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Alla furia giacobina non basterà lo scalpo del cardinale Pell

Matteo Matzuzzi

Il capo dei vescovi australiani (protagonista al summit vaticano) indagato per aver ignorato le denunce di abusi

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Roma. Il presidente della Conferenza episcopale australiana, mons. Mark Coleridge, era uno dei più attesi al vertice sulla protezione dei minori nella chiesa della scorsa settimana. Sia perché l’Australia è da tempo terra di conquista per i media e le giurie popolari che puntano alla giugulare di consacrati – meglio se vescovi o cardinali – per dare l’assalto alla chiesa cattolica, sia perché Coleridge è considerato uomo di specchiata rettitudine e vessillifero della trasparenza assoluta – twitta, scrive, parla come pochi altri nell’orbe. “A volte abbiamo preferito l’indifferenza e il desiderio di tutelare la reputazione della Chiesa e anche la nostra”, diceva pochi giorni fa in Vaticano dinanzi al Papa e ai confratelli, invocando una “rivoluzione copernicana”. Da qui la necessità di una conversione che “non richiede solo parole, ma azioni reali e concrete”. Poche ore dopo la pubblicazione del verdetto di colpevolezza nei riguardi di George Pell, da Canberra, vecchia diocesi di Coleridge, si faceva sapere che il presule è stato messo sotto inchiesta per aver insabbiato un decennio fa le denunce di una signora – anonima – che gli riferiva di abusi su minori compiuti da preti della diocesi. Coleridge le avrebbe dato della “pettegola”, liquidandola in pochi minuti. La diocesi di Canberra ha immediatamente reso noto un comunicato in cui si chiarisce che l’attuale vescovo di Brisbane respinge ogni accusa e che la signora ha preferito parlare con i giornali e le televisioni anziché cooperare con le indagini. Il che, chiarisce la nota, è “molto deludente”.

 

Chi pensava che la furia giacobina si sarebbe arrestata una volta ottenuto il pregiato scalpo di George Pell, potentissimo simbolo per un ventennio della chiesa australiana e chiamato da Papa Francesco a rimettere in sesto i forzieri vaticani, è quindi destinato a rimanere deluso. Aperta la diga – e il summit ha contribuito in maniera decisiva – la corrente è inarrestabile. I comitati delle vittime chiedono cappi, forche e ceppi, i media reclamano altra carne da macello – al summit, d’altra parte, una giornalista-relatrice ha assicurato l’aiuto degli operatori dell’informazione nello scovare le mele marce – le giurie sembrano pronte a soddisfare tali auspici. La reazione del Vaticano alla condanna del cardinale australiano è prudente, come si legge dall’equilibrato comunicato diffuso.

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“Attendiamo ora l’esito del processo d’appello, ricordando che il cardinale Pell ha ribadito la sua innocenza e ha il diritto di difendersi fino all’ultimo grado”, ha detto il direttore ad interim della Sala stampa, Alessandro Gisotti: “In attesa del giudizio definitivo, ci uniamo ai vescovi australiani nel pregare per tutte le vittime di abuso, ribadendo il nostro impegno a fare tutto il possibile affinché la chiesa sia una casa sicura per tutti, specialmente per i bambini e per i più vulnerabili”. Nell’attesa, “il Santo Padre ha confermato le misure cautelari già disposte nei confronti del cardinale George Pell”, e cioè la proibizione “in via cautelativa dell’esercizio del pubblico ministero e, come di norma, il contatto in qualsiasi modo e forma con minori di età”. Spetterà ora a un giudice stabilire se i motivi del ricorso siano fondati e, se sì, fissare una data per l’appello.

 

Già domani (27 febbraio ndr) si terrà l'udienza per la condanna, e il cardinale rischia cinquant’anni di carcere, secondo le previsioni che vanno per la maggiore. Da più parti si invoca una punizione esemplare, sullo stile di quella già applicata all’ex arcivescovo di Washington, Theodore McCarrick, prima espulso dal Collegio cardinalizio e quindi ridotto allo stato laicale dal Papa. E’ verosimile che l’iter sarà lo stesso se l’ultimo grado di giudizio confermerà la sentenza decisa all’unanimità dai dodici giurati dello stato di Victoria, ma i tempi non saranno brevi. Più probabile che arrivi presto la sostituzione alla guida della Segreteria dell’Economia, che Pell ha di fatto lasciato un anno e mezzo fa, benché formalmente risulti in congedo. Il quinquennio canonico è scaduto, l’organismo non sembra più centrale come lo era all’atto della sua istituzione, e l’avvicendamento sarebbe nell’ordine delle cose, con il sollievo di una larga parte della curia che poco sopportava i modi bruschi del “ranger” australiano che comunicava con i confratelli cardinali via email, limitando al minimo il contatto umano e dando disposizioni che qualcuno nei Sacri palazzi aveva interpretato più come ordini.

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