Alessandro Di Battista e Beppe Grillo (foto LaPresse)

Il culto della democrazia digitale si sposa bene con le balle della post verità

Claudio Cerasa

La difesa grillina dell’infallibilità della rete ci aiuta a capire cosa si nasconde dietro il mito della democrazia diretta: non l’evoluzione di un sistema democratico, ma una grande e clamorosa degenerazione

La discussione sulle notizie false – intesa come il giusto atteggiamento che un veicolo di informazioni dovrebbe avere di fronte al propagarsi di fake news – nel corso dei giorni si è arricchita di considerazioni utili e di spunti di riflessione interessanti. C’è chi dice che non si può fare nulla con le notizie false e che le notizie false sono orrende, sì, ma sono una spia di una democrazia aperta che difende anche la libertà di sparare stupidaggini. C’è chi dice che invece no, in questo modo non si può andare avanti, perché le notizie false stanno distorcendo il nostro sistema democratico e così come un editore di un giornale ha il dovere di assumersi la responsabilità rispetto a ciò che pubblica anche i gestori dei social network non possono essere irresponsabili di fronte alla propagazione di menzogne sulle loro reti. Del tema se ne discuterà ancora a lungo, ma all’interno del dibattito in corso c’è una posizione significativa che merita di essere messa in evidenza (non per ragioni positive) che è quella di Beppe Grillo. Tra le sue appassionate argomentazioni in difesa della post verità, cioè delle bufale, il leader del Movimento 5 stelle ha formulato un assioma che da un certo punto di vista costituisce l’architrave sul quale si basa la cultura grillina: il culto della democrazia digitale. Secondo la logica grillina, che ha un suo senso e un suo seguito, la difesa della post verità non è da intendere solo come difesa delle bufale, ovvero delle notizie false. Ma è da intendere sotto una luce diversa.

  

La post verità va infatti tutelata perché fa parte di un insieme confuso ma affascinante di contenuti veicolati dall’unico strumento di informazione capace di raccontare al mondo una verità (eccola la post verità) diversa dalla vecchia verità veicolata dai vecchi e infami strumenti di informazione. In base a questo ragionamento, tutto ciò che nasce sulla rete fa parte di un grande patrimonio dell’umanità che non è la libertà d’espressione ma è la libertà di alimentare una grande utopia: l’infallibilità della rete e il conseguente regime speciale da patrimonio dell’Unesco da adottare con tutto ciò che nasce dalla rete. Il gioco è chiaro: la difesa della rete, intesa come unico luogo all’interno del quale si può sviluppare una vera forma di democrazia, è funzionale al progetto del totalitarismo digitale grillino, che prevede non il completamento della democrazia rappresentativa con innesti di democrazia diretta, ma la distruzione della democrazia rappresentativa, con una logica che deriva da un obiettivo chiaro: lotta indiscriminata al potere rappresentativo. Le conseguenze culturali sono state perfettamente sintetizzate così, tre giorni fa, dal grande Biagio De Giovanni. “Viene un dubbio: azzerare le mediazioni soprattutto del potere politico e delle culture politiche organizzate è proprio ciò che rende sempre più liberi i poteri indiretti e anonimi, e il potere non meno vigoroso dei tecnici delle compatibilità, insomma un vero possibile boomerang per i teorici della libertà dal potere. Il potere è ambiguo, nessuno mai lo ha negato. Ma che cosa implica la lotta indiscriminata al potere rappresentativo? Quali ossessioni critiche vengono portare allo scoperto? Quali pulsioni nascoste vengono legittimate? E chi legittima che cosa?

 

Abbiamo avuto esempi lampanti di che cosa può significare il labile voto nella ‘Rete’. Di come lì può agire un potere anonimo senza controlli. Onde il dubbio principale: la ‘Rete’ è poi davvero la verità che vince sul potere? Ma è mai stata possibile una libertà senza vincoli?”. In un delizioso passaggio del suo libro sul movimento 5 stelle, “La democrazia del clic”, il sociologo Alessandro Dal Lago, intervistato giovedì scorso su questo giornale dalla nostra Marianna Rizzini, ha affrontato con anticipo il tema, mettendo a fuoco una delle ragioni che porta il movimento 5 stelle a difendere l’utopia dell’infallibilità della rete: “Per i grillini, la rete è un ambiente fondamentale in quanto sostituisce la vecchia opinione pubblica, quella dell’era pre digitale. In quanto risorsa, la rete offre legittimazione a chi agisce in suo nome, perché virtualmente universale, “naturalmente” democratica e quindi politicamente legittima. In rete, come si dice, ognuno vale uno, chiunque può dire la sua opinione, ogni opinione equivale a quella degli altri. Come mezzo, la rete funziona infinitamente meglio dei vecchi media, perché non solo arriva istantaneamente a un pubblico enorme ma dà a tutti quelli che ne fanno parte la sensazione di essere i veri destinatari dei messaggi”. La difesa della post verità assoluta veicolata dalla rete è la grande essenza della truffa grillina: distruggere i corpi intermedi non per creare una nuova forma di democrazia ma per far sì che nella nuova democrazia gli unici che hanno il controllo non sono “i cittadini della rete” ma sono coloro che controllano da remoto, per propri fini personali, i meccanismi della rete e che dunque fanno di tutto per trasformare la democrazia digitale in una democrazia del like.

 

In nome della rete, dunque, si può fare tutto e si può vivere anche senza regole definitive, fuori dalla legalità, in una Costituzione immateriale fatta sostanzialmente di un solo articolo: chi mette in discussione la verità veicolata dalla rete mette in discussione la verità della rete. Così come il contratto sottoscritto da Virginia Raggi al momento della sua candidatura potrebbe aiutarci a scoperchiare la truffa costituzionale del movimento 5 stelle (il 13 gennaio si esprimerà il tribunale civile di Roma), allo stesso modo la difesa della post verità da parte dei sostenitori del mito infallibile della rete potrebbe aiutarci a guardare negli occhi ciò che davvero si nasconde dietro il mito della democrazia diretta grillina: non l’evoluzione di un sistema democratico, ma una degenerazione, che riporta alle nostre menti non tanto il fascismo (non esageriamo) quanto il dispotismo di una maggioranza guidata da sciamani: lo stesso descritto con anticipo sui tempi da Alexis de Tocqueville. In un commento su Facebook, il nostro amico Umberto Minopoli ha trovato il modo migliore per sintetizzare il concetto: ovvio, c’è bisogno di dirlo?, che la rete sia uno strumento straordinario, ma altrettanto ovvio dovrebbe essere che il web non è una forma superiore o positiva di dialogo o di decisione democratica, e anzi, se proprio dobbiamo dirla tutta, l’utopia della democrazia digitale contiene un pericolo grave per la correttezza della decisione politica e per la stessa democrazia: “Eleva a opinione paritaria l’opinione di autentici ciarlatani e dà dignità politica e dialogica alle opinioni di minoranze incompetenti”. Se davvero vogliamo parlare di post verità forse dovremmo ripartire da qui.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.