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Trump spinge il regime change in Venezuela che i nostri populisti non si spiegano

Daniele Ranieri

La Casa Bianca ha riconosciuto il giuramento di Juan Guaidó come nuovo presidente venezuelano. Ora c’è da vedere cosa succederà

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New York. È molto probabile che oltre al sostegno pubblico dato dall’Amministrazione Trump alla svolta politica in Venezuela – dove il capo dell’opposizione Juan Guaidó si è dichiarato presidente al posto del dittatore Nicolas Maduro – ci sia anche un accordo più fattivo e discreto e contatti molto stretti fra Washington e i movimenti antigovernativi. Il presidente Donald Trump ha riconosciuto il giuramento di Guaidó come nuovo presidente del Venezuela nel giro di un’ora e ha invitato i governi occidentali a fare lo stesso.

   

   

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Ieri il vicepresidente Mike Pence aveva pubblicato un editoriale sul Wall Street Journal per dichiarare appoggio forte e incondizionato alle manifestazioni di protesta contro Maduro e alla richiesta di “libertad”, così ha scritto in spagnolo. In giro per le tv americane aveva ripetuto lo stesso concetto dell’editoriale: non pensiamo soltanto che sia una ribellione molto giusta ma anche che sia una questione di sicurezza nazionale per l’America.

 

 

Il consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, e il segretario di stato, Mike Pompeo, avevano fatto nelle settimane scorse altre dichiarazioni di incoraggiamento e di solidarietà a Guaidó, definito unico e legittimo rappresentante del popolo venezuelano perché nominato dall’Assemblea nazionale uscita dalle elezioni del 2015, che Washington considera regolari al contrario di quelle del 2017 vinte da Maduro.

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Del resto lo stesso Maduro aveva compreso molto bene l’aria che tirava e a dicembre aveva accusato Bolton di ordire un piano per ucciderlo grazie a bande di mercenari. Tutta roba non provata, ma che l’Amministrazione fosse al lavoro per un regime change è quasi scontato. A settembre il New York Times aveva pubblicato un pezzo che raccontava gli incontri tra l’Amministrazione e alcuni ufficiali dell’esercito venezuelano per preparare un golpe. Un anno prima, agosto 2017, Trump aveva parlato d’improvviso di una possibile “soluzione militare” per il Venezuela.

  

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Ora c’è da vedere cosa succederà. Mercoledì la manifestazione nel centro della capitale è stata un successo, ma il regime conserva sul paese una stretta molto forte grazie alle squadre paramilitari che soffocano con la violenza le proteste. E’ l’unica prova di efficienza di un governo e di un’ideologia populista, il chavismo, che in questi anni hanno trascinato il Venezuela ricchissimo di risorse energetiche alla crisi economica, alla superinflazione e alla fame. Potrebbe aprirsi una fase molto violenta.

    

   

Washington, che ha appena annunciato il ritiro dalla Siria infestata dallo Stato islamico “perché non possiamo occuparci dei problemi del mondo”, ha deciso un intervento mezzo idealista e mezzo concreto nel cortile di casa e ha dimenticato (per quanto?) la dottrina superisolazionista di solito associata al presidente Trump. Quello che accade in queste ore è anche un cortocircuito per i populisti italiani, ammiratori del regime venezuelano di Maduro (a cui condonano misteriosamente lo sfacelo economico che causa morti per denutrizione) e anche dell’Amministrazione Trump che però sta lavorando attivamente per rovesciare Maduro e sta rispolverando un’antica tradizione nordamericana di interferenze nel sud del continente. Se Trump è un eroe del popolo e nemico del Pensiero unico e Maduro è anch’egli un eroe del popolo e nemico del Pensiero unico, come si spiega questa contrapposizione fatale?

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