(foto LaPresse)

Ripetizioni a Renzi su come risparmiare sulla scuola (e renderla libera)

Piero Vietti
L’idea del costo standard di Suor Anna Monia Alfieri: rendere i costi omogenei non avrebbe nessun costo aggiuntivo per lo stato, ma permetterebbe alle famiglie di scegliere liberamente dove iscrivere un figlio, evitare di pagare due volte la scuola in caso di iscrizione a una paritaria (nelle tasse e nella retta) e genererebbe un effetto positivo.

Roma. Il suo intervento alla convention di Stefano Parisi, lo scorso 16 settembre, è stato uno dei più applauditi. Suor Anna Monia Alfieri era stata invitata dall’aspirante leader del centrodestra a raccontare la sua visione di scuola, di cui è esperta, e a spiegare la sua idea per mettere in pratica la parità scolastica – condizione necessaria perché ci sia vera libertà di educazione – che è quella del cosiddetto costo standard: uno studente che frequenta una scuola statale costa alle casse pubbliche circa 7.000 euro l’anno, chi va in una scuola paritaria più o meno 500 (ma la cifra varia a seconda del grado di istruzione). Rendere i costi omogenei non avrebbe nessun costo aggiuntivo per lo stato, ma permetterebbe alle famiglie di scegliere liberamente dove iscrivere un figlio, evitare di pagare due volte la scuola in caso di iscrizione a una paritaria (nelle tasse e nella retta) e genererebbe un effetto positivo, assieme ad altri interventi correlati dello stato, sul sistema scolastico nazionale.

 

Due giorni fa il Consiglio di stato ha sbloccato i fondi statali destinati alle scuole paritarie per l’anno scolastico 2015-2016, bloccati da mesi per una causa dell’Associazione nazionale degli istituti non statali di educazione e istruzione. Sono pochi, ma vitali per permettere a molti istituti di non chiudere e continuare a proporre un’offerta educativa alternativa a quella di stato (ma dallo stato stesso riconosciuta valida). “Ora c’è da sperare che gli uffici regionali siano rapidi a erogare questi fondi sbloccati”, commenta con il Foglio suor Anna Monia Alfieri, che per fare capire di cosa stiamo parlando snocciola un paio di numeri indicativi: “Nelle scuole paritarie c’è il 12 per cento degli studenti italiani, ma di tutti i fondi destinati alla scuola solo l’1,2 per cento va a questi istituti”.

 

Eppure, a giudicare dagli applausi ricevuti alla convention e i clic che il suo video ha fatto in rete, il tema è molto sentito dagli italiani: “Quando parliamo di scuole paritarie non parliamo solo dei 961.000 studenti e circa 100.000 docenti che le frequentano e ci lavorano, ma anche di oltre cinque milioni di ‘portatori di interesse’: i genitori e i nonni dei ragazzi, i coniugi e i figli degli insegnanti…”, tutte persone che starebbero meglio se il sistema scuola funzionasse davvero. “E’ curioso – fa notare suor Anna Monia – che un governo come quello del premier Renzi, molto attento al riconoscimento di tanti diritti, non abbia ancora avvertito l’esigenza di garantirne uno già riconosciuto dalla Costituzione e dalla legge italiane, e cioè quello della libertà di scelta educativa”.

 

Le obiezioni più comuni alla parità scolastica solitamente sono di carattere economico, ma queste sarebbero superate dalla proposta di costo standard di suor Anna Monia (ben illustrata nel volume “Il diritto di apprendere”, edito da Giappichelli). “Il sistema italiano – prosegue l’esperta di istruzione – è classista, regionalista e discriminatorio. Classista perché impedisce ai più poveri di iscrivere i figli in scuole non statali, regionalista perché produce risultati molto diversi a seconda delle zone del paese, e discriminatoria per gli insegnanti che in fondo non sono liberi di insegnare dove vogliono, e se chiamati dallo stato sono di fatto costretti ad accettare perché lavorando in una paritaria si guadagna di meno”. Altri numeri: l’Italia è al 47mo posto nella classifica mondiale della libertà di scelta educativa, ed è una eccezione negativa in Europa, dove meritocrazia, libera concorrenza tra privati e stato, valutazione dei docenti e autonomia sono caratteristiche dell’offerta scolastica di quasi tutti i paesi.

 

Eppure sono decenni che in Italia si discute di parità, ma ben poco si è mosso: restano in piedi vecchie contrapposizioni, rendite di posizione, interessi politici e sindacali. “La contrapposizione ideologica non è più forte come un tempo – corregge suor Anna Monia, che da mesi tiene incontri nelle scuole e partecipa a convegni – quando anche i cattolici sbagliarono certi toni nella battaglia per la libertà di educazione. Manca la volontà politica di risolvere un problema che non ha colore politico, ma è trasversale”. La Buona Scuola era partita bene, però. “Vero, ma è finita male, diventando una sanatoria per i precari, producendo cattedre vuote o in sovrannumero a seconda dei casi”.

 

Come uscirne, evitando il prevedibile no dei sindacati? “Smettendola con interventi da ammortizzatori sociali e dicendo che si vuole mettere al centro lo studente: per fare un buono studente, innanzitutto devo dargli buoni docenti, per cui serve libertà di assunzione, mobilità. Ci deve essere autonomia, libera concorrenza sotto lo sguardo garante e non gestore dello stato”. Rivedere le linee di finanziamento, dare alle famiglie la possibilità anche economica di iscrivere i propri figli nella scuola che reputano migliore, aumentare controlli e valutazioni. Avere il coraggio della libertà, coscienti che questo cambio di paradigma non porterebbe costi aggiuntivi allo stato. Che non è poco.

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  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.