(foto EPA)

La Russia prevede due anni di dura recessione, ma è ottimista

Federico Bosco

Con gas e petrolio che continuano a essere esportati i surplus di bilancio della Federazione russa segneranno ancora dei record. Ma non durerà per sempre. Le sanzioni stanno costringendo l’economia russa a una trasformazione che la lascerà più povera e meno moderna

Martedì il ministero dello Sviluppo economico russo ha pubblicato le previsioni macroeconomiche per il periodo 2022-25 in cui stima due anni di recessione, seguiti dalla ripresa. Quest’anno il crollo del pil sarà del -7,8 per cento, il punto più basso della forchetta stimata dalla Banca centrale russa, che prevede un crollo del pil dell’8-10 per cento. La caduta dei redditi reali potrebbe raggiungere il 6,8 per cento ed estendersi all’anno prossimo, con “un calo strutturale del reddito e della domanda dei consumatori”. I dati sull’inflazione sono in linea con la Banca centrale: 17,5 per cento nel 2022 e 6,1 nel 2023. La disoccupazione si attesterà intorno al 6,7 per cento per i prossimi due anni (nel 2021 era al 4,8). 

Complessivamente il Cremlino prevede che l’effetto delle sanzioni sulla popolazione sarà duro, ma limitato a due anni. Nel 2023 arriveranno “i primi frutti dell’adattamento dell’economia”, ipotizzando per il 2025 un ritorno a livello pre-bellico di redditi reali, consumi e disoccupazione. Sono stime ottimistiche, nonostante venga stimato un crollo del pil ben superiore al -5,3 per cento registrato nel 1998, anno del default. All’epoca la Russia si riprese rapidamente (+6,4 per cento nel 1999) grazie alle condizioni favorevoli degli anni successivi come l’aumento dei prezzi del petrolio e delle materie prime, ma quella ripresa fu spinta da riforme e un’apertura al commercio globale. Un rilancio che aveva il volto di Vladimir Putin, e che gli ha permesso di costruire quella legittimazione che, a livello internazionale, ha distrutto negli ultimi mesi

Stavolta le condizioni sono molto diverse, l’invasione dell’Ucraina ha fatto della Russia il paese più sanzionato del mondo, con Mosca che continua a perseguire l’isolamento dal mondo occidentale e globale. La Duma sta valutando il ritiro del paese dall’Organizzazione mondiale del commercio, mentre la Russia è stata esclusa dalla riunione annuale del World Economic Forum al via la settimana prossima a Davos. Nel frattempo la qualità della vita dei russi è stata messa su una traiettoria di declassamento e le promesse di “sostituzione delle importazioni” e “trasformazione dell’economia”  non convincono neanche alcuni vertici russi. Il senatore Andrey Klishas, capo del Comitato del Consiglio per la legislazione costituzionale e costruzione statale ha detto che il programma per sostituire le importazioni è “completamente fallito”. Dmitri Peskov, portavoce di Putin, lo ha smentito, riconoscendo però l’esistenza di problemi nell’attuazione della strategia.


Anche il ministro delle Finanze Anton Siluanov ha promesso che alla fine la Russia sarà in grado di resistere a qualsiasi sanzione, ammettendo però che nel breve periodo non sarà possibile superarne le conseguenze.  A suo avviso, il “corso di sviluppo” scelto dalla leadership russa non porterà all’isolamento, ma, al contrario, assicurerà la “sovranità finanziaria” del paese. A dare fiducia al Cremlino è ancora il settore energetico. Con gas e petrolio che continuano a essere esportati (a quotazioni elevate) mentre le importazioni e i consumi diminuiscono drasticamente, i surplus di bilancio della Federazione russa segneranno ancora dei record, nonostante i volumi di energia siano minori rispetto al passato e venduti a prezzi inferiori alla media di mercato. Ciò permette a Putin di vantarsi per il recupero del rublo, e definire “suicidio economico” l’idea di rifiutare l’energia russa. 

Non durerà per sempre. Le sanzioni stanno costringendo l’economia russa a una trasformazione che la lascerà più povera e meno moderna, e non dovranno passare due anni prima di vederlo. Inoltre, il danno che viene inflitto dalle sanzioni ha effetti di lungo periodo e, una volta  introdotte, diventa difficile farle rimuovere (come peraltro dimostrano quelle per l’annessione della Crimea del 2014). La storia di paesi come Corea del Nord, Cuba, Venezuela, Iran dovrebbe essere una buona cartina di tornasole per la Russia. Tuttavia, non sarà il declino della qualità della vita dei russi e della potenza del paese a far cambiare idea a Putin. Senza un embargo dell’energia, almeno del petrolio, il suo regime può resistere più a lungo della popolazione russa, e continuare a essere fonte di destabilizzazione, quella sì, globale.

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