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Il foglio sportivo

La vera faccia della Nazionale italiana di Mancini

Umberto Zapelloni

Il calcio italiano non è guarito. Serve fidarsi dell'ottimismo del ct, ma dopo il ko con gli inglesi ci serve davvero tanto ottimismo

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L’Italia a due facce di Mancini ha lo sguardo non proprio allegro della nuova mascotte chiamata Oscar e fa lo stesso effetto di una bella donna che vista da dietro ti invita ad allungare il passo e quando la superi per guardarla meglio ti viene voglia di scappare. Vi avevamo avvertiti: il calcio italiano con tre squadre nei quarti di Champions non era guarito. La scoppola con gli inglesi serve a svegliare chi stava ancora sognando. Nella formazione iniziale contro l’Inghilterra c’erano solo tre giocatori (Acerbi, Barella e Di Lorenzo) diventati poi cinque (Tonali e Politano) delle squadre che stanno sognando in Champions. Per arrivare al gol, Mancini si è dovuto inventare Mateo Retegui che arriva dall’Argentina e conosceva bene solo Adani, il guru del Sud America. Una scommessa riuscita, ma non sufficiente. Non è Banchero, l’oriundo che potrebbe proiettare in nuovi pianeti il nostro basket, ma ben vengano ragazzi come lui.

Anche Retegui era rimasto coinvolto nel primo tempo da paura visto al San Paolo. Per guardare con fiducia al futuro basandosi sulla reazione del secondo tempo (che comunque ha prodotto zero tiri in porta dopo il gol) bisogna essere molto ottimisti o forse tanto incoscienti. Conoscendo un po’ il ct è da escludere la seconda ipotesi. Ma davvero ci vuole molto ottimismo per credere in una nazionale che deve reinventarsi ogni volta. La Serie A in Europa segna, ma non sono gol italiani. L’altra sera nelle qualificazioni europee con le loro nazionali sono andati in rete il napoletano Elmas, il milanista Krunic e l’atalantino Hojlund ha realizzato una tripletta fenomenale fatta di coraggio e tempismo. 

Almeno una volta l’Italia non prendeva gol. L’Inghilterra ce ne ha segnati due che avrebbero potuto essere anche di più. Il primo non prenderle non funziona più. Bisogna trovare il modo di segnarne di più. Cominciando da Malta dove esisterà solo un risultato. A questo punto bisognerebbe avere il coraggio di dimenticare definitivamente certi eroi di Wembley rimasti a Wembley (vedi Jorginho, ma anche Verratti che ormai hanno messo nel mirino pure a Parigi). Il tempo della riconoscenza è finito. Ora deve cominciare quello della ricostruzione. Manca la materia prima che vorremmo per costruire il castello dei nostri sogni. Ma proprio Mancini ci ha insegnato che anche con poco lui riesce a realizzare certi sogni. Non dobbiamo però lasciarci ingannare dalle sirene di Champions. 

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Il nostro calcio non è quello che ha portato tre squadre fin là. Ma per fortuna non è neppure quello del primo tempo imbarazzante di Napoli. La salita è lunga e più ripida di quello che pensavamo dopo aver perso la qualificazione per due rigori sbagliati. Fidiamoci dell’ottimismo del ct. In fin dei conti a Wembley ci ha condotti lui.

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