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L’isola del silicio

Stefano Pelaggi

Strategia politica, visione e programmazione. Così Taiwan è diventata la più grande produttrice al mondo di semiconduttori. E ora è finita nella guerra tra Cina e America

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Nel film “Armageddon” il cosmonauta russo Lev Andropov e l’astronauta americana Jennifer Watts si trovano in una situazione di emergenza, con uno degli apparati della stazione spaziale russa in panne. L’americana si rivolge ad Andropov dicendogli che non conosce i componenti di quella strumentazione e il russo risponde: “Componenti, americani o russi, sono tutti made in Taiwan”. Il disaster movie di Michael Bay è del 1998 ma nel 2020 la maggior parte dei semiconduttori che sono alla base degli apparecchi elettronici è ancora di produzione taiwanese. I sottili circuiti integrati, che possono raggiungere precisioni di cinque nanometri, ossia la larghezza di due filamenti di Dna, sono il cervello e il motore dei nostri apparati tecnologici. Le fonderie delle tre principali compagnie taiwanesi, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. (Tsmc), la United Microelectronics Corp (Umc) e la Powerchip Technology Co. nel 2017 hanno generato il 70 per cento della fabbricazione mondiale di circuiti integrati (fab). Vuol dire che viene da Taiwan – l’isola che Pechino rivendica come proprio territorio ma che ha governo indipendente e autonomia – la maggior parte dei circuiti integrati poi venduti alle aziende che progettano e commercializzano dispositivi hardware. Le fonderie preparano i wafer di silicio, poi con processo fotografico (etching) lo incidono per ottenere i singoli semiconduttori che compongono un circuito integrato. La progettazione dei circuiti integrati normalmente viene portata a termine da aziende diverse (fabless).

 

Il percorso dell’industria dei semiconduttori taiwanese inizia in un negozio di latte di soia a Taipei, nel 1974. Questi ristoranti sono l’equivalente dei bar italiani, posti economici per fare colazione. Servono piatti come il Dan Bing, la crêpe taiwanese, un uovo strapazzato cotto con lo scalogno in una crespella di farina sottile arrotolata, oppure lo Shaobing, una focaccia al forno con sesamo e lo Youtiao, una croccante striscia di pasta fritta. Accompagnati dall’immancabile latte di soia, servito in infinite versioni. La mattina del 7 febbraio del 1974 il ministro dell’Economia, il direttore dell’Industrial Technology Research Institute (Itri), il segretario generale del ramo esecutivo del governo, il preside della facoltà di Telecomunicazioni della National Taiwan University e il direttore generale della società statale delle telecomunicazioni incontrarono l’ingegnere sino americano Pan Wen-yuan nel negozio di latte di soia Little Xin Xin dei Taipei. Pan si era trasferito negli Stati Uniti a 25 anni, nel 1937, per studiare a Stanford. Dopo la laurea aveva preso un dottorato e continuato la sua attività di ricerca a Harvard e a Princeton, e negli anni aveva lavorato a diversi progetti tra cui il primo oscillatore insieme con William Hewlett e David Packard: un prototipo che sarebbe diventato il primo successo commerciale della Hewlett Packard e di un’azienda della Silicon Valley.

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La crisi petrolifera del 1972 aveva ridimensionato l’espansione dell’industria taiwanese. L’eccessiva dipendenza dal mercato statunitense e il vertiginoso aumento del petrolio mostrò le carenze strutturali del modello di produzione per conto terzi. Appena qualche settimana dopo la sua nomina a primo ministro, Chiang Chin-kuo contattò Pan Wen-yuan per cercare una nuova prospettiva per il futuro industriale del paese. Il promettente studente cinese era intanto diventato uno dei principali esperti di innovazione negli Stati Uniti, con più di duecento brevetti internazionali registrati e una consolidata carriera alla Radio Corporation of America (Rca). Pan aveva studiato a Stanford nel 1937 grazie a una borsa di studio del governo di Taiwan, all’interno di un programma lanciato da Chiang Kai-shek per permettere alle più brillanti menti del paese di apprendere la tecnologia occidentale e favorire lo sviluppo scientifico della Repubblica di Cina. Una missione patriottica che Pan Wen-yuan non poté portare a termine: lo scoppio della guerra pochi mesi dopo la sua partenza e le vicissitudini del Kuomintang negli anni successivi determinarono la sua decisione di restare negli Stati Uniti. Quando Chiang Chin-kuo lo contattò per programmare il piano di sviluppo di Taiwan, Pan accettò con entusiasmo, felice di poter offrire un contributo al governo che considerava il legittimo erede del paese che aveva lasciato decenni prima. Quando il ministro dell’Economia, Sun Yun-suan, chiese a Pan su quale tecnologia il governo taiwanese avrebbe dovuto scommettere, la risposta fu immediata: i semiconduttori. Il dialogo al ristorantino di Taipei è oramai parte della storia taiwanese. “Quanto tempo ci vorrà? Quanto costerebbe?”, domanda il ministro. “Quattro anni. Dieci milioni di dollari statunitensi”, risponde il ricercatore. “Okay”. Ci vorranno più di quattro anni per portare a termine il progetto. Pan viene nominato a capo del Technology Advisory Council e trova un accordo nel 1976 con la principale azienda di elettronica americana per il trasferimento tecnologico. Seleziona personalmente 37 ingegneri taiwanesi da inviare negli Stati Uniti per un corso di formazione intensivo. 

 

Il gruppo, chiamato RCA 37, sarà al centro del processo di innovazione tecnologica nel paese, molti di loro apriranno le prima aziende di circuiti integrati a Taiwan. Annalee Saxenian nel suo “The New Argonauts: Regional Advantage in a Global Economy” descrive quel gruppo di ingegneri come i nuovi argonauti che viaggiano negli Stati Uniti alla ricerca di nuove conoscenze e di ricchezza. Tornati nel loro paese si trovano in una posizione vantaggiosa per avviare iniziative di successo, grazie alla rete di contatti globali e alla conoscenza acquisita. La più grande fonderia dell’isola, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Co, è strettamente legata al processo di innovazione avviato dalle istituzioni taiwanesi e molti degli argonauti parteciparono al successo della Tsmc. La società è stata fondata da Morris Chang, ingegnere cinese con un percorso di eccellenza nel settore tecnologico statunitense. Laurea alla Mit, dottorato a Stanford, una brillante carriera di venticinque anni alla Texas Instrument, poi come presidente della General Instrument Corporation. Appena un anno dopo l’allora ministro dell’Economia, Sun Yun-suan, lo convince ad assumere la carica di presidente dell’Istituto di ricerca di tecnologia industriale. Nel 1987, mentre ricopriva il suo ruolo istituzionale, Chang fonda la Tsmc. Il modello della fonderia è basato sull’osservazione dei limiti del tessuto imprenditoriale taiwanese. Secondo Chang il sistema educativo dell’isola riusciva a formare degli ottimi ingegneri ma era carente nella spinta creativa e lo sviluppo della fase di progettazione di chip non avrebbe trovato sufficienti risorse nel mercato del lavoro taiwanese. L’azienda nasce per garantire l’accesso nel mercato tecnologico alle aziende dell’isola, che non potevano permettersi la fase di produzione dei semiconduttori.

 

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Nel giro di pochi anni la Tsmc inizia a offrire gli stessi servizi al mercato internazionale. I giganti del settore iniziano ad affidarsi sempre più alle fonderie taiwanesi, per concentrarsi nella progettazione, nella commercializzazione e nei processi di sviluppo e ricerca necessari per applicazioni sempre più complesse. L’intuizione di Chang è stata quella di riconoscere che molti attori non potevano permettersi di costruire le proprie fonderie, erano necessari almeno due anni e una cifra di almeno tre miliardi di dollari da investire nella realizzazione di un impianto negli anni Ottanta. Prezzi che ora sono aumentati considerevolmente - Tsmc ha previsto un investimento di ben 12 miliardi di dollari per l’apertura di una fonderia negli Stati Uniti nel 2021. Già nel 1992, ad appena cinque anni dalla sua fondazione, è stata votata come migliore fonderia di semiconduttori al mondo. Nel 1994 la società viene quotata in Borsa, e la richiesta sempre maggiore di prodotti ad alta tecnologia genera un aumento del 60 per cento delle vendite mondiali di semiconduttori, il margine di profitto della Tsmc cresce in maniera considerevole. Oggi è la più grande fonderia di semiconduttori al mondo: tutti i giganti della tecnologia, da Apple a Qualcomm, passando per Nvidia fino a Huawei, sono clienti dell’azienda taiwanese. La maggior parte dei ricavi proviene dal mercato statunitense (61 per cento), seguito da Cina (17 per cento) e dal mercato interno a Taiwan (8 per cento), ma è un equilibrio globale che è messo a rischi dalle crescenti tensioni tra Pechino e Washington. Negli anni il colosso taiwanese ha creato 8 impianti di fabbricazione di semiconduttori, 16 a Taiwan e due nella Repubblica popolare cinese. Nessun’altra impresa ha oggi le possibilità di fornire i volumi e le capacità di Tsmc.

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Lo sviluppo dell’industria dei semiconduttori a Taiwan è il risultato di una pianificazione governativa a lungo termine, in particolare il ruolo istituzionale è stato rilevante per aiutare gli imprenditori a superare gli ostacoli finanziari e tecnologici. Il panorama imprenditoriale taiwanese, composto da piccole imprese familiari impegnate a produrre gli economici oggetti di plastica colorata che hanno invaso il mondo negli anni Settanta, aveva sviluppato reti interne basate sulla fiducia, gli interessi comuni e la vicinanza. Nessuno di questi elementi poteva garantire un processo di trasferimento tecnologico o un piano di finanziamento adeguato ad affrontare il settore tecnologico. Lo stato ha sviluppato un progetto per favorire la ricerca, talvolta garantendo i finanziamenti necessari o pianificando una serie di incentivi fiscali. Le infrastrutture pubbliche, i distretti tecnologici e industriali, hanno prima fornito il know-how alle piccole e medie imprese del paese e poi hanno offerti gli stessi servizi sul mercato internazionale. Ma lo stato non ha avviato processo di nazionalizzazione né ha promosso dei monopoli, a differenza di quanto avvenuto in Corea del sud. Le istituzioni hanno incentivato la collaborazione con aziende straniere, la delocalizzazione e la concorrenza interna. Perfino quando gli scambi e le interazioni avvenivano con la Repubblica popolare cinese, ossia l’attore che costituisce la principale minaccia strategica per Taiwan. Lo sviluppo del comparto tecnologico cinese è strettamente collegato alle aziende taiwanesi di semiconduttori. Le aziende del Guandong che producevano imitazioni economiche dei cellulari più popolari sono diventate giganti del settore come Huawei, OPPO e Xiaomei grazie anche alla sinergia con Tsmc, Umc e le altre fonderie dall’altro lato dello Stretto. Le aziende cinesi hanno potuto concentrarsi sull’innovazione, una dinamica che ha permesso l’incredibile sviluppo del settore hi-tech ma che ha determinato un vantaggio tecnologico significativo di Taiwan sulla Cina nella produzione di semiconduttori.

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Tsmc ha avviato già dal 2020 la produzione di massa di chip a 5 nanometri, mentre il principale concorrente cinese, la Semiconductor Manufacturing International Corporation (Smic) di Shanghai è ancora ferma ai chip a 14 nanometri. La sfida tra Huawei e Apple per il processore più veloce passa per Taiwan, la filiera dei semiconduttori dell’isola gioca un ruolo fondamentale per la compagnia cinese. Nessuna azienda in Cina può produrre il chip progettato da HiSilicon per permettere a Huawei di competere con i processori di Qualcomm, usati da Apple. La posta in gioco è la compatibilità con il 5G, ossia la sfida cruciale per la competizione tecnologica tra Washington e Pechino. Una dinamica che rende l’azienda taiwanese un fornitore imprescindibile per tutte le imprese tecnologiche, ma che pone molti dubbi sugli sviluppi futuri. Il timore di Tsmc e delle istituzioni taiwanesi è quello di non poter mantenere un equilibrio tra i due giganti. La guerra tecnologica tra Washington e Pechino sta portando il settore tecnologico taiwanese sempre più verso gli Stati Uniti, che resta il potente e indispensabile alleato strategico di Taiwan. Il dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha emesso un divieto di usare tecnologia americana per la vendita di chip a Huawei che resterà in vigore sino alla metà del 2021. Ogni wafer di silicio che esce dalle fonderie taiwanesi ha contributi Made in Usa, una condizione inevitabile vista la natura globale della filiera di produzione dei semiconduttori. Tmsc ha già comunicato che interromperà la vendita di componenti all’azienda cinese ed ha annunciato la creazione di una fonderia in territorio statunitense. Altre aziende taiwanesi, MediaTek su tutte, sperano di ricevere l’autorizzazione di Washington per continuare a vendere componenti a Huawei. Secondo gli esperti del settore il divieto di Washington provocherà dei rallentamenti e una maggiorazione dei costi per l’azienda cinese. Ma i componenti taiwanesi riusciranno comunque a rifornire Huawei e la creazione dell’impianto statunitense, con le migliaia di posti di lavoro, sembra essere la contropartita di Taipei per il suo principale alleato.

 

Le possibili conseguenze della contesa strategica tra Pechino e Washington sul principale settore del paese hanno creato preoccupazione a Taiwan. Tra i diplomatici taiwanesi circola una battuta che ben descrive la delicata posizione del paese nella comunità internazionale: “No news about Taiwan is good news”. I sottili fogli di cobalto, rame e silicio hanno acceso i riflettori sul fragile equilibrio dei rapporti trilaterali tra Taipei, Washington e Pechino e non è una buona notizia per Taiwan.

 

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