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Il team antivirus

Eugenio Cau

Le piattaforme web annunciano un’alleanza contro la pandemia. E’ un buon segno anche per il dopo

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Milano. Facebook, Google, LinkedIn, Microsoft, Reddit, Twitter e YouTube hanno annunciato ieri che lavoreranno assieme per eliminare la disinformazione e le truffe a proposito del coronavirus. Lo hanno fatto con un comunicato congiunto in cui si legge: “Stiamo lavorando assieme strettamente nella risposta al Covid-19”, con l’obiettivo di “combattere le truffe e la disinformazione a proposito del virus, valorizzare il contenuto autorevole sulle nostre piattaforme e condividere aggiornamenti importanti in coordinamento con le agenzie sanitarie dei governi di tutto il mondo”. Non è la prima volta che alcune piattaforme annunciano azioni congiunte per fare fronte alle grandi sfide mondiali. Per esempio, nel 2016 Facebook, Microsoft, Twitter e YouTube avevano creato un database condiviso per cercare di eradicare i contenuti dell’Isis che allora proliferavano nelle loro piattaforme (ci riuscirono). Ma è la prima volta che l’annuncio è così ampio e così deciso, e questo potrebbe essere il preludio di cambiamenti epocali nella governance di internet e nel rapporto delle piattaforme con la responsabilità.

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Milano. Facebook, Google, LinkedIn, Microsoft, Reddit, Twitter e YouTube hanno annunciato ieri che lavoreranno assieme per eliminare la disinformazione e le truffe a proposito del coronavirus. Lo hanno fatto con un comunicato congiunto in cui si legge: “Stiamo lavorando assieme strettamente nella risposta al Covid-19”, con l’obiettivo di “combattere le truffe e la disinformazione a proposito del virus, valorizzare il contenuto autorevole sulle nostre piattaforme e condividere aggiornamenti importanti in coordinamento con le agenzie sanitarie dei governi di tutto il mondo”. Non è la prima volta che alcune piattaforme annunciano azioni congiunte per fare fronte alle grandi sfide mondiali. Per esempio, nel 2016 Facebook, Microsoft, Twitter e YouTube avevano creato un database condiviso per cercare di eradicare i contenuti dell’Isis che allora proliferavano nelle loro piattaforme (ci riuscirono). Ma è la prima volta che l’annuncio è così ampio e così deciso, e questo potrebbe essere il preludio di cambiamenti epocali nella governance di internet e nel rapporto delle piattaforme con la responsabilità.

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Il comunicato delle piattaforme non entra nel dettaglio di cosa le grandi aziende americane del digitale progettano di fare per combattere la disinformazione sul coronavirus (questione più complessa e scivolosa è l’utilizzo dei dati personali per rintracciare gli infetti, di cui si comincia a parlare negli Stati Uniti e non solo). Sappiamo però che stanno già facendo molto, e che sta funzionando grazie a un’azione a tre pilastri. Il primo è la decisione delle piattaforme di muoversi proattivamente: senza la necessità di moniti e minacce da parte delle autorità hanno attivato procedure durissime per eliminare le bufale e favorire le notizie ufficiali, e ora tutte le volte che apriamo una app siamo bombardati di avvisi sul lavarsi le mani e link delle autorità sanitarie. Negli ultimi due giorni Facebook, Twitter e YouTube hanno detto che poiché una buona parte del lavoro di moderazione dei contenuti non può essere fatto dai dipendenti a casa in isolamento saranno messi in uso più ampio sistemi di filtrazione automatica dei contenuti. Le piattaforme intendono moderare le bufale con intelligenze artificiali che per ora sono più grossolane e meno capaci di comprendere contesti e sfumature di quanto non sia un moderatore umano. E’ possibile, dunque, che molti più contenuti saranno cancellati ingiustamente. In condizioni normali questo sarebbe un disastro inaccettabile per le piattaforme, ma nell’èra del coronavirus è un rischio che tutti sono pronti a correre. Funziona molto bene, almeno nel mondo anglosassone, anche la promozione di contenuti autorevoli: una ricerca fatta dalla società di analisi dati NewsWhip e citata dal New York Times mostra per esempio che negli ultimi giorni le storie più condivise sui social negli Stati Uniti appartengono quasi tutte a testate autorevoli e rispettabili. Di solito invece prevalgono fake news e contenuti di bassa qualità.

 

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Il secondo pilastro dell’azione delle piattaforme è la volontà di violare perfino le proprie regole pur di combattere la disinformazione. Facebook, per esempio, mesi fa aveva preso la decisione molto polemica di concedere ai politici licenza di menzogna: se Donald Trump o Joe Biden scrivono qualcosa di palesemente falso sul social network, Facebook non lo sottoporrà a factchecking, perché spetta agli elettori farsi un’idea. Con il coronavirus, Facebook ha mandato tutto all’aria: due giorni fa Sheryl Sandberg, numero due dell’azienda, ha detto che se i politici diffondono bufale sulla pandemia saranno censurati come tutti i comuni mortali. Anche Twitter, che di solito ha sempre un occhio di riguardo per politici e celebrity, ha cancellato senza pietà alcune bufale propalate da personaggi di rilievo negli Stati Uniti.

 

Il terzo pilastro, che è il più recente, è quello del coordinamento. Le aziende digitali che hanno emesso ieri il comunicato congiunto sono tra le più potenti e influenti del pianeta (all’appello mancano Amazon e Apple, che non gestiscono piattaforme sociali ma si stanno dando da fare anche loro). Il loro valore di mercato è di molte migliaia di miliardi di dollari, i loro utenti sono la quasi totalità degli utenti di internet (con l’eccezione non da poco della Cina, che ha il suo ecosistema separato e censurato). Se queste compagnie decidessero che è ora di lavorare assieme per combattere la disinformazione e dare vita a una rivoluzione online in cui l’informazione autorevole ha di nuovo un peso – e se decidessero di farlo per grandi questioni che non riguardano soltanto il coronavirus: pensiamo al proliferare dei movimenti antivaccinisti che negli ultimi anni è stato favorito dai social media – forse, una volta che la crisi sarà finita, potremmo vedere nascere un’epoca nuova di internet, più responsabile. Un’epoca in cui le grandi piattaforme digitali abbandonano il motto “move fast and break things” e cominciano a prendersi cura delle società che le ospitano.

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