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Chi è Don Revie, l'allenatore a cui Liz Truss ha detto di ispirarsi

Roberto Gotta

Durante un dibattito con l'altro candidato alla successione di Boris Johnsonm Rishi Sunak, la premier inglese aveva detto "noi dobbiamo fare nostro lo spirito dell'allenatore", dobbiamo vincere. La controversa figura del tecnico inglese, adorato a Leeds, criticato altrove

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Insediatasi ufficialmente dopo l’incontro con la Regina Elisabetta II, il nuovo primo ministro britannico Liz Truss è ovviamente già sotto osservazione per tutto quello che fa e che dice. Compreso quanto detto in passato, ovviamente, e tra le frasi più enigmatiche ce n’è una del 28 luglio scorso. Si era a Leeds, al primo dei dodici dibattiti pubblici con l’altro candidato alla successione di Boris Johnson, Rishi Sunak, ospitato nel salone del Centenary Pavilion, una struttura adiacente all’Elland Road, lo stadio del Leeds United. A un certo punto Truss, nata ad Oxford ma a lungo residente proprio nella città dello Yorkshire, aveva detto di essere diventata tifosa del Norwich City, il club del suo distretto elettorale, definito ‘family club’ perché lì si respira ancora un’aria bonaria, ma per sedare i moderati mugugni del pubblico aveva aggiunto "ma noi dobbiamo fare nostro lo spirito di Don Revie, dobbiamo vincere", riferendosi ovviamente alle complicate elezioni del 2024.

 

Don Revie: citazione perfetta per Leeds, visto che allo storico allenatore, in panchina dal 1961 al 1974 (l’anno prima che Truss nascesse), è addirittura dedicata una delle tribune dello stadio, ma controversa per il resto d’Inghilterra, che di Revie ha un ricordo tutt’altro che positivo. Quello di un allenatore sì vincente - due campionati, una Coppa d’Inghilterra, una di lega, due coppe Uefa - ma troppo propenso ai compromessi per raggiungere l’obiettivo. In più, sleale e corrotto. Un disastro, a metterla così, ma un disastro in parte influenzato dai media e dall’opinione pubblica. Revie, infatti, fu ripetutamente accusato di aver scelto di far giocare i suoi in maniera poco spettacolare, cinica, dura, senza fantasia e con occhio esclusivamente ai risultati. Erano anni di crisi per il calcio inglese, con gioco spesso rude e povero di creatività, e il Leeds fu preso a esempio di questo atteggiamento: non per nulla, quando arrivò a sostituire Revie, nell’estate del 1974, Brian Clough come prima cosa disse agli esterrefatti giocatori di gettare via tutte le loro medaglie, perché erano state conquistate con mezzi sleali. Durò poco, Clough, 44 giorni, anche per un atteggiamento del genere, che però dà l’idea di cosa si pensasse di quella squadra.

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Revie, con il consenso di media e opinione pubblica, aveva lasciato il Leeds per andare a rilanciare la Nazionale, dopo il declino sotto il campione del mondo Alf Ramsey, ma i risultati non arrivarono e nel novembre del 1976 ci fu la sconfitta peggiore, ovvero il 2-0 a Roma, contro l’Italia. Revie capì che la qualificazione ai Mondiali era compromessa e che non era più aria, anche per l’incattivirsi di media e pubblico contro di lui, ma fu convinto a restare, per poi però rivelare al quotidiano Daily Mail, il 12 luglio 1977, di aver scelto di dimettersi per diventare allenatore della Nazionale degli Emirati Arabi. Fu la sua fine, mediaticamente: mercenario, traditore, fuggiasco e in più pure presunto corruttore, dato che emersero - senza mai però prove valide in tribunale - testimonianze di denaro offerto a giocatori avversari per prendersela comoda. Tutta roba che spesso viene ricordata più dei suoi tanti meriti: fu lui a lanciare il Leeds, squadra mediocre prima del suo arrivo, fu lui tra i primi allenatori a curare l’aspetto psicologico anche nel’importanza di creare un gruppo.

 

Un personaggio complesso, ricordato con grande affetto dai suoi giocatori per la sua fedeltà alla loro causa ma, per paradosso, ricordato ora soprattutto per quella disgraziata, perenne ombra di slealtà e cinismo. Ecco perché le parole di Liz Truss suonarono male, e sono tuttora fonte di perplessità: vincere a tutti i costi, anche rischiando la reputazione?

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