Un'immagine di Eluana Englaro morta nel febbraio del 2009 (foto LaPresse)

Il medico di Eluana Englaro ci dice che una legge sul fine vita serve

Nicola Imberti

Parla Carlo Alberto Defanti: "La nutrizione artificiale è una pratica medica e come tale può essere sospesa"

Roma. Due settimane fa, dopo la morte di Dj Fabo, non si parlava d’altro. Quasi che l’Italia non potesse più andare avanti senza una legge sul testamento biologico. Spinta dal clamore della vicenda la Camera si era affrettata a calendarizzare il testo in discussione, da qualche mese, in Commissione. Poi le grida della folla si sono placate. Oggi il disegno di legge prosegue il suo iter in silenzio. E c’è già chi dice che, dopo il passaggio a Montecitorio, sarà il Senato a rallentarne l’approvazione.

Ma anche se arrivasse il via libera, Carlo Alberto Defanti non nutre molte speranze. “Quello uscito a dicembre dalla commissione Affari Sociali – spiega al Foglio – era un buon testo. Adesso vedo che in molti stanno cercando di far prevalere i propri valori etici. Che sono rispettabili, ma non possono essere imposti”.

 

Defanti è un medico, neurologo, primario emerito dell’ospedale Niguarda di Milano, membro della Consulta di Bioetica. Defanti è il medico che curò Eluana Englaro. Professore, c’è chi dice che con questa legge, eliminando la “responsabilità civile e penale del medico”, si mira ad abrogare, tacitamente, il reato di aiuto al suicidio? “In realtà il comma che lei cita poteva benissimo non esserci. Se la legge dice al medico di eseguire la volontà del paziente, è chiaro che non c’è alcuna responsabilità. Immagino che sia stato inserito per sgravare i medici da responsabilità che credono di avere. Conosco tanti colleghi che non danno seguito alla volontà dei pazienti per paura di essere denunciati. Diciamo che l’intento è buono, il risultato pessimo”.

 

Ma così non si rischiano derive eutanasiche? “L’articolo 32 della Costituzione dice che ‘nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario’. Come medico io sono al servizio del paziente. Io faccio tutto il possibile per aiutarlo, ma se lui rifiuta i trattamenti non posso che prenderne atto. Certo, a volte può capitare che qualcuno, in un momento di sconforto, dica: ‘dottore, mi faccia morire’. Ma le assicuro che non ho mai incontrato colleghi che rispondono ‘sì, certo’. In quei casi, al contrario, si cerca di aiutarli a superare la difficoltà. Se però, in coscienza, mi chiedono di interrompere i trattamenti, può dispiacermi umanamente, ma moralmente devo fare ciò che mi viene chiesto”.

 

In questo modo, però, non si trasforma il medico in un mero “esecutore testamentario”? “Come medico sono al servizio del malato che deve avere l’ultima parola. Anche perché non nuoce a nessuno se non a se stesso. E comunque le Disposizioni anticipate di trattamento sono revocabili in qualsiasi momento. Le assicuro che accade spesso. Molti malati di Sla, ad esempio, col passare del tempo accettano la loro mutata condizione di vita e anche se inizialmente pensavano di rinunciare ai trattamenti, non lo fanno”.

Ma se il malato non è cosciente? “La legge prevede l’indicazione di un fiduciario che discuterà col medico se vale la pena proseguire o meno”.

 

Difficile, a questo punto, non pensare al caso di Eluana Englaro. E alla decisione di interrompere idratazione e nutrizione. E’ giusto considerarli dei trattamenti? “La comunità scientifica è concorde nel definire la nutrizione artificiale come una pratica medica. Dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati è un giusto comandamento, ma non in questi casi. Tra l’altro, nei dipartimenti di cure palliative, si è scoperto che il malato terminale cui viene messa la flebo, soffre di più. La sospensione dell’idratazione consente un trapasso più dolce. Ed è una prassi comune”.

 

Insomma per Defanti non c’è alcun rischio di deriva eutanasica: “Basta vedere cosa è accaduto nei paesi in cui è stata introdotta una legge simile. E non sto parlando di Olanda, Belgio e Lussemburgo dove si parla chiaramente di eutanasia attiva e aiuto al suicidio. Raccontano che anche Giovanni Paolo II, che era alimentato con un sondino, ad un certo punto disse ‘lasciatemi tornare alla casa del Padre’. Dobbiamo dire che è stato un caso di eutanasia?”.

“Io credo che sia giusto fare una legge perché un medico non può intervenire nel sistema di valori di altri. Una legge che deve contenere tre punti chiari: l’ultima parola spetta al malato, la nutrizione può essere sospesa e occorre prevedere la sedazione palliativa profonda. La sospensione dei trattamenti, infatti, può provocare un disagio. Il malato non deve soffrire. Spero che, mi trovassi in questa situazione, venga fatta anche a me”.

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