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Il Foglio sportivo

Soltanto il Mondiale può spaccare questo Napoli

Marco Gaetani

Così Spalletti è diventato il grande favorito: gli altri si lamentano per le assenze, lui inventa soluzioni

Con il suo sguardo magnetico, abituato a sostenere l’occhio della telecamera, Luciano Spalletti continua a dispensare massime e citazioni. Le vittorie si accumulano, i punti di vantaggio sulle concorrenti aumentano, lui rimane lì, apparentemente insensibile agli eventi. Sui terreni dissestati di questa anomala prima parte di campionato, un torneo di apertura che sta fiaccando la resistenza di chi era partito per stare davanti a tutti, il Napoli trova sempre l’assetto giusto per non perdere l’equilibrio, anche quando sembra a un passo dall’inciampo.

 

Le dieci vittorie consecutive, filotto impressionante, non rappresentano una novità nella carriera di un tecnico che ha stupito spesso, ma senza mai arrivare a quel pezzetto di stoffa tricolore che nella logica del risultato è l’emblema che separa vincitori e sconfitti. Ma questo Napoli entra nel rettilineo che conduce alla lunga sosta mondiale con un margine di otto punti sulle inseguitrici e tutto sembra funzionare a meraviglia. Mentre gli altri lamentano assenze, Spalletti trova soluzioni. Ha giocato senza Osimhen e senza Anguissa, è privo di Rrahmani da un mese. Qualcuno se ne è accorto? L’ultimo ostacolo doveva essere il forfait di Kvaratskhelia, passato in pochi mesi da nome impronunciabile a oggetto di culto. Si è presentato a Bergamo con Elmas e contro l’Empoli con Raspadori, perché nel calcio attuale, come da recente insegnamento spallettiano, gli schemi non esistono più: “Gli spazi non sono tra le linee ma tra gli avversari e diventa fondamentale riconoscerli nei tempi giusti”.

 

Il Napoli recita ogni volta un copione diverso per tempi e intonazione, ma la struttura di fondo rimane la stessa. Vuole controllare il pallone e sa farlo in molti modi diversi, riconquistandolo con la pressione di Anguissa e Zielinski, gestendolo con il sostegno dei terzini, portandolo da una zona all’altra del campo con le conduzioni di Lobotka: a 20 anni da Udine e a 17 da Roma, Spalletti ha trovato un nuovo Pizarro. Se la piroetta in possesso di palla era la giocata simbolo del cileno, lo slovacco è calato perfettamente in un’epoca nuova: pare sempre vicino a perdere il controllo della sfera, ma basta chiudere gli occhi per qualche secondo per ritrovarlo padrone dei tempi di gioco e del pallone una quindicina di metri più avanti. Due anni fa era un emarginato, ora è uno dei giocatori di riferimento di una squadra che in stagione ha perso solo quando era consentito: a Liverpool, con la qualificazione già in tasca e il primo posto da difendere con ampio margine. Anche da quella sconfitta, il Napoli è uscito più forte: per 85 minuti ha guardato negli occhi i Reds in casa loro, giocando alla pari senza il minimo timore.

 

Lo scetticismo di inizio anno è svanito. Kvaratskhelia ci ha messo poco a far dimenticare Insigne e lo stesso vale per Kim, chiamato se possibile a un compito ancora più ingrato: oscurare il ricordo di Koulibaly, delle sue chiusure, della capacità di mangiarsi il campo palla al piede facendo ruggire il Maradona. Adesso i tifosi del Napoli si possono godere questo strano esemplare di essere umano, a suo agio sia quando ha campo da difendere alle spalle, sia nei momenti in cui deve reggere l’urto di un assalto continuato, impeccabile nei duelli aerei e nel far sentire all’attaccante una pressione insostenibile.

 

Spalletti fa il pompiere, ma guida una macchina perfetta. Osimhen è un attaccante disegnato attorno a una delle sue convinzioni preferite, l’uomo che va a vedere “cosa c’è alle spalle della linea difensiva avversaria”, concetto che ha ripreso così tante volte nel corso della sua carriera da averlo reso un tormentone. A guardare indietro, selezionando una a una le scene di un film di un campionato ancora fermo a poco più di un terzo del suo svolgimento, si rintracciano già gli spezzoni di un ideale pellicola da scudetto, e i tifosi del Napoli possono prodursi in scongiuri di ogni tipo. Ma come definire altrimenti il gol di Raspadori che stappa il Maradona dopo 90 minuti di agonia contro lo Spezia? O la testata di Simeone a San Siro, così simile a quelle di papà Diego da aver fatto sobbalzare chi era abituato a vedere quelle del Cholo? O la saetta con cui Osimhen ha fulminato Rui Patricio e mandato in fumo il piano di Mourinho, che all’Olimpico aveva rinunciato a ogni velleità offensiva pur di blindare lo 0-0? Anche in quel rigore sghembo calciato da Lozano e soltanto toccato da Vicario si sente profumo di scudetto. L’unico nemico all’orizzonte è questa sosta infinita, che può far abbassare la tensione di una squadra fino a questo momento impeccabile, oltre a rianimare le gambe e la testa di chi ha dovuto provare a tenere la scia. Uno stop inedito, che potrebbe cambiare le carte in tavola e rimescolare gli equilibri della prima fetta di stagione. E poi c’è il ricordo dello scorso anno, di un’altra partenza sprint (otto vittorie nelle prime otto giornate) culminata soltanto, si fa per dire, in un piazzamento Champions: un Napoli così sorprendente da illudere i suoi stessi tifosi, partiti senza aspirazioni e finiti a rimpiangere una chance scudetto sfumata nell’arco di due settimane maledette. Spalletti lo sa e dribbla le domande sulla sosta, si rifugia nel ritornello del “vale per tutti, non solo per noi”. Ma finora, come il Napoli, non c’è stato nessuno. 

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