Dopo la primavera in Siria la gelata dura da sei anni

Adriano Sofri

A definire Assad, ancora più delle centinaia di migliaia di morti e dei milioni di sbandati nei sei anni di guerra incivile, vale la tenacia con la quale resiste all’eventualità di farsi da parte

Sarà tutta questa fioritura e tutti questi starnuti e la vicinanza del 25 aprile, mi sono rimesso a pensare alla primavera dei popoli e alla primavera di Praga e alla rapidità piena di saggezza con la quale dalle nostre parti si è rinnegato il movimento che scosse i regimi mediorientali e si è giocato sull’inverno precoce che l’ha raggelato. In Siria la gelata dura da sei anni. Il fatto è che anche il 1848 – a nominare la primavera dei popoli fu un populista scientifico come Karl Marx – e anche la primavera di Praga, che era cominciata a gennaio e finì in agosto del 1968, furono represse sanguinosamente e restaurarono troni e instaurarono servi di tiranni. Anche allora ci fu chi si schierò, ubriaco di saggezza, dalla parte dei tiranni e dei loro servi. Nessuno di quei despoti restaurati, di quei tiranni e di quei servi avrebbe potuto vantare un record di propri sudditi morti ammazzati lontanamente paragonabile a quello di Bashar el Assad. A definire Assad, ancora più delle centinaia di migliaia di morti e dei milioni di sbandati nei sei anni di guerra incivile, vale la tenacia con la quale resiste all’eventualità di farsi da parte – da una parte dorata, peraltro – per consentire una qualche risalita dall’abisso di macerie e di dolore. Dev’essere per questo che vanno a farsi la fotografia con lui.

Di più su questi argomenti: