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Non solo l'accoltellamento di Termini. Roma è un’emergenza nazionale

Salvatore Merlo

Tra il Viminale e il luogo dell’aggressione ci sono circa settecento metri. Ma non c’è teatro dell’orrore romano che non sia in continuità con i simboli dello stato nazionale, il Parlamento, palazzo Chigi, il Quirinale. Capitale decadente, nazione decaduta. Eppure nessuno sembra ritenersi responsabile. Roma è troppo grande per essere amministrata da un sindaco

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Circa settecento metri separano la stazione Termini dal Viminale. Ci sono circa settecento metri, dunque, tra il luogo dove la sera del 31 dicembre il senzatetto polacco Aleksander Mateusz Chomiak, arrestato ieri, ha accoltellato una giovane turista israeliana, e l’ufficio del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Seicentoquaranta metri invece separano la Camera dei deputati dall’angolo di strada in cui il 21 dicembre una giovane romana è stata punta alla schiena con una siringa da uno sbandato mentre metteva la catena alle ruote della sua bicicletta. E ci vogliono infine appena dieci minuti per raggiungere il Quirinale, la casa del presidente della Repubblica, dal lurido marciapiede in cui la notte del 14 maggio è stata brutalmente percossa e violentata da un senegalese una donna di trent’anni.

 

Non c’è angolo della Roma più brutta, più sporca e più cattiva di quest’anno appena concluso, la Capitale degli otto omicidi in quaranta giorni, dei duecentoquarantaquattro casi di stupro, la città delle baraccopoli sul lungotevere, che detiene il record di centoventuno morti stradali perché nessuno controlla i limiti di velocità così come non raccoglie l’immondizia, non c’è insomma teatro dell’orrore romano che non sia in continuità con i simboli dello stato nazionale, con il Parlamento, con Palazzo Chigi, con la presidenza della Repubblica, con il ministero dell’Interno e con le sedi dei partiti che punteggiano il centro storico.

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Eppure nessuno sembra ritenersi responsabile, nemmeno esteticamente, della condizione penosa in cui Roma è stata ridotta anche da una sequela di inqualificabili amministrazioni comunali che da Alemanno a Gualtieri, passando per Raggi, hanno individuato nel caos, nell’insicurezza e nel degrado la norma di un ordine ormai indecifrabile.

  

Eppure se Roma fa schifo, allora fa schifo anche Palazzo Chigi che è la sede del nostro governo. Se Roma è piena di monnezza, allora è pieno di monnezza anche il nostro Parlamento. E se Roma è una città in cui si può essere facilmente aggrediti, violentati, accoltellati o ammazzati da un’automobile sulla via Cristoforo Colombo, se insomma è una città sbandata e appestata, allora è sbandato anche l’Altare della Patria ed è appestato pure il Palazzo del Quirinale.  

  

Non c’è  bisogno di un trattato di diritto costituzionale per spiegarlo. Non sarebbe nemmeno necessario citare quanto detto non troppo tempo fa da Sabino Cassese: “La capitale serve la nazione, e chi gestisce la capitale gestisce al contempo la nazione”. Capitale decadente, nazione decaduta.

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E allora la domanda è ovvia: può mai un sindaco, per giunta inetto, gestire il Quirinale, Palazzo Chigi, il Parlamento e persino la stazione Termini che è la porta d’ingresso dell’Europa e del mondo nella capitale d’Italia?

  

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Non esiste nessuna capitale al mondo che sia gestita come una città normale. Ed è ovvio. Roma è l’Italia e l’Italia è Roma. Lo sapevano i piemontesi, che arrivati nella città papalina ne modificarono persino l’urbanistica. Lo sapevano bene i fascisti, che negli anni 30 trasformarono Roma in una città governata dal Consiglio dei ministri. Infatti sta tutto lì, in quei settecento metri che separano la solenne scrivania del ministro dell’Interno Piantedosi dal tunnel in cui a Termini il balordo Aleksander Mateusz Chomiak estraeva il suo coltello.

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