni nelle strade, in serata si stava già organizzando una nuova manifestazione, venerdì. Il movimento chiede infatti l’uscita di scena definitiva di una vecchia guardia considerata compromessa con il regime, e la presa in carico della transizione democratica. 
 
 

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