Massimo D'Alema (foto LaPresse)

Un peccato la sconfitta europea di D'Alema

Claudio Cerasa

Il lìder Maximo alla guida delle fondazioni dei progressisti europei ci avrebbe dato la possibilità di modificare una vecchia battuta: “Il disastro, diciamo, è dove mi siedo io”

Al direttore - Ma poi come si fa a tenere le fondazioni socialiste fuori dallo schieramento allargato?

Giuseppe De Filippi

Resto convinto che sia un’ingiustizia totale la cacciata di Massimo D’Alema dalla presidenza delle fondazioni dei progressisti europei. L’uomo che da vent’anni, con classe, eleganza e intelligenza, tenta di guidare verso l’irrilevanza la sinistra italiana in fondo poteva essere sfruttato meglio e sarebbe potuto diventare davvero un grande simbolo delle sinistre europee. Don Chisciotte, citato spesso da D’Alema, diceva che “capotavola è dove mi siedo io”. Un D’Alema alla guida delle fondazioni dei progressisti europei ci avrebbe dato la possibilità di modificare leggermente quella battuta e di avere un faro per il futuro delle sinistre mondiali attraverso un’espressione forse più consona alla situazione e al personaggio: “Il disastro, diciamo, è dove mi siedo io”. Ci mancherai, Max.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.