Zimbabwe, manifestanti festeggiano le dimissioni del presidente Robert Mugabe (foto LaPresse)

Mugabe si è dimesso. Lo Zimbabwe verso un cambio di regime

Enrico Cicchetti

Mentre nella capitale si festeggia, diversi osservatori si chiedono se il successore sarà Mnangagwa, il “Coccodrillo”, ex fedelissimo del presidente, accusato di “atteggiamenti sleali” e fuggito all’estero. 

Il presidente dello Zimbabwe, il 93enne Robert Mugabe, si è dimesso. "La mia decisione è volontaria e nasce dalla mia preoccupazione per il bene del popolo e il mio desiderio di assicurare una tranquilla, pacifica e non violenta transizione di potere a sostegno della sicurezza, pace e stabilità della nazione”, recita la lettera con cui l’anziano leader ha comunicato al Parlamento, come vuole la costituzione, le sue "dimissioni da presidente dello Zimbabwe con effetto immediato". Sui social network sono state diffuse immagini dei deputati che festeggiano la notizia, arrivata mentre era in corso la procedura di impeachment contro l’uomo forte del paese, al potere da 37 anni. Anche nelle strade della capitale, Harare, si celebra – “con rumore e gioia”, come scrive su Twitter un corrispondente di Bbc – la fine dell'era Mugabe: “Thank you ZDF”, si legge su alcuni cartelli sollevati dai manifestanti che ringraziano le Zimbabwe Defence Forces, l’esercito nazionale che tra lunedì 14 e martedì 15 novembre scorsi ha preso il controllo della capitale e messo ai domiciliari il presidente.   

  

 

I carri armati dell'esercito si stanno infatti spostando dal centro della capitale, testimonia un tweet di Open Parly ZW, un sito web che tiene d’occhio gli sviluppi politici nello stato dell'Africa meridionale.

L'ambasciata americana in Zimbabwe ha definito “storiche” le dimissioni di Mugabe, che salutano un'opportunità per la nazione di “prepararsi a un nuovo percorso” che porterà a elezioni libere ed eque.

   

 

E tra i commenti sui social network c’è anche quello del ministro dell'Istruzione, Jonathan Moyo, che ricorda Mugabe come un grande leader. "Sono grato di aver potuto servire il paese sotto e insieme a lui". Il presidente dimissionario, nonostante abbia governato con il pugno di ferro e abbia ridotto sul lastrico la nazione, per molti ha rappresentato il simbolo della guerra d’indipendenza dalla Gran Bretagna. Ma i giovani, che sono cresciuti conoscendo solo lui come loro presidente, non vedono l'ora che arrivi un nuovo leader.
      
Tuttavia le parole forse più ponderate sono quelle di David Coltart, politico dell’opposizione, che in queste ore si interroga sul futuro del paese: “Ringraziamo Dio per questo giorno. Abbiamo rimosso un tiranno ma non la tirannia”. Ora diversi osservatori internazionali si chiedono se il successore sarà Emmerson Mnangagwa, detto il “Coccodrillo”, ex vicepresidente ed ex fedelissimo di Mugabe, accusato di “atteggiamenti sleali” il 6 novembre scorso, licenziato e fuggito all’estero. È un segreto di pulcinella in Zimbabwe che per molti anni Mnangagwa abbia pensato di ottenere la presidenza. I veterani e una buona fetta dell’esercito lo appoggiano. Il team Lacoste, una fazione del partito di governo Zanu-PF che prende il nome dall'etichetta di abbigliamento e utilizza addirittura lo stesso simbolo del coccodrillo, dal 2015, si ritiene lavorasse per garantire a Mnangagwa la presidenza e per frustrare gli sforzi del gruppo rivale chiamato G40, che appoggiava la first lady Grace Mugabe.

   

Chiunque speri che una presidenza del “Coccodrillo” significhi la fine delle violazioni dei diritti umani nel paese potrebbe restare deluso. I suoi critici dicono che il 71enne ha le mani sporche di sangue: ai tempi della guerriglia, Mnangagwa ha combattuto nella “Crocodile gang” e di sé, in un’intervista, ha detto: "Conosci le caratteristiche di un coccodrillo? Non caccia mai fuori dall'acqua. Non va mai nei villaggi o nella boscaglia in cerca di cibo. Colpisce al momento opportuno". Secondo alcune fonti internazionali, questo potrebbe essere il momento giusto, per il Coccodrillo, di uscire allo scoperto e attaccarsi al potere.
   

Intanto anche nella non troppo lontana Uganda, il “trono” di Yoweri Kaguta Museveni, al potere dal 1986, sembra scottare: il presidente non vuole dimettersi ma il malcontento popolare sta crescendo – scrive l'International crisis group – sull’onda di un deterioramento della governance, delle prestazioni economiche e della sicurezza del paese. Anche l'Uganda rischia di scivolare in una crisi politica che potrebbe alla fine minacciarne la stabilità. È troppo presto per dire se c'è la possibilità di un effetto a catena e quindi di un'ondata di cambi di regimi. Ma per gli ultimi “dinosauri africani” rimasti al potere – Paul Biya in Camerun, Denis Sassou Nguesso in Congo e Teodoro Obiang in Guinea Equatoriale – l’inverno potrebbe essere piuttosto caldo.

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