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le peripezie di elon

Salvate il soldato Musk. Da Starlink ai piani di pace che Putin apprezza

Eugenio Cau

Tutte le imprese da lui avviate si dividono in due campi: rivoluzionarie e demenziali. Alla prima categoria appartiene il sistema di satelliti che ha salvato le comunicazioni web degli ucraini. Alla seconda, la proposta per mettere fine alla guerra in Ucraina

Tutte le imprese avviate da Elon Musk negli ultimi vent’anni si dividono in due campi: rivoluzionarie e demenziali, senza vie di mezzo. Grazie a Tesla, Elon Musk ha creato praticamente da solo un nuovo settore di mercato automobilistico, quello delle vetture elettriche: se oggi Volkswagen, Fiat e tutte le altre si affannano a produrre modelli elettrici, una parte bella grossa del merito è di Musk – e questa, ovviamente, è un’impresa rivoluzionaria. Musk ha anche aperto una nuova èra di viaggi spaziali con SpaceX, e fatto cose che prima sembravano impossibili, come far atterrare in piedi enormi razzi che hanno portato astronauti e satelliti in orbita. Queste sono rivoluzioni vere, che hanno contribuito a cambiare il mondo per il meglio.

Poi ci sono le imprese demenziali. A un certo punto, Musk decise che era stanco del traffico della California ed ebbe l’idea di scavare tunnel sotterranei per evitare le code in autostrada: si capì ben presto che le vecchie metropolitane erano più efficienti. Prima ancora, sostenne di poter creare dei treni futuristici ad altissima velocità chiamati Hyperloop, infilando un treno avveniristico in un grosso tubo. Hyperloop si rivelò immediatamente sconveniente, eccessivamente costoso e non raggiunse mai le velocità sperate (i treni tradizionali ad alta velocità sono ben più veloci, anche se ci sono dei modelli di Hyperloop che in laboratorio hanno raggiunto velocità ragguardevoli). Attualmente, sia Hyperloop sia i tunnel per le auto sono progetti mezzi morti, e nessuno spera davvero che avranno successo.

L’idea di Starlink è mettere in orbita una costellazione di microsatelliti per portare internet dove non arriva la connessione tradizionale

 

Ovviamente il colmo della demenzialità è arrivato quando Musk ha deciso, praticamente all’improvviso, di comprarsi Twitter, e ancora tutti si chiedono come sia stato possibile. Una teoria plausibile – e già questo dice molto – è che l’uomo più ricco del mondo abbia fatto un acquisto impulsivo: esattamente come noi potremmo comprare una macchina fotografica pensando che diventeremo fotografi, Musk si è comprato un social network pensando che diventerà editore di contenuti digitali. La saga dell’acquisto di Twitter, poi, è stata particolarmente ridicola: prima Musk ha fatto un’offerta d’acquisto esagerata, poi si è ritirato, poi Twitter gli ha fatto causa, e infine sembra che Musk se lo comprerà davvero, Twitter, e chissà cosa succederà a quel punto.

Starlink però non era tra le imprese demenziali. L’idea è mettere in orbita una costellazione di migliaia di microsatelliti per portare internet dove non arriva la connessione tradizionale, e per usi di tipo scientifico e militare. Starlink è piuttosto semplice da far funzionare: basta comprare un kit di ricezione composto da un’antenna e da qualche altro apparecchio che si connetterà alla rete di satelliti e porterà internet sui dispositivi, e ovviamente bisogna pagare un abbonamento. Starlink è diventato rivoluzionario dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina: Elon Musk ha puntato la sua costellazione di satelliti sul territorio ucraino e ha cominciato a spedire alla resistenza ucraina kit per la ricezione di internet – quelli ad alto potenziale, di livello militare.

L’intervento di Musk ha aiutato l’Ucraina a rivoluzionare la guerra e a cambiarne gli equilibri: anche se i russi avevano distrutto parte delle infrastrutture di comunicazione convenzionali, l’esercito ucraino in questi mesi è riuscito a mantenere attive le comunicazioni, e anzi ad avere un vantaggio sull’esercito russo. Il merito del successo dell’esercito ucraino, e soprattutto delle eccezionali controffensive degli ultimi mesi, sta almeno in piccola parte in Starlink di Elon Musk. Potendo avere un collegamento a internet sempre affidabile e sicuro, l’esercito ucraino è riuscito a garantirsi un’eccezionale mobilità, e a organizzare comunicazioni e operazioni rapidamente, molto meglio di quanto sia riuscita a fare la pesante macchina logistica e comunicativa russa. Musk, peraltro, ha fatto quasi tutto gratis. Ha donato migliaia di kit per la ricezione all’esercito ucraino (altre migliaia sono state comprate dal governo degli Stati Uniti, o grazie a campagne di beneficenza) e ha fornito gratuitamente il servizio di connessione con i satelliti.

Alla fine di settembre, gli ucraini hanno cominciato a lamentare  cadute di comunicazione di Starlink nelle regioni occupate dai russi

 

Per mesi, Elon Musk è stato un eroe della resistenza ucraina, e l’autore di un’altra rivoluzione riuscita.

Ma alla fine di settembre, le forze ucraine hanno cominciato a sostenere che ci fossero improvvise cadute di comunicazione di Starlink, e che la connessione venisse meno in prossimità delle regioni ucraine dell’est e del sud, cioè quelle che la Russia occupa in parte con il suo esercito e che ha recentemente annesso con un referendum illegale e farsesco. In alcuni casi, hanno detto i militari ucraini al Financial Times, questi problemi hanno provocato conseguenze “catastrofiche” sul campo di battaglia. Pochi giorni dopo, Musk ha cominciato a lamentarsi del fatto che essere un eroe della resistenza ucraina gli stava costando troppo, e ovviamente se n’è lamentato su Twitter, dove ha scritto che l’operazione per fornire Starlink all’Ucraina gli era già costata 80 milioni di dollari ed entro la fine dell’anno sarebbe arrivata a 100 milioni. In una lettera inviata a settembre al Pentagono e vista da Cnn, Musk ha chiesto al governo americano di coprire le spese: la lettera è stata inviata più o meno nello stesso periodo in cui l’esercito ucraino ha cominciato a notare i malfunzionamenti nel sistema satellitare.

In quegli stessi giorni, nella prima metà d’ottobre, Musk si è messo a twittare di geopolitica. Era una novità per lui. Musk, che si autodefinisce da sempre un “assolutista della libertà di parola”, e che è evidentemente dipendente da Twitter, twitta praticamente su ogni argomento, ed è piuttosto noto perché twitta con molta sicurezza non soltanto sulle cose che sa, ma forse soprattutto su quelle che non sa, come la politica, le tasse, il welfare. Così, a inizio ottobre e praticamente senza preavviso, ha twittato un piano in quattro punti per la pace in Ucraina, corredato di sondaggio online, per far provare agli utenti di Twitter il brivido di trovarsi all’Assemblea generale dell’Onu. Il problema è che il piano, di fatto, era la lista dei desideri di Vladimir Putin.

Il primo punto prevedeva di ripetere il referendum farsa per l’annessione alla Russia delle regioni dell’est e del sud dell’Ucraina, sotto la supervisione dell’Onu ma mantenendo i territori sotto l’occupazione militare russa: i russi, infatti, se ne sarebbero dovuti andare solo in caso di sconfitta del referendum, se questo fosse stato “il volere del popolo”, e non prima. Musk non sembrava considerare che un referendum sotto la minaccia delle armi difficilmente potrà mai essere equo. Il secondo punto prevedeva che l’Ucraina cedesse senza fiatare la penisola di Crimea alla Russia e che – terzo punto – ne garantisse l’approvvigionamento idrico. Quarto e ultimo punto è una garanzia di neutralità dell’Ucraina, anche se non è chiaro di che tipo: probabilmente, Musk vorrebbe impedire che l’Ucraina entri nell’Unione europea o nella Nato. Quindi, secondo Musk, il modo per porre fine alla guerra sarebbe: ripetere i referendum farsa per l’annessione di oltre il 15 per cento del territorio ucraino con l’esercito russo ancora a occuparlo; consegnare la Crimea alla Russia con varie garanzie e infine impedire all’Ucraina di decidere le proprie alleanze. Putin ci metterebbe la firma domani. Con un tweet, l’eroe della resistenza ucraina si è squagliato.

Musk ha twittato un piano per la pace corredato di sondaggio online, per far provare agli utenti il brivido di trovarsi all’Assemblea dell’Onu

 

Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, ha risposto su Twitter al piano di Musk con un sondaggio alternativo in cui chiedeva agli utenti del social network quale Elon Musk preferissero: quello che appoggia l’Ucraina o quello che appoggia la Russia. Ma ci sono state anche risposte più decise. Andrij Melnyk, l’ambasciatore ucraino in Germania, ha risposto, poco diplomaticamente: “Ecco la mia risposta diplomatica: vaffanculo”. I russi, al contrario, hanno ovviamente accolto con soddisfazione il “piano di pace” di Musk, che ha avuto ampio spazio nella propaganda del regime putiniano. Musk ha poi trascorso alcuni giorni a battibeccare con politici europei (per esempio il presidente della Lituania) ed esperti più o meno noti di geopolitica. In particolare Ian Bremmer del think tank Eurasia Group, molto noto anche in Italia e sempre piuttosto desideroso di entrare del dibattito pubblico, ha cercato di far ragionare Musk con buoni argomenti e mappe elettorali ucraine: senza nessun risultato. A un certo punto, anzi, Bremmer ha perfino accusato Musk di aver parlato direttamente con Putin prima di pubblicare il suo putinianissimo “piano di pace”. Secondo Bremmer, sarebbe stato lo stesso Musk ad avergli rivelato di aver parlato con il presidente russo, in una conversazione privata. La cosa ha creato molto scandalo: l’eroe tecnologico della resistenza ucraina che prima si fa una chiacchierata con il presidente invasore, e poi twitta cose che sembrerebbero proprio uscite da una chiacchierata con il presidente invasore. Sia Musk sia il Cremlino hanno smentito.

Musk dapprima se l’è presa molto per il fatto che il suo piano sia stato accolto con scetticismo e dileggio. Rispondendo al tweet di un fan ha scritto che era addirittura “rimasto sveglio tutta la notte per pensare a ogni possibile modo per de-escalare questa guerra”: evidentemente per tanto sforzo si aspettava maggiore riconoscimento. E quando si è cominciato a parlare del fatto che Musk non avrebbe più pagato per Starlink, lui ha scritto che avrebbe smesso di pagare per ripicca contro il cattivo ambasciatore ucraino che l’aveva mandato affanculo (non era così, la richiesta al Pentagono era stata mandata molto prima). Alla fine, fortunatamente, Musk si è ricreduto su Starlink, e ha scritto che “al diavolo… anche se Starlink perde soldi e altre compagnie ottengono miliardi di soldi pubblici, continueremo a finanziare il governo ucraino gratuitamente”. In realtà il suo obiettivo era stato raggiunto: sia il Pentagono sia l’Unione europea, secondo i media, sarebbero pronti a finanziare Starlink, con soldi pubblici.

Ma Musk non ha comunque smesso di dilettarsi con la geopolitica. Mentre rimaneva sveglio tutta la notte per elaborare piani per la guerra attualmente in corso, ha fatto anche un’intervista con il Financial Times, a cui ha detto che Taiwan dovrebbe diventare una “zona amministrativa speciale della Cina”. Dovrebbe cioè rientrare a far parte della Cina, dopo decenni di indipendenza e benché l’isola non sia mai stata nemmeno un giorno sotto il controllo del Partito comunista cinese. Se le cose vanno bene, ha detto Musk, Taiwan potrebbe avere un trattamento “un po’ più favorevole di Hong Kong”, dove il governo cinese da anni applica una repressione durissima ed è in corso una progressiva eliminazione delle libertà e dei diritti della popolazione.

In un’intervista al Financial Times, ha detto che Taiwan dovrebbe diventare una “zona amministrativa speciale della Cina”

L’idea di Musk ha fatto impallidire il governo di Taiwan e mezzo occidente, ma esattamente come il suo piano per l’Ucraina era piaciuto al regime russo, il suo piano per Taiwan è piaciuto al regime cinese, che ne ha parlato ampiamente sui media di stato e ne ha approfittato per diffondere propaganda. Musk ha ricevuto i complimenti di vari diplomatici cinesi, che si sono congratulati per la sua lungimiranza. Tre giorni dopo l’intervista, inoltre, Tesla ha ottenuto dal governo cinese un’importante esenzione fiscale per la quale Musk aveva fatto richiesta tempo fa e che fino ad allora non si era mai sbloccata. Alcuni commentatori hanno ipotizzato che la dichiarazione favorevole al regime cinese e la concessione di grossi vantaggi economici da parte del regime cinese siano correlate, ma è impossibile dirlo con certezza.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.