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Nabiullina tenta di rianimare la Russia

Redazione

La Banca centrale russa non pensa più all’inflazione e taglia i tassi per frenare la recessione

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La Banca centrale russa (Bcr) ha tagliato i tassi di interesse, dal 17 al 14 per cento, indicando che potrebbero scendere ancora dato che la priorità sarà il sostegno all’economia colpita dalle sanzioni. La mossa serve a frenare la recessione, seppure al costo di non frenare l’inflazione: al momento l’aumento dei prezzi annuo è del 17,6 per cento (contro il 16,7 di marzo e il 9,1 prima dell’invasione dell’Ucraina). Nello scenario di base presentato dalla governatrice Elvira Nabiullina l’istituto prevede che l’inflazione aumenterà nei prossimi mesi, fino a un massimo del 23 per cento nel 2022, per rallentare al 5-7 per cento nel 2023 e raggiungere l’obiettivo del 4 per cento nel 2024. Nella migliore delle ipotesi almeno due anni terribili per i consumatori russi, anche perché sarano accompagnati da una profondissima recessione. La Banca centrale confida nell’avanzo delle partite correnti, tra diminuzione delle importazioni a causa del crollo della domanda interna e aumento dell’export grazie all’aumento del costo dell’energia, senza però considerare le prossime sanzioni sul  petrolio. Le entrate del settore energetico però rischiano di essere compromesse anche senza sanzioni dirette.

  

A marzo il greggio russo Ural è stato l’unico a segnare un calo rispetto al mese precedente, con un prezzo al barile di  oltre 30 dollari inferiore rispetto agli altri. La guerra e le sanzioni attuali sulle aziende russe ne complicano la commercializzazione. Nabiullina ha sottolineato la necessità di una “trasformazione” dell’economia russa, mettendo in chiaro un concetto: le sanzioni avranno un impatto negativo immediato  sul pil russo che nel 2022 si ridurrà dell’8-10 per cento, per poi  crescere “gradualmente” nel mezzo della “trasformazione strutturale” degli anni successivi. Il pil tornerà a salire solo nel 2024, del 2,5-3,5 per cento, sempre che la trasformazione dell’economia in un modello che sembra avviarsi verso un ibrido tra il contrabbando iraniano e la chiusura nordcoreana abbia una qualche possibilità di successo, anche in termini di consenso nella società.

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