Foto LaPresse/Greenpeace/Francesco Alesi

Quello che Legambiente non dice sugli ecoreati

Maria Carla Sicilia

Dopo due anni dall'approvazione della legge sui delitti ambientali il bilancio è di molti processi e altrettante criticità operative 

“La legge 68/2015 sugli ecoreati sta funzionando”. È il messaggio che Legambiente ha lanciato ieri presentando un rapporto sull'applicazione della norma a due anni dalla sua approvazione. Numeri e casi raccolti nel dossier a dimostrazione dell'efficacia e dell'incisività del provvedimento, che introduce i reati di inquinamento ambientale, di disastro ambientale, di traffico e abbandono di materiale radioattivo, di impedimento di controllo e di omessa bonifica. Nuove fattispecie grazie a cui dal primo giugno 2015 a fine 2016 si sono aperti 467 procedimenti penali con 651 persone denunciate, secondo i dati raccolti da 87 procure e riportati nel dossier. E se è vero, come dice Legambiente, che nel 2015 sono stati 41 i procedimenti giudiziari conclusi con condanne di primo grado, è vero pure che l'altra faccia della medaglia è un ingorgo delle procure per via della lunga durata delle indagini e della complicata applicazione della legge.

     

Era il 19 maggio 2015 quando, dopo un anno e mezzo di rimbalzi tra le due camere e un forte pressing politico, il disegno di legge è stato approvato dal Senato. “Una giornata storica”, diceva il ministro dell'Ambiente Gianluca Galletti, per il quale l'approvazione del provvedimento era diventato un impegno non più rimandabile. Nonostante da più parti si evidenziassero diversi punti ritenuti controversi e di complicata interpretazione in sede giudiziaria, la legge era destinata a essere approvata entro il mese di maggio 2015: l'allora premier Matteo Renzi si disse anche disposto a mettere la fiducia perché il Senato la approvasse senza farsi distrarre dai troppi emendamenti presentati, come quelli per introdurre il divieto dell'air gun (la tecnica usata per l'esplorazione in mare degli idrocarburi).

    

I nodi della legge 68/2015 però non sono scomparsi in questi due anni, come testimonia il recente rapporto a cura della Commissione parlamentare di inchiesta sulle Ecomafie, che racconta bene quello che Legambiente non spiega nella sua relazione, fornendo un elenco delle criticità riscontrate sulla base delle segnalazioni della polizia giudiziaria e delle procure. Criticità tecnico-giuridiche che si traducono in “un lavoro complesso e delicato da parte della polizia giudiziaria e delle Procure della Repubblica presso i Tribunali”, che devono appurare “la sussistenza dei numerosi e potenzialmente controversi elementi costitutivi dei nuovi reati ambientali”. Uno dei limiti è che le indagini possono durare fino a due anni, anche per via delle difficoltà di accertare il nesso di causa-effetto tra l'evento inquinante e le condotte oggetto di indagine, ma anche per via dell'elevato numero di persone coinvolte. Altro problema è legato alle risorse, perché l'apertura di una indagine per ciascuno dei nuovi eco-reati rappresenta “una ipotesi di lavoro estremamente complessa e onerosa”. Anche perché per determinare i fatti, il pubblico ministero deve ricorrere a qualcuno in grado di produrre delle perizie tecniche molto precise, visto l'ampio spettro dei reati previsti, ricorrendo a alle polizie giudiziarie specializzate o alle agenzie ambientali, se non proprio a consulenti esterni.

    

“Altro importante aspetto problematico che emerge fra quelli sin qui richiamati – continua il rapporto - è quello relativo all'accertamento dei soggetti responsabili delle nuove fattispecie criminose”. In altre parole si archiviano i casi perché nei termini di indagine previsti non si identifica un responsabile. Secondo i dati i procedimenti contro ignoti rappresentano una quota significativa delle contestazioni relative ai nuovi eco-delitti, circa un terzo sul totale delle contestazioni.

   

Più che una legge che funziona, come dice Legambiente, la legge 68/2015 è “una legge potenzialmente destinata ad acquisire progressiva efficacia”, come dice la Commissione. Salvo intervenire con interventi del legislatore o almeno interpretando le norme al fine di renderle più efficacemente applicabili, come si suggerisce di fare nella relazione.