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La svolta che serve oltre la Cig

Luciano Capone

Sul fronte del lavoro, si fa finta che tutto tornerà a essere come prima. Non è così. E non andrà tutto bene

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Roma. “Nessuno perderà il posto di lavoro”, è stata la promessa del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e del ministro del Lavoro Nunzia Catalfo all’inizio dell’emergenza Covid. La traduzione in pratica di questa promessa sono stati da un lato le misure per fornire liquidità alle imprese e dall’altro il divieto di licenziamento e la cassa integrazione (Cig) generalizzata, due provvedimenti questi ultimi che la maggioranza vuole estendere fino alla fine dell’anno. Come hanno già scritto Andrea Garnero (il Foglio del 1 luglio) e Marco Pagano (il Foglio del 3 luglio) la proroga della cassa integrazione e del divieto di licenziamento non solo non risolveranno i problemi economici e occupazionali, semplicemente li rinvieranno a caro prezzo (le stime sono di circa 20 miliardi di euro), ma addirittura li aggraveranno.

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Roma. “Nessuno perderà il posto di lavoro”, è stata la promessa del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e del ministro del Lavoro Nunzia Catalfo all’inizio dell’emergenza Covid. La traduzione in pratica di questa promessa sono stati da un lato le misure per fornire liquidità alle imprese e dall’altro il divieto di licenziamento e la cassa integrazione (Cig) generalizzata, due provvedimenti questi ultimi che la maggioranza vuole estendere fino alla fine dell’anno. Come hanno già scritto Andrea Garnero (il Foglio del 1 luglio) e Marco Pagano (il Foglio del 3 luglio) la proroga della cassa integrazione e del divieto di licenziamento non solo non risolveranno i problemi economici e occupazionali, semplicemente li rinvieranno a caro prezzo (le stime sono di circa 20 miliardi di euro), ma addirittura li aggraveranno.

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Il divieto di licenziamento purtroppo non implica che le persone torneranno a lavorare, ma che manterranno – a salario ridotto attraverso la Cig – un posto di lavoro che rischia di essere solo fittizio. Inoltre questa misura blocca l’aggiustamento strutturale dell’economia, impedendo ad esempio ristrutturazioni, acquisizioni e fusioni di imprese che potrebbero farcela e invece rischiano di inabissarsi lentamente. Insomma, tutto ciò renderà la transizione molto più lenta e pesante.

 

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A un certo punto bisognerà togliere il tappo alla pentola a pressione del lavoro, e a quel punto la disoccupazione ora mascherata da Cig uscirà fuori in maniera più dirompente. E nel frattempo avremo perso tempo e risorse. Per adesso ha trovato una “valvola di sfogo” sulle fasce lavorative più deboli, giovani e donne con contratti a tempo indeterminato, atipici o autonomi. Secondo i dati dell’Istat tra marzo e maggio si sono persi 380 mila posti di lavoro rispetto al trimestre precedente, ma il dato tendenziale è ancora più drammatico: rispetto a maggio 2020 quest’anno ci sono 613 mila posti di lavoro in meno, con un crollo di quasi il 20 per cento dei dipendenti a termine (-590 mila unità).

 

Di fronte a una recessione profondissima, attorno al 10 per cento del pil, l’esito non poteva essere diverso. La promessa del governo di fatto è già stata tradita. Ma questo è l’aspetto meno grave. Perché peggio dell’errore c’è la perseveranza. Ormai il governo si è legato mani e piedi a questo impegno e si vede costretto a proseguire sulla stessa strada, prorogando Cig e divieto di licenziamento. Tra l’altro in netta contraddizione con gli altri slogan di questa emergenza: cambierà tutto, servirà una grande trasformazione dell’economia. Mentre da un lato si dice che “nulla sarà come prima”, sul fronte del lavoro e delle attività produttive si fa finta che tutto tornerà a essere come prima. Perché questo è il presupposto del divieto di licenziamento e la proroga indefinita della Cig: che tutti torneranno ai loro vecchi posti di lavoro dopo uno choc temporaneo e non strutturale.

 

Purtroppo alla linea dell’esecutivo, governare la crisi del paese come se fosse una grande Alitalia, si sono accodati tutti: i sindacati perché pensano di salvaguardare i lavoratori, la Confindustria che punta a scaricare i costi sul bilancio pubblico, l’opposizione perché giocando di rimessa aspetta che scoppi il bubbone quando il governo dovrà togliere il divieto di licenziamento (perché presto o tardi accadrà). Così la classe dirigente italiana sta impiccando il paese a una promessa che non poteva e non potrà essere mantenuta.

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