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Il vero obiettivo dell'attacco di Pompeo non è il Papa

Il tema trascende gli schieramenti politici, tant'è che il giornale capofila nel denunciare l'accordo segreto è stato il Washington Post

Matteo Matzuzzi

Il segretario di stato americano riconosce l'enorme peso geopolitico conquistato dalla Santa Sede negli ultimi anni e sa che in ogni caso il Vaticano continuerà a trattare con Pechino

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Con un lungo commento pubblicato su First Things, colta rivista del cattolicesimo conservatore americano, il segretario di stato Mike Pompeo ha bocciato l’accordo segreto stipulato due anni fa tra la Santa Sede e la Cina chiedendo di fatto a Roma di non procedere al rinnovo, ormai imminente e scontato. Se lo facesse, ha scritto, “perderebbe la sua autorità morale”. Le osservazioni di Pompeo sono lineari: “A due anni di distanza, è chiaro che l’accordo sino-vaticano non ha protetto i cattolici dalle violenze del Partito, per non parlare del trattamento orribile riservato a cristiani, buddisti, tibetani, devoti del Falun Gong e altri credenti religiosi”. “Le autorità comuniste continuano a chiudere le chiese, a spiare e molestare i fedeli e insistono sul fatto che il Partito è l’autorità suprema negli affari religiosi”. Ne consegue che “la situazione dei diritti umani in Cina si è gravemente deteriorata sotto il dominio autocratico di Xi Jinping, soprattutto per i credenti religiosi” e l’obiettivo è quello di “subordinare Dio al Partito promuovendo lo stesso Xi come una divinità ultraterrena. Ora più che mai il popolo cinese ha bisogno della testimonianza morale e dell’autorità del Vaticano a sostegno dei credenti religiosi cinesi”. 

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Con un lungo commento pubblicato su First Things, colta rivista del cattolicesimo conservatore americano, il segretario di stato Mike Pompeo ha bocciato l’accordo segreto stipulato due anni fa tra la Santa Sede e la Cina chiedendo di fatto a Roma di non procedere al rinnovo, ormai imminente e scontato. Se lo facesse, ha scritto, “perderebbe la sua autorità morale”. Le osservazioni di Pompeo sono lineari: “A due anni di distanza, è chiaro che l’accordo sino-vaticano non ha protetto i cattolici dalle violenze del Partito, per non parlare del trattamento orribile riservato a cristiani, buddisti, tibetani, devoti del Falun Gong e altri credenti religiosi”. “Le autorità comuniste continuano a chiudere le chiese, a spiare e molestare i fedeli e insistono sul fatto che il Partito è l’autorità suprema negli affari religiosi”. Ne consegue che “la situazione dei diritti umani in Cina si è gravemente deteriorata sotto il dominio autocratico di Xi Jinping, soprattutto per i credenti religiosi” e l’obiettivo è quello di “subordinare Dio al Partito promuovendo lo stesso Xi come una divinità ultraterrena. Ora più che mai il popolo cinese ha bisogno della testimonianza morale e dell’autorità del Vaticano a sostegno dei credenti religiosi cinesi”. 

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Il giudizio di Washington sull’intesa è tranchant: si tratta di un accordo pessimo, anche se i suoi contenuti – come nella più esemplare diplomazia prenovecentesca mandata in soffitta proprio da un americano e democratico, Woodrow Wilson – sono ignoti. La posizione americana non è nuova: già nel 2018 gli Stati Uniti avevano esercitato discrete pressioni per evitare l’avvicinamento a Pechino. Non si tratta di una linea propria del Partito repubblicano ridefinito a immagine e somiglianza di Donald Trump: l’organo di stampa più ostile rispetto ai negoziati tra la Santa Sede e la Cina è il Washington Post, il giornale che ha ospitato negli anni – tra gli altri – il cardinale Joseph Zen e il biografo di Giovanni Paolo II, George Weigel

 

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Tuttavia, sarebbe superficiale ritenere che l’obiettivo dell’attacco di Pompeo sia il Papa. Che i rapporti tra l’Amministrazione Trump e Francesco non siano – per usare un eufemismo – idilliaci è noto. Dopotutto alla Casa Bianca c’è ancora l’uomo che rientra nella categoria dei “non cattolici che vogliono muri” definita durante la campagna elettorale del 2016 da Bergoglio. Però, indirettamente, Pompeo riconosce il peso enorme che ha guadagnato negli ultimi anni la Santa Sede sul piano geopolitico e quindi ritiene fortemente disturbante una vicinanza di Roma a quello che oggi è il nemico principale degli Stati Uniti, la Cina. Nello scontro con Pechino, infatti, l’America non vuole ostacoli e il Vaticano – se rafforzasse il legame con Pechino – rappresenterebbe un elemento di disturbo non da poco. Non a caso il segretario di stato punta sulla “autorità morale” della chiesa, richiamandosi alla fine dell’intervento al rispetto della libertà religiosa, tema assai caro a Francesco. Washington sa benissimo che i patti si siglano anche con i peggiori nemici, è realpolitik, ma spera che la sua moral suasion riesca a limitare i danni. La Santa Sede, che quanto a diplomazia non è seconda a nessuno, conosce da tempo la posizione americana ma non arretrerà di un millimetro dal piano messo a punto dalla Segreteria di stato, convinta che cercare un'intesa relativamente alla nomina dei vescovi nel grande paese asiatico non significhi riallacciare relazioni diplomatiche interrotte da decenni. 

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