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colpire il gas

Le sanzioni mordono l’economia della Russia, ma l’Ue deve agire sull’energia

Giampaolo Galli

Dalla vendita di idrocarburi agli europei Mosca guadagna circa un miliardo di euro al giorno, più di quanto spende per un giorno di guerra in Ucraina

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Le sanzioni occidentali alla Russia mordono eccome, ma l’Europa può fare molto di più. Pochi giorni fa persino le Nazioni Unite, di cui pure la Russia è membro con diritto di veto, hanno pubblicato un rapporto in cui si prevede una caduta del pil russo nel 2022 di oltre il 10 per cento, 14 punti in meno della previsione ante guerra. Un lavoro pubblicato su VoxEu mostra che nei primi 37 giorni di guerra gli acquisti online di beni di consumo da parte di residenti in Russia sono crollati del 50 per cento rispetto ai 37 giorni precedenti; gli acquisti dall’Ue sono a -66 per cento, quelli dagli Stati Uniti a -40 per cento e, cosa particolarmente interessante, quelli da paesi terzi a -49 per cento. La guerra sta avendo effetti anche sull’inflazione che si è impennata fino 17,8 per cento ad aprile dall’8 per cento di febbraio. Il tenore di vita dei russi sta andando a picco, molto più di quanto non sia successo, ad esempio, in Italia con il lockdown del 2020.

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Le sanzioni occidentali alla Russia mordono eccome, ma l’Europa può fare molto di più. Pochi giorni fa persino le Nazioni Unite, di cui pure la Russia è membro con diritto di veto, hanno pubblicato un rapporto in cui si prevede una caduta del pil russo nel 2022 di oltre il 10 per cento, 14 punti in meno della previsione ante guerra. Un lavoro pubblicato su VoxEu mostra che nei primi 37 giorni di guerra gli acquisti online di beni di consumo da parte di residenti in Russia sono crollati del 50 per cento rispetto ai 37 giorni precedenti; gli acquisti dall’Ue sono a -66 per cento, quelli dagli Stati Uniti a -40 per cento e, cosa particolarmente interessante, quelli da paesi terzi a -49 per cento. La guerra sta avendo effetti anche sull’inflazione che si è impennata fino 17,8 per cento ad aprile dall’8 per cento di febbraio. Il tenore di vita dei russi sta andando a picco, molto più di quanto non sia successo, ad esempio, in Italia con il lockdown del 2020.

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Come mostrano i dati, anche molte aziende di paesi che non aderiscono alle sanzioni sono restie a trattare con la Russia. La ragione è il timore di finire nel mirino delle autorità americane o europee. Peraltro la Russia rappresenta meno del 2 per cento del pil mondiale, mentre i paesi che hanno messo le sanzioni sommano a circa il 60 per cento . E questo per le aziende vuol dire che i fatturati importanti si fanno con l’Occidente, non certo con Mosca. Inoltre, gli Stati Uniti hanno sviluppato, inizialmente in funzione anti terrorismo, un sistema di intelligence che consente di individuare le transazioni in dollari con enti soggetti alle sanzioni. Come fu rivelato dal New York Times e dal Wall Street Journal, nel 2006 il Tesoro Usa e la Cia erano in grado di avere accesso alle transazioni Swift.

 

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La questione non ha nulla di misterioso ed è stata oggetto di lunghi negoziati fra Unione europea e Stati Uniti. Si concluse con un accordo nel 2010, malgrado un voto contrario del Parlamento Europeo (11 febbraio 2010), secondo cui non si tutelava a sufficienza il diritto alla privacy dei cittadini europei. In sostanza, Europol, che ormai è una vera e propria agenzia dell’Ue con oltre 1.000 addetti, è tenuto a rispondere a richieste delle autorità americane, ma solo se debitamente motivate. In ogni caso, le banche per le quali transitano pagamenti vietati dalle sanzioni vengono segnalate al dipartimento di Giustizia Usa e sono passibili di sanzioni pesantissime. Nel maggio del 2015 una banca francese, Bnp Paribas, fu sanzionata per quasi 9 miliardi di dollari per avere violato le sanzioni contro Iran e Sudan. Nessuna banca può permettersi di rischiare tanto.

 

La Federazione Russa ha vari modi per eludere il controllo delle autorità occidentali. Un modo è quello di usare l’euro anziché il dollaro per i suoi acquisti internazionali, contando sul fatto che – salvo smentita – l’Europa non è attrezzata come gli Stati Uniti per individuare e sanzionare le transazioni vietate. Può anche utilizzare banche non soggette alle sanzioni (come SberBank, la prima banca russa, o Gazprombank) per acquistare materie prime o altri input utili per le operazioni militari da paesi che non aderiscono alle sanzioni. Paesi come la Cina e l’India non hanno nessuna difficoltà a vendere alla Russia accettando in cambio pagamenti in dollari. Per alcuni prodotti la Russia può ricorrere al sempre fiorente mercato nero delle armi. Ma tutto questo non sostituisce gli acquisti dall’Occidente, sia per quantità sia per qualità. La riprova è che Putin, anche ieri nella telefonata con Draghi, continua a chiedere di mettere fine alle sanzioni.

 

Vuol dire che siamo sulla strada giusta. Ma molto di più possiamo fare, specie noi europei. Gli acquisti di gas e petrolio da parte dell’Unione europea comportano un trasferimento di risorse in valuta di circa un miliardo di dollari al giorno. E questo numero si confronta con un costo della guerra per la Russia che è stato stimato in meno di un miliardo (circa 680 milioni di dollari, secondo uno studio del Center for Economic Recovery di Londra). Ma i paesi  europei sembrano ingessati, incapaci di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia. Vista dagli Stati Uniti, ormai il principale produttore mondiale di gas e petrolio, la situazione europea appare incomprensibile.

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Non solo per gli errori del passato, ma perché si calcola che, malgrado l’orientamento fortemente ambientalista dell’amministrazione Biden, le piattaforme petrolifere in attività nel territorio degli Stati Uniti sono aumentato addirittura del 60 per cento in un anno; il miracolo di un’economia di mercato flessibile che risponde ai segnali di prezzo. In Europa stiamo ancora discutendo se dare i permessi per rimettere in attività le piattaforme esistenti. In Italia, malgrado le buone intenzioni del governo, abbiamo il famigerato Pitesai, un piano che di fatto blocca gran parte della produzione delle piattaforme esistenti e azzera le prospettive per nuove attività. E’ evidente che possiamo fare molto di più. 

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