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Arabi ma legati ai clan jihadisti albanesi, chi sono gli uomini dell'Isis in Italia

Luca Gambardella

Gli arresti tra Foggia e Torino dimostrano che l'attenzione dell'intelligence italiana resta concentrata sulla via balcanica e sulle attività di propaganda dello Stato islamico

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Negli ultimi due giorni la polizia italiana ha compiuto importanti operazioni anti-terrorismo che hanno portato all'arresto di divulgatori del Califfato. A Foggia, un imam 59enne egiziano di una moschea abusiva – una di quelle non censite dalle autorità italiane – insegnava ai bambini che "bisogna staccare la testa dei miscredenti e berne il sangue". Il predicatore, Mohy Abdel Rahman, faceva giurare ai bambini fedeltà al Califfato con un'opera di indottrinamento che, secondo la polizia italiana, ricorda abbastanza le scene mostrate nei video dell'addestramento militare dei bambini del Califfato in Siria e Iraq. Rahman aveva legami con Eli Bombataliev, un ceceno radicalizzato che aveva combattuto in Siria nel 2014 e che Rahman aveva ospitato a casa sua per due anni. Maria Kachmazova, la moglie di Bombataliev, è stata espulsa insieme ai fratelli albanesi Lusien e Orkid Mustaqui, residenti tra Potenza e Napoli e anche loro radicalizzati.  

  

Oggi invece, a Torino, la Digos ha fermato per la seconda volta un ragazzo 23enne nato a Ciriè, vicino il capoluogo piemontese, di origini marocchine. Si chiama Elmahdi Halili ed è accusato di partecipazione all'associazione terroristica dello Stato islamico. Halili era già stato arrestato nel giugno 2015 quando, nell'ambito delle indagini denominate "Balkan Connection", la procura di Brescia aveva fermato Elvis e Alban Elezi, due cittadini albanesi sospettati di avere reclutato Anas el Abboudi, un marocchino residente a Vobarno e poi partito per il jihad in Siria.

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Halili aveva tradotto in italiano documenti propagandistici del Califfato. "Lo Stato islamico; una realtà che ti vorrebbe comunicare", era il titolo del manuale composto da 62 pagine con interviste, grafici e testi che incitavano al jihad, curato e divulgato proprio dal giovane. A partire dal 2014, mentre il Califfato controllava aree sempre più vaste in Iraq e Siria, la macchina propagandistica dello Stato islamico si era attivata anche in Italia per reclutare forze fresche per combattere in medio oriente. Il Foglio aveva pubblicato in esclusiva il primo di questi video, che ritraeva un ragazzo canadese 28enne che si era convertito all'islam e che era andato a combattere per lo Stato islamico. Le immagini erano sottotitolate in italiano e invitavano a unirsi al Califfato.

 


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Due schermate tratte dal manuale curato dal 23enne marocchino arrestato stamattina

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Al processo, Halili aveva patteggiato una pena di due anni per apologia di reato con l’aggravante di finalità terroristica. Ma tornato libero, il 23enne non aveva interrotto la sua radicalizzazione, e anzi aveva raccolto un archivio di filmati, testi e immagini diffuse dal Califfato che mostravano scene di guerra ed esecuzioni dei prigionieri in Siria e Iraq. E' possibile che il giovane sia anche l'amministratore dell'unico canale Telegram in italiano affiliato al Califfato che fino a qualche settimana fa traduceva le rivendicazioni degli attentati e delle operazioni militari dello Stato islamico. Il materiale che la polizia ha ritrovato a casa di Halili dimostra che il giovane nutriva una notevole ammirazione per alcuni dei principali predicatori dello Stato islamico, come Anwar al Awlaki e Mohamed al Adnani, portavoce di Abu Bakr al Baghdadi che in un sermone del 2014 annunciò l'inizio della strategia degli attentati del Califfato in occidente.  Dopo la morte di Adnani, il giovane marocchino l'aveva celebrato pubblicando una playlist con i sermoni più importanti del predicatore.

 


Il canale Telegram affiliato al Califfato che dava aggiornamenti in italiano sulle ultime operazioni dello Stato islamico


 

Le due operazioni di questi giorni dicono due cose: la prima è che l'attenzione dell'intelligence italiana resta focalizzata sulla via balcanica seguita dai jihadisti, dove l'Albania e il Kosovo restano sotto un'attenta osservazione. La seconda è che una parte notevole delle operazioni anti-terrorismo in occidente, oltre al monitoraggio di presunti foreign fighter rientrati dal medio oriente, si concentra anche sul rintracciare e smantellare attività propagandistica. Nonostante il ritiro del Califfato dalla Siria e dall'Iraq, l'attenzione dei servizi segreti occidentali resta massima. Lo ha confermato anche il ministro dell'Interno Marco Minniti in un'intervista rilasciata oggi alla Stampa. "Lo Stato islamico è stato capace di arruolare 25-30 mila foreign fighters da circa 100 paesi diversi", ha detto Minniti. "La più importante legione straniera che la storia moderna ricordi. Molti sono morti, ma i sopravvissuti stanno cercando rifugio altrove. Anche qui in Europa".

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