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I moralizzatori di Trump hanno fatto finta di non vedere i vizi di Weinstein

Tutti sapevano, tranne Meryl Streep

New York. Ho incontrato un tizio che assomigliava ad Harvey Weinstein sulle scale di un appartamento su Park Avenue, in uno dei numeri civici più ambiti del mondo, a una festa di Natale. Aveva i jeans sporchi, le sneakers, una felpa qualsiasi. Quando l’alticcio padrone di casa mi ha presentato come un giornalista in odore di Pultizer, lui ha detto “Harvey, piacere” e io mi sono mentalmente dato uno schiaffo per aver dimenticato la regola più vecchia del mondo: quelli vestiti peggio sono sempre i più potenti. Weinstein è arrivato per ultimo ed è andato via per primo, ma non prima di aver squadrato, valutato, soppesato, profilato e, laddove c’erano le condizioni, approcciato ogni presenza femminile che gli si parasse innanzi. Qualunque osservatore normodotato avrebbe afferrato il concetto. Uno degli organizzatori della festa era il regista e produttore Michael Mailer, il figlio di Norman, dunque l’appartamento pullulava di attori, sceneggiatori, registi e facce viste in qualche serie tv.

 

A un certo punto attraverso la cortina di fumo è spuntato anche Damian Lewis. Decine di giovani attori giravano vorticosamente attorno ai tre o quattro poli magnetici della serata, quelli che possono dare lavoro a chi la sera serve cocktail in un bar di Brooklyn per sbarcare il lunario. Weinstein era il più potente centro di gravità di questa incredibile danza in cui le attrici letteralmente sgomitavano per farsi largo nel capannello e mostrare all’überprodotture di Hollywood il loro sguardo più penetrante, che immancabilmente veniva preso per qualcos’altro. Una giovane attrice che fumava sigarette sottili mi ha raccontato che Harvey l’ha puntata mentre faceva la fila per la toilette. E’ partito con i complimenti per il suo talento indiscusso e ha concluso con l’invito a discutere del futuro nella sua camera d’albergo. Lei si è divincolata dalla situazione ed è tornata nella sala da pranzo, dove una collega neozelandese l’ha accolta con uno sguardo di rimprovero in cui si leggeva “ma non conosci le regole del gioco?”. Era la prima volta che la ragazza incontrava Weinstein di persona, ma decine di racconti e testimonianze l’avevano preparata a quello che sarebbe potuto accadere, al modo in cui il produttore avrebbe impostato la relazione con un’attrice in erba, dunque in casting permanente. Mi ha raccontato di tutte le persone che, per esperienza diretta, l’avevano messa in guardia.

 

Ora che il New York Times ha svelato le avances sistematiche, i rapporti di sottomissione ed esercizio del potere, la preferenza per i colloqui in una camera d’albergo di Beverly Hills, le richieste di guardarlo mentre faceva la doccia, le apparizioni a sorpresa “nudo o seminudo”, ora che il board della Weinstein Co. lo ha licenziato e il mondo perbene lo ha condannato, è molto più facile dire che lo sapevano tutti da sempre, ma una festa altolocata e un briciolo di conoscenza della natura umana erano sufficienti per capire da che parte tirava il vento quando si trattava dei rapporti di Weinstein con il mondo femminile. Tuttavia Meryl Streep, guerriera della parità di genere nella sessista Hollywood e capofila delle critiche a Donald Trump che prende le donne “by the pussy”, non si era accorta di nulla. La regina degli Oscar che chiamava scherzosamente Weinstein “dio” ha scritto una nota a margine del suo crepuscolo: “Una cosa va chiarita. Non tutti sapevano. Harvey affrontava il suo lavoro in modo feroce, era ossessivo ma rispettoso nella relazione professionale con me e con molti altri. Non sapevo dei suoi accordi finanziari con le attrici e le colleghe. Non sapevo degli incontri nelle camere d’albergo, nel bagno e altre attività inappropriate e coercitive”.

 

Gli ultimi invitati a una festa qualsiasi nel mondo del cinema sapevano, ma non Meryl Streep, che ha eletto le donne che si sono fatte avanti nel denunciare il potente molestatore seriale come “le nostre eroine”, ma con questa dichiarazione si candida all’ennesima statuetta per la performance. Non è certo la sola a trovarsi in imbarazzo per un caso che espone l’ipocrisia dell’industria cinematografica che ha moralizzato il mondo intero per la condotta vergognosa del presidente e poi chiude un occhio, anzi due, sui peccati del suo beniamino. Gli autori del Saturday Night Live, che nell’ultimo anno si è trasformato in una tribuna politica in un format comico, avevano preparato degli sketch su Weinstein, ma sono scivolati via dalla scaletta poco prima di andare in onda.