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La vendetta del fact checking, ora usato dagli ex M5s

Marianna Rizzini

Come lo streaming, l’arma di trasparenza si ritorce contro il Movimento anti-inciucista accusato di inciucio

Roma. E’ il giorno dello scompaginamento (annunciato) sulla legge elettorale, il giorno in cui Beppe Grillo annuncia un nuovo, catartico voto online per il fine settimana, e proprio in questo giorno (ieri) gli ex Cinque stelle fuoriusciti o espulsi presentano ufficialmente, in conferenza stampa, il loro “fact checking”, così lo chiamano, sulla “parabola politica” del Movimento. Ci sono Massimo Artini, Walter Rizzetto, Maria Mussini, Marco Baldassarri, Laura Bignami, Eleonora Bechis, Monica Casaletto, Cristian Iannuzzi, Aris Prodani, Tancredi Turco, Ivana Simeoni e Samuele Segoni.

 

“Avete tradito voi stessi con l’inciucio Pd”, dicono gli ex perché i non-ex intendano – e tra i non-ex la frase dev’essere sembrata, proprio ieri, da un lato profezia di sventura, ché una legge approvata “a quattro” scatenerebbe l’ira di una parte della base, ma dall’altro dev’essere pure parsa come il grido segretamente condivisibile del liberi-tutti, tanto più che Grillo lanciava il suddetto nuovo referendum internettiano, dopo il primo voto in Aula con franchi tiratori e visti i tormenti nel movimento su preferenze e voto disgiunto. E non era, quello degli ex, un fact checking di auto-esaltazione come quello vagamente surreale pubblicato da Grillo sul suo blog nell’inverno scorso, quando, con il caso Raggi in piena deflagrazione (si parlava infatti, in quella settimana, delle polizze intestate al sindaco di Roma da Salvatore Romeo), l’ex comico metteva in rete i “43 successi più importanti” conseguiti da Virginia Raggi nei primi sette mesi di governo della capitale, mesi in cui si erano però dimessi a catena assessori e vertici delle municipalizzate e in cui era emerso il famoso e famigerato problema della “scelta collaboratori” (con relativo dilemma: fidarsi solo del curriculum o delle referenze? E quando fidarsi di chi ti dà la referenza?). E dunque il fact checking, in quel caso, era parso apoteosi e paradosso di democrazia diretta (della serie: se gli altri mi criticano non c’è problema, mi lodo da solo, complice la rete, e infatti, guarda caso, i 43 successi erano stati suggeriti da un attivista semplice). E quel giorno Grillo aveva postato parole auto-assolutorie e d’elogio sulla sindaca al centro delle polemiche: “Il MoVimento 5 stelle sta amministrando la città più bella del mondo e siamo orgogliosi di farlo… abbiamo trovato la capitale devastata, ma non ci siamo spaventati. Nessuno avrebbe saputo dove mettere le mani, tutti avrebbero avuto paura. Noi ci siamo buttati a capofitto in questa avventura e, nonostante le difficoltà, stiamo iniziando a cambiare la città. Non sono parole, sono fatti…”. E pazienza se l’elenco di “successi” pareva, più che un fact-checking, una pubblicità-progresso per la Giunta in alto mare.

 

Fatto sta che, come per lo streaming, anche il fact checking è strumento bifronte, specie per chi, come i Cinque stelle, non può permettersi l’accusa di “inciucista”, pena la discesa nel gradimento del cittadino grillino rimasto ai tempi d’oro del grillismo, quando si era talmente lontani dal governo che nessuno, poi, ti chiedeva di governare. Ne sa qualcosa, in questi giorni, anche il sindaco di Torino Chiara Appendino, e ne sa qualcosa il deputato m5s Danilo Toninelli, uomo della trattativa sulla legge elettorale che ieri, dall’ex Cinque stelle Massimo Artini, veniva definito “ex tenente dei Carabinieri ed ex assicuratore che si spaccia per costituzionalista”. E Walter Rizzetto, ora nei ranghi di Fratelli D’Italia, gridava “all’inciucio di quattro forze politiche rispetto a una legge che dovrebbe essere condivisa da tutti” e accusava l’M5s di aver tradito la fiducia del suo elettorato, e la proposta di legge sottoscritta da trecentocinquantamila persone in occasione del V-Day del 2007, che “tra i vari punti conteneva l’introduzione del voto di preferenza”. E, diceva Artini, quella legge “era stata presentata a Palazzo Madama tra le prime proposte del M5s, con le firme di tutti i senatori”. “Questa legge è un Porcellum bis, il 64 per cento degli eletti sarà nominato dai vari leader e capibastone”, diceva Tancredi Turco, poi lanciando la frase che, con il senno pomeridiano del poi, ad alcuni pareva profetica: “Oggi in Aula il M5s getterà la maschera. Vedremo come voterà sulla pregiudiziale di costituzionalità e se salterà questo inciucio”. Poi calava la sera, la Camera bocciava l’emendamento per il voto disgiunto e si restava ancora una volta, inesorabilmente, appesi al verbo del Sacro Blog.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.