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ciclismo

La Gent-Wevelgem di van Aert è un atto di fiducia

Giovanni Battistuzzi

Per il fiammingo c’è un giorno più giorno degli altri, una corsa più corsa degli altri. Quel giorno è domenica 2 aprile, quella corsa è il Giro delle Fiandre. Deve dimostrare che il fatto che non ha ancora vinto la Ronde è un errore storico. E ha detto a Laporte: fai quello che ho fatto io

Ci sono secondi posti che sono un fallimento, altri che sono un successo. Ci sono secondi posti tristi, altri allegrissimi, altri ancora che sono una gran soddisfazione e non solo personale, ma doppia, per il risultato e per chi è riuscito a vincere. Quello di Wout van Aert alla Gent-Wevelgem 2023 appartiene a questi ultimi: secondo dietro al compagno Christophe Laporte, uno al fianco dell’altro, tutti e due a braccia alzate dopo una dimostrazione di forza di squadra lunga cinquantatré chilometri.

  

Avrebbe potuto vincerla, non lo ha fatto. E non lo ha fatto perché, a volte, ci sono cose più importanti che una vittoria in più nel palmares. E poco importa se Eddy Merckx non ha approvato: “È una scelta legittima lasciare la vittoria al proprio compagno di squadra, ma io non l'avrei fatto. Wout è stato nettamente il migliore e avrebbe potuto scrivere la storia con la tripletta Harelbeke-Gent-Giro delle Fiandre”, ha detto a Sporza. E poco importa se nemmeno Tom Boonen ha gradito: “Il gesto di van Aert probabilmente farà contenti gli sponsor, ma io non l'avrei fatto. La Jumbo-Visma è andata a segno, ma la Gent è la Gent. È una vittoria che fa palmares”. Non serve avere benedizioni e attestati di stima se si è fortissimi, si può correre tranquillamente il rischio di scontentare qualcuno. Soprattutto se si è Wout van Aert.

         

È da inizio anno, forse non solo da inizio anno, che per Wout van Aert c’è un giorno più giorno degli altri, una corsa più corsa degli altri. Quel giorno è domenica 2 aprile, quella corsa è il Giro delle Fiandre. Va sempre così per uno che è nato a Herentals, Fiandre (anche se orientali, quelle meno “nobili” ciclisticamente parlando), e che di lavoro fa il ciclista. Quest’anno di più però. Perché non era preventivabile, nemmeno immaginabile, che uno come lui, uno come Wout van Aert, non fosse ancora riuscito a vincere una Ronde a oltre ventotto anni (compirà ventinove anni il 15 settembre).

  

Il fiammingo ha in mente il lungo rettilineo che porta a Oudenaarde, ha il desiderio di arrivarci solo, che quando c’è arrivato con qualcuno è andata male: secondo posto, questo tristissimo, alle spalle del rivale di sempre Mathieu van der Poel. Era il 2020, era ottobre – la pandemia sconvolse le stagioni del ciclismo –, fu la prima e ultima volta di Wout van Aert sul podio della corsa.

 

Un errore storico, non può che trattarsi di un errore storico, va però dimostrato. Il fiammingo ha un desiderio incredibile di dimostrarlo.

 

Non è un’ossessione quella di Wout van Aert per il Fiandre, o almeno così dice. È un obbiettivo, un obbiettivo parecchio importante, uno di quelli che segnano la stagione. Uno da centrare anche perché se sa benissimo Wout van Aert che se si guarda indietro vede tanti successi, alcuni di eccezionale fattura, ma solo una classica monumento, la Milano-Sanremo del 2020. Poi più niente. Tanti podi, tante corse bellissime, ma nessuna vittoria.

 

Il fiammingo sente che è il tempo di cambiare, di stringere finalmente quello che gli è per ora sempre sfuggito di mano. Sente il desiderio di scrivere il suo nome anche sul pavé della corsa più importante delle Fiandre. E sa benissimo che per farlo servono le gambe, e quelle ha dimostrato che girano, la testa, e quella ha dimostrato che è determinata a non mollare, ma anche qualcosa di più: avere al suo fianco gente ancor più motivata di lui a rendere questo possibile.

 

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Christophe Laporte quando arrivò alla Jumbo-Visma nell’inverno del 2022 era un buon velocista che se la cavava alla grande sulle pietre. Un anno dopo il francese è ancora un buon velocista, ma sul pavé è diventato tra i migliori in circolazione perché è migliorato nella tenuta in salita, nel governare la bicicletta, soprattutto ha la consapevolezza di andare forte e di poter fare il leader in moltissime squadre.

 

Quando Wout van Aert ha attaccato sul Kemmelberg a oltre cinquanta chilometri dall’arrivo solo lui è riuscito a restargli a ruota. Nessuno è riuscito più a prenderli.

 

Quando Wout van Aert ha accelerato sull’ultimo passaggio sul Kammelberg, nemmeno lui è riuscito a tenergli la ruota posteriore. Pochi metri, ma sufficienti per dare la sensazione che il fiammingo avesse la possibilità di dilatarli, farli diventare molti, poi tantissimi.

 

Christophe Laporte ha accompagnato Wout van Aert al traguardo, hanno pedalato assieme, si sono parlati, dati amichevoli pacche sulle spalle. Il francese ha passato la linea d’arrivo per primo, il belga per secondo. Un secondo posto in più a rafforzare la collezione di gradini mezzani del podio.

 

   

Un secondo posto che pensa al futuro, che guarda a rettilineo che porta a Oudenaarde, che è un atto di stima e di fiducia rivolto al francese: questa Gent-Wevelgem è tua e lo è perché so che sei forte perché di te mi posso fidare. Wout van Aert ha un Fiandre da vincere, Christophe Laporte ha un Fiandre per dimostrare che può contribuire a far vincere van Aert.