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Populisticamente corretto

Dittatura porchetta e ginocchio

Come chiudere la bocca alle idee

Maurizio Crippa

Gli animal-fascisti che hanno imbrattato la statua della porchetta a Trastevere non sono dei somari da minimizzare: credono di avere il diritto di imporre nella pubblica piazza solo le loro opinioni. Non è diverso dalla campagna sul calcio, che prova a trasformare chi non partecipa al gesto del Black Lives Matter in razzisti conclamati

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Al secondo posto nella classifica dei cancellatori violenti, nella parte bassa del tabellone riservato alle orde di sinceri antidemocratici pronti a chiudere la bocca a chiunque la pensi diversamente da loro, ci sono gli animal-fascisti imbrattatori di statue. Come la banda di dementi (no, non sono dementi: sono convinti di averne il Diritto) che con il favore delle tenebre ha sporcato di vernice rossa la statua dedicata alla porchetta che il Municipio I di Roma e le scuole di belle arti (iniziativa dunque pubblica, di tutti, e si ritiene approvata con procedure regolari), avevano collocato in piazza di San Giovanni della Malva. Attivisti dell’Animal liberation front. Liberazione dal cervello, si direbbe, per lasciare spazio all’impulso belluino di distruggere la diversità.
Ma al secondo posto, tabellone basso. Perché al primo posto dei violenti ideologici che vogliono far tacere ogni dissenso contro “il mimetismo che persuade la comunità intera” (René Girard) ci sono i censori morali, nel senso di quelli che fanno la morale alle vittime. Solitamente appartengono al fighettismo della chattering class, meglio se di sinistra: se qualcuno prova anche solo a difendere il diritto di non vedere imbrattata la sua statua, lo zittiscono: ah, eccone un altro che “ormai non si può più dire niente” sghignazzano  mentre riempiono di sabbia la bocca del reprobo.

Questo tipo di violenti, che arrogano a sé  la facoltà di giudicare in nome di una malcerta o non provata superiorità, che non sia la numerica forza bruta, sono esattamente quelli che direbbero, di un caso banale come la porchetta imbrattata, che be’, però va tenuto anche conto che animali e animalisti (giusto metterli sullo stesso piano) hanno i loro diritti. Che valgono, non si sa perché, di più. E se eccedono un po’ nella risposta manesca, che ci vuoi fare, significa che il diritto di dire la tua l’avevi avuto. Un insopportabile fascismo sociale, il cinismo di chi ha il potere dlla parte del manico. Ma se qualcuno lo denuncia ottiene per risposta che il politicamente corretto e la Cancel culture semplicemente non esistono. Chiedetelo alla porchetta.

Uscendo dalla fattoria degli animalisti. Ancora ieri ha tenuto banco, con una petulanza ormai sfinente, la questione dei giocatori della Nazionale che non si inginocchieranno stasera nel match contro l’Austria. Repubblica se ne duole, manco Wembley fosse il sacrario di Redipuglia: “Gli azzurri non si inginocchiano contro il razzismo. Quell’atto di solidarietà al movimento Black Lives Matter contro le discriminazioni non si vedrà”. E in Inghilterra per giunta, dove “questa forma di protesta raccolta dall’America contro il razzismo ha preso forza”. Raffaele Alberto Ventura, scrittore intelligente, scrive invece che nella riluttanza a farsi dettare i gesti-simbolo dell’antirazzismo non c’è per forza del razzismo (e meno male), bensì magari un “genuino fastidio per la nostra subalternità all’agenda politica americana. O di un fastidio altrettanto comprensibile per intellettuali, giornalisti, attivisti e moralisti di ogni genere, che sembrano calare dall’alto sempre nuove prove iniziatiche”. (La seconda che hai detto). Però Ventura, dopo la liberale concessione al fatto che non tutti quelli che stanno in piedi sono dei negrieri e dei kapò (e dal giornale su cui lo scrive, è già una bella concessione), arriva al sodo: “Ma è davvero un problema?”. “Questo fastidio bisogna superarlo”. No, non è questo il punto. Quel “fastidio”, che poi magari è un giudizio meno istintivo di come lo mette Ventura, non è superabile perché davvero è un problema. E’ un problema se sei tacciato di razzismo perché non ti inginocchi; se da qualche parte nel mondo, fosse pure una piccola parte, vogliono impedire di studiare latino e greco perché lingue imperialiste; se esponi una statua e te la lordano  perché lo spazio pubblico alle tue idee è vietato; se poni un tema di libertà di pensiero e qualcuno (sullo stesso giornale di Ventura) propone di chiudere le scuole. Tutto questo minimizzare (“ma è davvero un problema?”), tutto questo irridere per eludere (“non si può più dire niente”) è il volto maggioritario di un dispotismo contundente.

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Altro caso, la pretesa da parte di un gruppo di cittadini bavaresi di illuminare di arcobaleno lo stadio di Monaco in occasione di Germania-Ungheria. La Uefa, che ha negato il permesso, è stata coperta di contumelie come se avesse fatto un proclama omofobo. Ma non è ovviamente così. A decidere su una variazione cerimoniale che riguarda tutta la manifestazione è la Uefa stessa, per diritto e per statuto. E la Uefa ha spiegato di “non voler politicizzare il calcio”. Perché mai la decisione avrebbe dovuto essere imposta da altri, che quel ruolo non hanno? In fondo, è una prevaricazione di puro stile populista: decide “la gente”, senza bisogno di regole. Perché il tanto vituperato populismo, quando sta dalla tua parte, ve benone. E crepi la porchetta. Ci salveranno, forse, le regole formali del diritto e della democrazia. Ci salverà la forma, che è molto più libera della dittatura dell’emotività.

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