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il foglio del weekend

Quel torbido pallone che rimbalza dal Qatar a Parigi

Mauro Zanon

Le inchieste che svelano il torbido dietro l’assegnazione dei Mondiali all'emirato. Ecco cosa lega Sarkò e Platini con “Nak”, presidente del Psg

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I tempi in cui la tribuna vip del Parc des Princes pullulava di politici scalpitanti per una photo opportunity con il proprietario del Paris Saint-Germain, Nasser Al-Khelaïfi, sono un ricordo sbiadito a undici anni dall’arrivo trionfale del Qatar nella capitale francese. Era il giugno 2011 quando l’uomo d’affari qatariota e fedelissimo dell’emiro di Doha, Tamim bin Hamad Al-Thani, rilevò in un clima di eccitazione generale la più importante squadra di calcio parigina, attraverso il Qatar Sports Investments, filiale del fondo sovrano dell’emirato, il Qatar Investment Authority. Alla belle époque, al Parc des Princes si palesava persino Anne Hidalgo, icona del progressismo francese e sindaca socialista della capitale, con i guanti rossi e la sciarpa blu: come i colori del Psg. Era tutto un sorridersi e un abbracciarsi con Nasser, che aveva ringraziato pubblicamente di aver “scelto” Parigi come vetrina del Qatar in Europa e di voler trasformare il Psg nella squadra più forte del mondo. Ma una serie di inchieste apparse negli ultimi tempi sui media francesi ha portato a galla il torbido sistema di favori e contropartite che avrebbe convinto Doha a eleggere la società calcistica parigina come fiore all’occhiello del soft-power qatariota, e più in generale la Francia come principale terreno di investimenti e ambasciatrice degli interessi dell’emirato in Europa.

 

Le rivelazioni uscite in queste settimane su Libération e Mediapart, assieme all’inchiesta forse più scabrosa mai pubblicata sui rapporti Parigi-Doha, “Qatar 2022: un scandale français?”, realizzata dalla cellula investigativa di Radio France e dal canale televisivo France 2, stanno mettendo parecchio in imbarazzo tutta quella classe politica che si vantava nel Tout-Paris dei rapporti privilegiati con “Nak”. A partire da Nicolas Sarkozy, l’ex presidente della Repubblica e artefice dell’arrivo di Nasser a Parigi, nonché facilitatore di molti investimenti che hanno permesso a Doha di allungare le mani su alcuni gioielli dell’industria e del lusso francesi.

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Il nome dell’ex capo dello stato figura in tutti i dossier incandescenti sui rapporti tra Francia e Qatar, e in particolare nel dossier del famoso “pranzo dell’Eliseo” dell’autunno 2010, all’origine, secondo i magistrati francesi, del grande romanzo criminale franco-qatariota tuttora in corso. “Il pranzo organizzato all’Eliseo il 23 novembre 2010 ha costituto un punto di svolta decisivo (…) favorendo l’attribuzione della Coppa del Mondo al Qatar”, si legge nella conclusione di una nota curata dalla Procura nazionale finanziaria (Pnf) francese il 26 novembre 2019, che la cellula investigativa di Radio France ha potuto consultare. Attorno al tavolo, quel giorno, siedono sette commensali: il capo dello stato, Nicolas Sarkozy, il segretario generale dell’Eliseo, Claude Guéant, la consigliera per lo Sport di Sarkozy, Sophie Dion, il presidente della Uefa e vice presidente della Fifa, Michel Platini, il principe ereditario del Qatar, oggi alla guida dell’emirato, Tamim bin Hamad Al-Thani, il primo ministro e ministro degli Esteri qatariota, Hamad bin Jassim Al-Thani, e un’interprete. Uno dei principali obiettivi dell’agape, secondo quanto già emerso nel 2020 da alcuni documenti firmati da Sophie Dion e rivelati da Mediapart, era quello di convincere Platini a votare a favore del Qatar per l’organizzazione dei Mondiali del 2022, a discapito degli Stati Uniti.

 

“Mi ricordo che in occasione di un pranzo a Johannesburg, ci aveva detto che se avessero vinto Russia e Qatar (per le edizioni del 2018 e del 2022, ndr), sarebbe stata la fine della Uefa in termini di immagine”, ha dichiarato l’ex capo di gabinetto di Platini Kevin Lamour. Quest’ultimo ha evocato anche “le pressioni (su Platini, ndr) esercitate da Marios Lefkaritis a favore del Qatar”. Uomo d’affari cipriota, vice presidente e membro del comitato esecutivo della Fifa nel 2010, riceve nel maggio 2011, ossia sei mesi dopo il voto che ha assegnato i Mondiali a Doha, un bonifico di 32 milioni di euro per l’acquisto di un terreno di sette ettari vicino a Larnaca, a Cipro, dal fondo sovrano Qatar Investment Authority. Un ringraziamento per l’attività di lobbying? E’ quello che sospettano i giudici francesi, che indagano dal 2016 sul potenziale big deal tra Parigi e Doha e nel 2019 hanno aperto un’inchiesta per corruzione. “Per quale miracolo il Qatar, che aveva il peggiore dossier tra tutti i candidati, ha ottenuto la Coppa del mondo? Se siete credenti e ci ritroveremo in occasione del giudizio universale, bisognerà fare questa domanda al buon Dio!”, ha detto Sepp Blatter, presidente della Fifa dal 1998 al 2015, a Radio France. Agli inquirenti, l’ex alto dirigente del calcio mondiale non esitò nel 2017 a parlare di “ingerenza politica” quando gli fu chiesto se sapeva qualcosa del famoso pranzo dell’Eliseo del 23 novembre 2010. Fatto sta che Platini il suo voto lo diede veramente al Qatar, lui che fino a poche mesi prima, come confermato dal suo ex capo di gabinetto Kevin Lamour, “disprezzava la candidatura” del paese del Golfo ed era un fervente sostenitore del Mondiale 2022 negli States.

 

L’ex giocatore della Juventus ha sempre smentito di essere stato influenzato dall’amico Sarkozy nella decisione di dare la preferenza a Doha, anche se davanti agli inquirenti ha lasciato cadere alcune frasi ambigue. Come quella pronunciata il 18 giugno 2019, quando fu posto in stato di fermo nel quadro dell’inchiesta sull’assegnazione della Coppa del Mondo al Qatar. “Nicolas Sarkozy ha approfittato del mio voto per mettersi in mostra davanti a chi voleva… per gli interessi della Francia, spero”. Nel 2014, ai microfoni di France 2, Platini era stato ancora più schietto: “Forse Nicolas Sarkozy sapeva che avrei votato per il Qatar. E dunque, probabilmente, ha venduto il mio voto al Qatar in nome della Francia per avere in cambio un bel po’ di cose”. Ed è proprio questo il punto centrale su cui si concentrano le attenzioni dei magistrati francesi: le eventuali contropartite negoziate da Sarkò in cambio del sostegno della Francia alla candidatura del Qatar. L’acquisto del Psg per 76 milioni di euro (fonte France Football) da parte del fondo sovrano di Doha rientrerebbe in queste contropartite, secondo quanto rivelato dall’inchiesta di Radio France e France 2 “Qatar 2022: un scandale français?”. In realtà, fu un vero e proprio salvataggio, visto che il fondo americano che possedeva il Psg, Capital Colony, perdeva tra i 75 e i 100 milioni di euro all’anno e non vedeva l’ora di disfarsene. L’arrivo di Nak “ha salvato Colony Capitale e permesso ai qatarioti di avere la Coppa del Mondo”, ha detto senza troppi giri di parole Luc Dayan, uomo d’affari e dirigente sportivo di lungo corso in Francia.

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Alcuni sms recuperati dagli inquirenti e scritti da Sébastien Bazin, ex presidente della società calcistica parigina e responsabile di Capital Colony per l’Europa, fanno pensare che il dossier Psg fosse uno dei più importanti a troneggiare sul tavolo dell’Eliseo. “Nicolas Sarkozy mi ha appena chiamato, pranza oggi con Sua Altezza Tamim all’Eliseo. Gli ho trasmesso i messaggi chiave”, scrive Bazin a un amico il 23 novembre 2010. Il giorno dopo, manda un altro sms: “Nicolas Sarkozy mi ha richiamato. Sua eccellenza gli ha confermato che il deal verrà concluso dopo il 2 dicembre”, ossia la data dell’ufficializzazione dei Mondiali 2022 in Qatar. Tra le contropartite, ci sarebbe stato anche il lancio di un nuovo canale sportivo qatariota in Francia per contrastare il gruppo Canal Plus di proprietà del magnate bretone Vincent Bolloré, allora inviso a Sarkozy: cosa che puntualmente avvenne. Nel 2012, entra infatti nel mercato audiovisivo la filiale francese di Al-Jazeera Sport, ribattezzata BeIn Sport France, che si aggiudica i diritti televisivi della Ligue 1 e soprattutto della Champions League, la torta più gustosa. Per Doha il ritorno in termini economici e di immagine è grandioso. Ma non c’è soltanto lo sport al centro del “patto segreto” tra la Francia e il Qatar. Stando a una nota curata dalla cellula diplomatica dell’Eliseo all’attenzione di Sarkozy, che Radio France e France 2 hanno potuto esaminare, l’allora capo dello stato francese avrebbe concordato con i dignitari qatarioti anche la vendita di un certo numero di Rafale, i caccia multiruolo della Dassault Aviation, orgoglio dell’industria esagonale. All’epoca Doha non aveva realmente bisogno di nuovi aerei da combattimento, essendo già in possesso di una buona flotta di Mirage americani. L’acquisto di 24 caccia Rafale, che verrà finalizzato nel 2015 durante il mandato del socialista François Hollande, fu più un gesto diplomatico da parte del Qatar che una necessità militare: un modo per assicurarsi che, “quando avranno dei problemi, i francesi andranno in loro soccorso”, secondo l’ex ufficiale della Dgse, l’intelligence esterna francese, Alain Chouet. Per Bérengère Bonte, autrice del libro “La République française du Qatar” (Fayard), “vendere quei Rafale, per Nicolas Sarkozy, era importante. Il Rafale è la fierezza, il coltello svizzero, il gioiello dell’industria della difesa francese. E naturalmente significa moltissimi posti di lavoro, è uno strumento di influenza molto forte. In quel momento, la Francia non riusciva a vendere quell’aereo”.

 

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Uno scambio di cortesie diplomatiche, dunque, e di investimenti reciproci. Che si intensificheranno a partire dall’8 dicembre 2010, ossia sei giorni dopo l’assegnazione dei Mondiali all’emirato, quando una nota della delegazione interministeriale per l’intelligence economica indirizzata a Claude Guéant, il Richelieu di Sarkozy, mette l’accento sulle “opportunità di contratti legati alla Coppa del Mondo in Qatar e ai progetti di infrastrutture”. Il 27 dicembre dello stesso anno, un’altra nota della cellula diplomatica dell’Eliseo indica che “Claude Guéant invoca la creazione di una task force”, con l’obiettivo di ottenere il più alto numero possibile di contratti per le aziende francesi: subito, viene creato un gruppo interministeriale. “La Francia vuole quei soldi e facilita fiscalmente gli investimenti qatarioti”, ha spiegato a Radio France Bérengère Bonte, prima di aggiungere: “I qatarioti, all’epoca, lanciano una grande azione di soft power. Prendono quote in numerose società del Cac 40: Veolia, Lagardère, Vivendi, Orange”. Senza dimenticare le partecipazioni nel lusso, Lvmh, Le Tanneur e Balmain, nei grandi magazzini, Le Printemps, nel settore dell’energia, TotalEnergies, nell’aeronautica, Airbus, e nell’hôtellerie, il Carlton, il Martinez e il Majestic, ossia gli alberghi più prestigiosi di Cannes. Dopo il banchetto franco-qatariota dell’Eliseo del novembre 2010, “il Qatar diventa un interlocutore imprescindibile”, ha testimoniato l’ex ufficiale dei servizi Alain Chouet, che all’epoca di Sarkozy ha effettuato diverse missioni per conto della République. “I consiglieri dell’emiro si davano da fare a Parigi. E in più, ci promettevano di acquistare le nostre gustose ‘caramelle’ per parecchi miliardi di dollari”, ha aggiunto Chouet.

 

Il soft power qatariota, durante l’èra Sarkò, si declina anche all’università: con una partnership tra la Sorbona e una ong qatariota, Icss (Institut Center for Security for Sport). Problema: nella maxi fuga di notizie Football Leaks, nel 2015, si è scoperto che Doha utilizzava questa ong di “lotta contro la corruzione” per spiare i suoi rivali politici. Il quotidiano Libération, poche settimane fa ha rivelato di peggio. Ossia che Nasser al-Khelaïfi avrebbe fatto incarcerare a Doha per dieci mesi un uomo d’affari franco-algerino, Tayeb B., “reo” di possedere prove concrete della corruzione che ha portato all’assegnazione dei prossimi Mondiali di calcio. Per ora, Nak, opta per la strategia del silenzio, come ha sempre fatto durante le grandi crisi attraversate dal Psg. Anche allo stadio si è fatto più discreto, forse perché mai come ora, dopo le inchieste che lo hanno coinvolto in prima persona, si sente in una posizione fragile, abbandonato da chi, fino a pochi mesi fa, stendeva ancora tappeti rossi in suo onore. Anne Hidalgo era una di queste, ma oggi, dinanzi alle pressioni del suo partito e delle ong che allertano sulla situazione dei diritti dell’uomo e sulle condizioni di lavoro in Qatar, ha deciso di vietare a Parigi i maxi-schermi per la Coppa del Mondo: come azione di boicottaggio. Per Hidalgo è “un equilibrio complicato”, commenta il Parisien, visto che il Psg, in termini di immagine e grandeur, è una forza trainante per la capitale francese. Anche il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, è atteso al varco dagli attivisti dei diritti dell’uomo. Che chiedono una forte presa di posizione contro quello che chiamano il “Mondial de la honte”, il mondiale della vergogna. Difficile che Macron alzi la voce, alla luce dei profondi legami economici e geopolitici tra i due paesi. Del resto, l’ultimo favore al soft power qatariota lo ha fatto proprio lui: intervenendo personalmente per convincere Kylian Mbappé, la star della nazionale di calcio francese, a respingere le avances madrilene dell’arcinemico Florentino Perez, il grande promotore della Superlega osteggiata da Al-Khelaïfi, e a restare al Paris Saint-Germain.

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