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Il manifesto di Kirill

Con il discorso di domenica, il Patriarca di Mosca più che la “saggezza” del Papa ha scelto l’agenda di Dugin

Matteo Matzuzzi

Niente mani tese agli ucraini suoi fedeli che lo implorano da giorni di intervenire per fermare i cannoni di Putin, niente disponibilità ad accettare un intervento della Santa Sede

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“Non c’è un’aggressione di Putin, ma la restaurazione di una civiltà russa che si era dissolta. Queste accuse sono il risultato della paura che la Russia si riaffermi come potere indipendente e che voglia difendere la propria identità”. Così parlava in un’intervista al Foglio del 2017 Aleksander Dugin, il “Rasputin di Putin”, l’ispiratore del disegno euroasiatico del Cremlino. Aggiungeva, Dugin, che “quando la Russia si è avvicinata all’occidente, abbiamo capito che l’Europa non era più se stessa, che era una parodia della libertà, che era decadente e postmoderna, che versava nella decomposizione totale. Questo occidente non ci serviva più come esempio da seguire, per cui abbiamo cercato un’ispirazione nell’identità russa”.

   

Ecco, l’identità russa, un qualcosa di metafisico, come ha detto domenica nella sua omelia il patriarca di Mosca, Kirill. Niente mani tese agli ucraini suoi fedeli che lo implorano da giorni di intervenire per fermare i cannoni di Putin, niente disponibilità ad accettare un intervento della Santa Sede, con quel Papa che pure stima e con cui s’era abbracciato all’Avana nel 2016. Kirill non tenta di portare a più miti consigli il suo presidente, anzi: “Per otto anni ci sono stati tentativi di distruggere ciò che esiste nel Donbas. E nel Donbas c’è il rifiuto, un rifiuto fondamentale dei cosiddetti valori che oggi vengono offerti da chi rivendica il potere mondiale”. Valori che per il Patriarca sono quelli del “consumismo eccessivo”, della “libertà” che si traduce nel permesso di  organizzare “parate gay”.  

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Chi si rifiuta, come i bravi fedeli del Donbas, diventa un paria internazionale, un estraneo. Per dirla con le parole di Dugin, “noi abbiamo il cristianesimo, voi il gender”. Il manifesto di Kirill, dove la guerra diventa una battaglia per l’identità russa, spirituale e ideologica, rischia di fargli perdere l’Ucraina, che oggi dà la metà dei preti al Patriarcato moscovita e il 35 per cento dei fedeli. Kirill, uomo di profonda cultura, ha la responsabilità d’aver soffiato sulle braci dell’orgoglio russo, alimentando la deriva nazionalista che ha come fine il trionfo della Grande madre Russia, depositaria dei veri valori che contrastano con le derive che hanno annacquato l’occidente.

    

Doveva essere il Patriarca che avrebbe avvicinato Mosca all’Europa, si è condannato a vestire i panni del cappellano del Cremlino. Capo di una Chiesa squassata tra l’orgoglio di un clero ipernazionalista e centinaia di preti che guardano ai morti per le strade ucraine e non vogliono più neppure ricordarne il nome nelle divine liturgie. “Oggi – ha detto domenica – i nostri fratelli nel Donbass, gli ortodossi, stanno  soffrendo, e noi non possiamo che stare con loro”. Più che la lodata “saggezza” di Bergoglio, ha scelto l’agenda di Dugin.       

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