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Le porte scorrevoli della giustizia vaticana

La vicenda del palazzo di Londra ha mostrato tutta la debolezza del sistema giudiziario d'oltretevere

Cincinnato

L’autorità giudiziaria vaticana è composta integralmente da italiani. Il problema è che spesso i magistrati mantengono attività e ruoli in Italia, con il cortocircuito che ne consegue

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Le indagini sull’ormai famoso palazzo di Londra acquistato dalla Segreteria di stato vaticana nel 2018 non solo hanno messo in luce la debolezza del sistema giudiziario vaticano, ma hanno anche mostrato l’altra faccia della medaglia, con indagini sommarie e persecuzioni fuori da ogni procedura che rischiano di mettere in dubbio la credibilità e la coerenza della Santa Sede alla propria missione e indiscussa autorità morale a livello internazionale. Tanto più che tutte le persone indagate sono cittadini italiani, cioè europei e quindi stranieri per la giurisdizione vaticana.

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Le indagini sull’ormai famoso palazzo di Londra acquistato dalla Segreteria di stato vaticana nel 2018 non solo hanno messo in luce la debolezza del sistema giudiziario vaticano, ma hanno anche mostrato l’altra faccia della medaglia, con indagini sommarie e persecuzioni fuori da ogni procedura che rischiano di mettere in dubbio la credibilità e la coerenza della Santa Sede alla propria missione e indiscussa autorità morale a livello internazionale. Tanto più che tutte le persone indagate sono cittadini italiani, cioè europei e quindi stranieri per la giurisdizione vaticana.

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[qui trovate la prima puntata dell'inchiesta]

  

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L’elenco degli errori è lungo. Si era cominciato con l’arresto di Gianluigi Torzi in Vaticano, dove si era recato per un interrogatorio assistito dai propri legali, trovandosi poi sbattuto in cella per dieci giorni. Poi c’era stato il caso di Raffaele Mincione, cittadino italiano prelevato in albergo e posto in stato di fermo in Italia. Lo stesso ha avviato due cause legali a Londra contro la Santa Sede. Quindi il caso di Cecilia Marogna, cittadina italiana finita in carcere in Italia su richiesta degli inquirenti vaticani, che ne avevano anche chiesto l’estradizione. Infine, le perquisizioni in casa di Fabrizio Tirabassi, officiale vaticano, con tanto di sequestro di denaro trovato in casa – anche questo annullato dal Tribunale italiano.

 

Colpisce questa incompetenza rilevata dalla Cassazione italiana, nonostante la disponibilità a collaborare delle Procure italiane. Colpisce perché l’autorità giudiziaria vaticana è composta integralmente da italiani. Non solo: sono tutti magistrati con un importante curriculum maturato. Andando più in profondità si scopre che in molti, quasi tutti, non hanno lasciato le loro attività in Italia, ossia quella di avvocati e liberi professionisti. Non si tratta di chissà quali misteri o segreti, dal momento che le informazioni sono tutte pubbliche. Il caso più evidente è quello dell’avvocato Alessandro Diddi, promotore di giustizia vaticano. E’ lui che sta investigando sul  palazzo di Londra. Alla sua attività in Vaticano, Diddi affianca quella di avvocato. Tra i suoi clienti, Salvatore Buzzi. Come tale, si è presentato a fianco dello stesso Buzzi in un programma tv l’11 e il 18 ottobre scorso, contrapponendosi in un dibattito  ai giornalisti  d’inchiesta di Repubblica, con il rischio di arrecare un danno d’immagine alla Santa Sede. Chi si contrapponeva a Diddi nell’indagine di Mafia Capitale? Giuseppe Pignatone, all’epoca procuratore capo di Roma e oggi presidente del Tribunale dello Stato di Città del Vaticano. Pignatone, pur essendo in pensione, riveste più d’un ruolo: tra le altre cose, scrive editoriali per il gruppo Gedi, che edita Repubblica e L’Espresso, tra le testate più attive quando si parla di scandali vaticani veri o presunti. Pignatone è comunque, insieme al promotore di giustizia Giampiero Milano, l’unico del tribunale che non lavora anche come avvocato in Italia.

 

    

Scorrendo l’organigramma dei tribunali vaticani, si scopre che il giudice  Riccardo Turrini Vita è direttore generale della Formazione (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ministero della Giustizia);  il giudice Carlo Bonzano  è avvocato a Roma, così come il giudice Paolo Papanti Pellettier, che risulta anche essere  presidente del Tribunale magistrale di prima istanza dell’Ordine di Malta. E’ giudice del Tribunale magistrale di prima istanza anche il promotore di giustizia Gian Piero Milano. Lavorano come avvocati a Roma anche i promotori di Giustizia Roberto Zannotti e Gianluca Perone. Se è vero che si tratta di professionisti con indiscussa esperienza in vari ambiti del diritto italiano, è anche vero che l’ordinamento vaticano ha il diritto canonico come riferimento e certamente non possono definirsi giuristi di estrazione canonistica Diddi, Pignatone o altri.

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Inoltre, una cosa è la realtà italiana, altra cosa è la complessa e peculiare realtà istituzionale e giuridica della Santa Sede e dello Stato vaticano. L’ordinamento vaticano non è quello del 1929 e non è certo un derivato di quello italiano, e dunque non è necessario che i giudici siano italiani. E’ sufficiente che i giudici designati abbiano le necessarie competenze e siano fluenti in italiano, il che non solo garantirebbe maggiori esperienze e competenze, ma anche una maggiore autonomia dall’Italia. Il dibattito non è di ieri, torna a galla oggi che i giudici vaticani hanno visto le loro ultime operazioni cassate dall’Italia. Con il dibattito, emergono altre domande. Una pressante, per esempio, riguarda i criteri di organizzazione interna, se il giudice istruttore delle indagini su Cecilia Marogna risulta essere Papanti-Pelletier, le cui specialità sono il diritto civile ed ecclesiastico.Certo, l’idea di rivolgersi a professionisti esterni come giudici vaticani è spesso giustificato dal fatto che la Città del Vaticano è un micro stato, con un’autorità giudiziaria che gestisce pochi casi, situazione che renderebbe insostenibile un corpo stabile dei magistrati.

 

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Sono argomenti che comunque non tengono conto di una nuova realtà: ossia l’impulso dato da Benedetto XVI e Papa Francesco alla normativa penale, e in particolare al contrasto dei crimini finanziari. Non bastano, insomma, magistrati part-time o attivati una tantum. Resta, però, il problema del profilo dei giudici della Santa Sede. E qui le domande sono più delle risposte: la funzione di magistrato vaticano è compatibile con qualsiasi altra funzione pubblica o privata in altri ordinamenti? Non è un quesito solo teorico, anzi mette in gioco la libertà di quanti possono cadere sotto il giudizio del Tribunale vaticano. Il tema verrà sicuramente alla luce in caso di eventuali richieste di danni da parte di cittadini stranieri che dovessero lamentare la violazione di diritti fondamentali, i quali peraltro non possono ricorrere alla Corte di Strasburgo perché la Santa Sede non ha aderito (almeno per ora) alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Altro rompicapo per i piani alti della Santa Sede. Nella questione è messa in gioco la credibilità dell’autorità giudiziaria vaticana, con tutto quello che comporta perché, al di là di possibili conflitti di interesse, che non si possono giudicare, ci si attende che un magistrato sia a servizio esclusivo di un ordinamento, e non attivo con altre funzioni altrove.

 

Capitolo a parte sarebbe quello della Gendarmeria vaticana, che accentra tutti i poteri di polizia senza i pesi e contrappesi propri di uno stato di diritto, e che Papa Paolo VI giunse a sciogliere. Alcune inchieste di Gianluigi Nuzzi mostrarono come diversi gendarmi, ora promossi ai vertici del comando, erano contemporaneamente titolari di società private in Italia attive nel settore dei servizi di sicurezza. Risulta che ci siano ancora società private italiane riconducibili a gendarmi. Ancora una volta, siamo di fronte a concomitanti funzioni pubbliche e private in diversi ordinamenti, e porte scorrevoli tra Vaticano e Italia.   

 

Sono domande che restano aperte, e che rischiano  di danneggiare la Santa Sede. Perché, in fondo, a qualcuno potrebbe convenire una Santa Sede indebolita nello scacchiere internazionale e nelle battaglie, sempre controcorrente in questo mondo, a difesa della persona umana e di una certa visione dell’uomo e del suo destino. E così, non volendo, la Santa Sede si vaticanizza, o forse si sta provincializzando, inseguendo un modello di stato nazione fuori dal tempo e inconciliabile con la natura e la storia della Santa Sede, che rischia di conseguenza l’irrilevanza nei consessi internazionali e nei rapporti bilaterali.

 

Chi consiglia  Papa Francesco di certo non sta facendo un favore al Papa e alla sua immagine nel mondo, che guarda alla Santa Sede come baluardo della difesa della persona e della sua dignità, che oggi sembra calpestata proprio in Vaticano in nome di un cieco giustizialismo e di un certo pressapochismo.

(2- continua)

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