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il saggio

"Come trasformare un libro in un'azione?". L'impossibile cura della vita

Marco Archetti

Cechov, Céline e Carlo Levi. Tra passioni, filosofia ed esigenze personali: la letteratura come medicina nell'opera di Filippo La Porta 

Uno dei pregi più evidenti della saggistica di Filippo La Porta è la sua fluente leggibilità. Sia che l’autore ragioni di Dante, di Nicola Chiaromonte o di patrie e radici da costruire, la sua prosa mai si incricca e mai si impaluda, rinsaldando ogni volta la certezza che il linguaggio esoterico resterà, per fortuna, fuori dalle sue pagine, ovviamente a tutto vantaggio del lettore, che potrà gustarsi in pace le polpe essenziali che costituiscono la miglior saggistica: una costruzione accurata ed ergonomica del discorso, un’amabilità colta e divagante, un’invidiabile capacità sintetica di emblematizzare l’essenziale.

 

L’impossibile ‘cura’ della vita – Cechov, Céline e Carlo Levi, medici-scrittori coscienziosi e senza illusioni” (Castelvecchi, pagg. 84, euro 12,50) è un testo la cui agilità non impedisce di intravedere la complessa elaborazione – “durata anni”, racconta La Porta, per lo meno nell’idea di affrontare questi tre autori, “i miei più amati” –, che avvia una collana pubblicata in collaborazione con l’Associazione scientifica e culturale no profit Sagen (Salute, Ambiente, Genoma) e che ha l’obiettivo di prendere per le corna l’indocile toro delle questioni essenziali della vita, certamente in relazione al rapporto medicina e vita, medicina e scrittura, medicina e mortalità, ma, più in generale, mirando a stimolare il lettore a farsi domande sul modo – individuale e collettivo – di concepire il proprio transito nel mondo.

 

“Il Fedro,” racconta La Porta, “dice che il corpo è multiforme, e io ho pensato che anche le nostre narrazioni dovessero esserlo. La collana ospiterà diari, romanzi, memorialistica, saggistica, sia di medici, sia di pazienti”. Un saggio, dunque, che parte da una passione letteraria (tre autori amati), attraversa una necessità filosofica fattasi editoriale (la multiformità come approccio e risposta) ed è innervato da un’esigenza anche personale. “Con l’età”, dice La Porta, “aumenta la contezza del limite. Da giovane, alla domanda sulla morte, rispondevo con Orson Welles ne ‘La ricotta’: ‘Come marxista, è un fatto che non prendo in considerazione!’”. Un testo che farà la gioia di coloro i quali credono che alla letteratura spetti, come alla medicina, il compito dei compiti: saper guardare, svelare e curare, partendo sempre dall’assunto sveviano che è la vita, la vera malattia incurabile. 

 

Durante il recente lockdown, la nostra reazione con la clausura forzata e quella che abbiamo chiamato “la sospensione della vita” ci ha messo in mano uno specchio. Lì dentro c’era, c’è, il ritratto impietoso della nostra relazione con la mortalità – il tema dei temi, l’inaggirabile tormento, l’elefante nella stanza, se non, addirittura, la stanza stessa. Ecco, questo saggio di La Porta – vitalissimo – sembra tener conto di tutto questo, e sprizza volontà intellettuale, voglia di farsi domande e di ritrovare, se è possibile, quel filo che, un tempo, compaginava la cultura scientifica e quella umanistica. Convinto che ai libri sia necessario chiedere una ragione di vita e che l’inguaribile infermità della condizione umana incomba su Utopia e Politica, La Porta esplora il nesso tra la cultura medica di Cechov e la sua narrazione, tra quella di Céline e il degrado e la corruzione (ideologica, storica, umana), fino a ribadire la centralità novecentesca del non abbastanza indagato Carlo Levi (bellissimo il capitolo sugli Allergici e i Diabetici, sintesi dell’esistenza).

 

Ma ciò che, qui e altrove, distingue sempre La Porta da altri saggisti è tanto l’orizzonte (sempre collettivo), quanto la domanda (continua) su come portare avanti un’eredità e dar nuova vita, nel presente e nel futuro, ai capisaldi di un passato che ha vissuto il proprio culmine nell’Umanesimo. La domanda cui è interessato è sempre “come trasformare un libro in un’azione della vita?”, sicuro, insieme a Flaubert, che “se una cosa è scritta male è falsa; se è scritta bene, contiene una verità”. E che la salute non è eliminare il male, ma dargli un significato.

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