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Il duello tedesco-americano e nuovi dubbi esistenziali d'Europa

Alberto Brambilla

Berlino risponde con insolita assertività all’ultimo tentativo di Washington di limitare la sua autonomia. Parlano Lucio Caracciolo e Francesco Galietti

Roma. Lo scontro cronico tra Stati Uniti e Germania sta vivendo una fase acuta col risultato di produrre nuovi dubbi esistenziali sulla futura direzione geopolitica europea.

 

Il pensiero della cancelliera tedesca Angela Merkel, secondo il suo portavoce, è che sarebbe un errore se gli Stati Uniti usassero le sanzioni alla Russia per promuovere gli interessi economici americani. La reazione tedesca, insolitamente assertiva, è motivata dalla decisione presa mercoledì dal Senato americano di imporre nuove sanzioni a Mosca e ai suoi partner commerciali, dopo la presunta interferenza sulle elezioni presidenziali del 2016 e gli interventi militari in Siria e in Ucraina. Il provvedimento ora passa alla Camera dei rappresentanti, ma ha già sollevato critiche da parte di Commissione europea, Austria e appunto Germania. Le sanzioni avanzate dagli Stati Uniti impongono restrizioni punitive per le compagnie che lavorano a “gasdotti per l’esportazione di energia” dalla Russia, in particolare il raddoppio del gasdotto Nord Stream. Il progetto Nord Stream 2 raddoppia la capacità di esportazione di Gazprom, monopolista del gas controllato dal Cremlino, nella fornitura di idrocarburi all’Europa passando sotto il Mar Baltico con approdo a Greifswald, Germania nord-orientale. La decisione colpisce le società che finanziano il progetto: l’anglo-olandese Royal Dutch Shell, la francese Engie, le tedesche Wintershall e Uniper, l’austriaca Omv.

 

Il conflitto euro-atlantico si acutizza dopo la decisione americana di colpire il gasdotto russo-tedesco Nord Stream. L'America vuole limitare la potenza tedesca in un'escalation di sfiducia reciproca. La Cina al centro dei timori di Washington che non lasciano indifferente la Francia di Macron. Parla Caracciolo (Limes)

Germania e Stati Uniti, reciprocamente sospettosi, hanno ingaggiato una serie di conflitti economici rilevanti. Basti citare il Dieselgate, che ha messo il sale sulla coda al campione automobilistico Volkswagen, le sanzioni al colosso bancario Deutsche Bank, definita dal Fondo monetario internazionale il principale rischio sistemico per la finanza mondiale, oppure viceversa le accuse tedesche ai monopolisti del web americani Google e Facebook. I conflitti sono stati gestiti in modo tutto sommato diplomatico durante l’Amministrazione Obama. Il nuovo presidente americano Donald Trump, di origini tedesche, sta portando avanti la stessa strategia ma con toni esasperati che ne confermano il carattere da cowboy piombato nel saloon della geopolitica. Trump non ha stretto la mano a Merkel in visita alla Casa Bianca. Merkel ha poi reso palese la crisi con gli Stati Uniti al G7 di Taormina di fine maggio, definendo l’America “inaffidabile” al punto da spingere l’Europa a dovere fare da sola. Un intento che Washington non può tollerare. “Quando Merkel dice che l’Europa non può fidarsi degli altri e deve prendere i problemi nelle sue mani segna uno spartiacque – e disegna ciò che gli Stati Uniti hanno cercato di evitare dalla fine della Seconda guerra mondiale”, ha detto Richard Hass, presidente del Council on foreign relations. A preoccupare gli Stati Uniti è la ricerca di autonomia da parte di Berlino. La Germania intende investire 130 miliardi di euro nei prossimi quindici anni per dotarsi di forze armate degne di tale nome, ha il controllo di due terzi delle Forze armate dell’ Olanda, stato suo vassallo. Nel dibattito pubblico tedesco si è appena infranto il tabù della dotazione di un arsenale atomico – una potenziale invasione delle prerogative militari di Francia e Regno Unito, le sole potenze continentali a possedere testate nucleari.

 

Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes – che dedica il suo ultimo numero a “Usa-Germania, duello per l’Europa” – ricorda che “il principio fondativo per gli Stati Uniti è che non deve esistere, soprattutto in Eurasia, una potenza autonoma alternativa all’America, e la Germania ha violato questo precetto nella Prima e nella Seconda guerra mondiale e lo fa ancora oggi. E’ un paese sotto osservazione che secondo l’establishment americano intrattiene alleanze commerciali preoccupanti, in bilico tra il vincolo occidentale e l’avvicinamento alla Russia e alla Cina, da un lato aggirando acrobaticamente le sanzioni e dall’altro come primo partner di Pechino”. L’approccio predatorio cinese di asset europei – introdurre, digerire, assorbire e ri-innovare le specializzazioni di aziende obiettivo – è mal tollerato non soltanto negli Stati Uniti – che si sono opposti ad acquisizioni cinesi in Germania attraverso veti del Comitato per gli investimenti esteri, e ora intendono stilare una “black list” di società cinesi in America – ma anche in Italia e in Francia. Lo scorso febbraio il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha inviato una lettera firmata dai sui omologhi francese e tedesco alla Commissione europea per chiedere reciprocità degli investimenti tra Cina ed Europa. La risposta ad acquisizioni straniere sarà discussa al prossimo summit europeo su impulso del neopresidente francese Emmanuel Macron, ex funzionario della banca d’affari Rothschild. Una bozza del comunicato finale riportata dal Financial Times parla di esplorare misure per “vagliare gli investimenti esteri ove necessario per mitigare i rischi alla sicurezza nazionale”. La definizione di “sicurezza nazionale” lascia ampio spazio all’interpretazione e non esclude l’ipotesi che possano acutizzarsi forme di protezionismo nazionalistico tra stati europei della cui utilità è legittimo essere scettici. “Gli europei si mettono spesso le dita negli occhi. Ma il concetto di sicurezza nazionale che ha la maggior parte degli stati è obsoleto”, dice Francesco Galietti, analista di Policy Sonar. “Il concetto di sicurezza nazionale di Pechino è molto vasto, va dal settore militare alla società e alla cultura. Se i cinesi comprano asset in Europa che considerano materia da ‘sicurezza nazionale’, perché noi non dovremmo adottare la stessa definizione del nostro acquirente?”, si chiede Galietti. I paesi europei con una postura anti-protezionista hanno però intenzione di opporsi all’idea di un meccanismo europeo contro le acquisizioni estere, già mugugnano l’Olanda, ventriloquo della Germania, e i paesi Baltici, che ricadono anch’essi nella sfera tedesca.

 

Il quadro che si sta componendo è problematico per l’Italia. Per dirla con una metafora usata da Caracciolo, è come vedere litigare mamma America – che offre protezione – e papà Germania – severo ammonitore – costringendo l’Italia a decidere con chi dei due passare il tempo libero. L’integrazione dell’apparato produttivo-manifatturiero del nord Italia nel sistema economico tedesco, e quello del sud nella strategia militare americana, costringerà Roma a una scelta esistenziale.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.