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Come funziona Clubhouse, il social della voce

Marco Giorgio

Se saprà darsi una identità precisa, quello creato da Paul Davidson e Google Rohan potrà diventare uno dei nuovi mezzi di comunicazione dell’internet futuro. Altrimenti rischia di rimanere uno dei tanti fuochi di paglia dello startupping digitale

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La storia e l’evoluzione del Web degli ultimi anni è strettamente connessa a quella dei social. Infatti, il Web stesso nasce nel 1991, dentro Internet, come strumento di socialità, di condivisione, di trasmissione e di amplificazione. Da qui, abbiamo attraversato diverse modalità di condivisione sociale. Il testo (con Twitter), testo e immagini (con Facebook), solo immagini o video (con Istagram e Snapchat) e ora solo i video (con Tik Tok), spesso peraltro senza particolari significati o contenuti precisi. Il denominatore comune di questa evoluzione è la complessità e la velocità del contenuto, che oggi è diventato sempre più immediato (un video) e veloce (spesso dieci o venti secondi). 

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La storia e l’evoluzione del Web degli ultimi anni è strettamente connessa a quella dei social. Infatti, il Web stesso nasce nel 1991, dentro Internet, come strumento di socialità, di condivisione, di trasmissione e di amplificazione. Da qui, abbiamo attraversato diverse modalità di condivisione sociale. Il testo (con Twitter), testo e immagini (con Facebook), solo immagini o video (con Istagram e Snapchat) e ora solo i video (con Tik Tok), spesso peraltro senza particolari significati o contenuti precisi. Il denominatore comune di questa evoluzione è la complessità e la velocità del contenuto, che oggi è diventato sempre più immediato (un video) e veloce (spesso dieci o venti secondi). 

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In tutto questo arriva un nuovo social media, che spariglia totalmente. Si chiama Clubhouse e ormai da qualche settimana è – letteralmente – sulla bocca di tutti. Porta a zero il testo, le immagini, i video e finanche i nomi e le foto del profilo. Si tratta, infatti, di una piattaforma che si basa unicamente sulla voce, creata lo scorso anno da Paul Davison e Google Rohan, con lo scopo di realizzare luoghi virtuali di conversazioni fra utenti attraverso scambi e interazioni vocali in tempo reale. 

 

L’accesso a Clubhouse è, al momento, possibile solo tramite invito (e forse anche questo lo sta rendendo particolarmente ‘ricercato’), più per ragioni di carico dei server che per esclusività, la piattaforma è infatti ancora piccola (presente per adesso solo su iOS e non su Android) e non sarebbe in grado di gestire accessi illimitati. In meno di un anno gli iscritti sono arrivati a oltre due milioni e nelle ultime settimane la crescita è quasi esponenziale, soprattutto grazie all’endorsment di alcuni utenti famosi (come Elon Musk o Oprah Winfrey) e, se le cose continueranno così, è facile immaginare che si arrivi velocemente i primi cento milioni di utenti.

 

Come funziona Clubhouse? Ci si iscrive, si selezionano gli interessi (sport, moda, politica, viaggi, etc.) e sulla base di questa selezione verranno proposti dei temi di discussione.  Il meccanismo è poi quello delle “rooms” (le stanze virtuali) create in base a un argomento o identificate da una persona (qualsiasi utente può creare una o più di queste rooms, diventando owner) dove viene affrontato un determinato tema e le persone possono ritrovarsi a discuterne a voce e in tempo reale. Accedendo a queste stanze gli utenti possono intervenire nella discussione e parlare, proponendo un intervento o rispondendo ad altri utenti.

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Le stanze di discussione possono essere di tre tipi: open (aperte a tutti gli iscritti), social (visibili solo ai follower dell’owner), closed (accessibili solo a chi è stato invitato dall’owner). Mentre quest’ultima non è molto dissimile da una chat o da una audiochiamata di gruppo (chi accede può inizialmente solo ascoltare e per intervenire deve effettuare una richiesta alzando la mano); le prime due sono invece molto più social e consentono di parlare liberamente in base a specifici gruppi di persone (ad esempio, chi volesse discutere con Elon Musk) o in base ad argomenti (chi vorrà parlare di politica, potrà entrare in una delle tante room a tema).

 

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Un sistema, quello delle stanze virtuali, che fa tornare in mente (per chi se le ricorda) le room di mIRC, il sistema di chat di Windows che, a cavallo tra gli anni ’90 e 2000, spopolava in molte parti del mondo e, a pensarci oggi, è stato un prototipo di social network. Insomma, il concetto di socializzazione c’è ed è sicuramente forte ed è in parte inedito, sarà da verificare se e come si potrà evolvere sui grandi numeri su cui viaggiano i vari social. Quello delle room aperte è una modalità sicuramente interessante, potenzialmente in grado di aggregare sconosciuti e farli parlare in base a dei temi. Da non sottovalutare le possibilità di evoluzione sui temi politici e culturali, dove l’orazione è uno strumento comunicativo fondamentale (per la politica, ad esempio, è ancora il principale). Ma anche da un punto di vista del business le possibilità sono diverse, consentendo interazioni coi brand, per guide e tutorial; lo stesso con i personaggi famosi, consentendo la comunicazione diretta e in tempo reale. Infine, bisogna anche considerare che l’audio ha anche una potenziale maggiore facilità di fruizione rispetto all’immagine e al testo (mentre si cammina, si corre, si guarda o si fa altro, etc.). 

 

Clubhouse è, per certi versi, un’evoluzione di tante cose: un social, una web radio, un podcast partecipativo, un forum o una community e, probabilmente, se saprà darsi una identità precisa, potrà diventare uno dei nuovi mezzi di comunicazione dell’internet futuro, altrimenti rischia di rimanere uno dei tanti fuochi di paglia dello startupping digitale.

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