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Perché Milan-Inter può spostare di molto i precari equilibri emotivi della Serie A

Giuseppe Pastore

Nel derby nessuna delle squadre è riuscita ad avere per 90 minuti il controllo tattico e nemmeno psicologico della partita. I rossoneri hanno vinto per merito, sfruttando pure i 45 minuti di buio dei nerazzurri

Allo scoccare del minuto 53 Mike Maignan anticipa di un soffio Dumfries bloccando in presa una sponda di Lautaro Martinez e riavvia velocemente l'azione come suo costume, accendendo le turbine del suo partner in crime Theo Hernandez. Theo mette subito in moto Tonali, chiuso da De Vrij che sulla pressione dell'avversario perde l'equilibrio e si rifugia in fallo laterale. Con le mani Theo sceglie la soluzione più ovvia, andando da Leao che però in quel momento è circondato da ben quattro avversari: Skriniar, Brozovic, Dumfries e Barella. Calhanoglu si sta occupando di De Ketelaere, Giroud è stretto tra De Vrij e Bastoni per un complessivo otto contro tre a favore dell'Inter. In Serie A come in Prima Categoria, non è concepibile in nessun caso prendere gol da una situazione del genere. Leao ciondola, sembra traccheggiare, si attira ancora più vicino Barella e Skriniar, con un gioco di gambe si sposta la palla sul sinistro e mette in mezzo una palletta piuttosto banale che non trova l'opposizione di nessuno dei suoi tre guardiani. Quel che è peggio è che dormono della grossa anche gli altri: segnatamente Calhanoglu, De Vrij e Bastoni, tutti e tre presi in mezzo dal movimento non certo illeggibile di Giroud. Nessuno dei tre riesce a portare nemmeno il minimo contrasto al numero 9 francese: in confronto, la marcatura di De Vrij nel derby dello scorso febbraio era stato un atto di eroica resistenza. Per un esteta come Giroud, segnare di nuovo all'Inter, di nuovo sotto la Sud, di nuovo grazie a una scamorza di sinistro parabilissima da Handanovic deve avere un gusto irresistibile. Milan 2, Inter 1.

 

Abbiamo isolato e descritto con dovizia di particolari il momento decisivo del 233° derby di Milano, un derby elettrico e frustato da improvvisi e violenti temporali estivi. Nessuna delle squadre è riuscita ad avere per 90 minuti il controllo tattico e nemmeno psicologico della partita, ma certamente è il Milan a esserci andato più vicino. L'Inter è stata capace di perdere un derby in cui ha segnato il primo e l'ultimo gol per colpa di uno sconcertante buco nero di circa 45 minuti, dalla metà del primo tempo alla metà del secondo, un black-out a cui Inzaghi non è riuscito a porre rimedio nemmeno con l'intervallo. Il momento di cui sopra, oltre a essere materialmente l'istante in cui il Milan ha preso possesso della partita, risulta per l'Inter particolarmente doloroso perché sono venute a crollare tutte insieme, e senza preavviso, molte delle colonne che hanno portato a casa tre trofei nelle ultime due stagioni: a voi stabilire in quali casi si tratti di appannamenti temporanei e quali siano invece vittime dell'usura del tempo (un nome su tutti, De Vrij) o dello stress da calciomercato (Skriniar).

 

Il cambio della guardia tra Milan e Inter è scandito da tre degli ultimi quattro derby di campionato. In quello del 21 febbraio 2021, l'ultimo con Antonio Conte sulla panchina nerazzurra, Lukaku e Lautaro confezionano subito l'1-0 e poi gestiscono il vantaggio con lo stuzzicadenti in bocca: Handanovic fa un paio di salvataggi importanti, ma tra il 46' e il 65' ai due là davanti basta alzare il volume per mettere in ghiaccio la partita con mezz'ora d'anticipo (la resa di Pioli è tale che al 75' leva Ibrahimovic e mette l'analcolico biondo Castillejo). Dopo l'interlocutorio pareggio del novembre 2021, il 5 febbraio 2022 l'Inter domina per un'ora ma si dimentica di chiudere il match; poi Simone Inzaghi pasticcia con le sostituzioni (errore che Conte non avrebbe mai commesso) e getta al Milan un'insperata ciambella di salvataggio che Giroud trasforma in lussuosa nave da crociera.

 

Nel derby di ieri, 3 settembre 2022, il Milan ha coniugato risultato e merito con una chiarezza che non si vedeva da oltre un decennio, anche se la furibonda tempesta emotiva seguita all'improvviso 2-3 di Dzeko stava per rimettere tutto in discussione. Ma quando i nervi lasciano spazio alla lucidità, è oggettivo concludere che il Milan abbia parato meglio, difeso meglio, attaccato meglio e soprattutto – ed è questa la grande novità – abbia avuto per lunghi segmenti del match il controllo del centrocampo, là dove la supremazia fisica e tecnica del trio interista sembrava fuori discussione. Un Tonali magnifico per 45 minuti a spolmonarsi tra Dumfries e Barella e un Bennacer sempre estremamente pronto a vestire i panni dell'uomo di lotta e di governo hanno prevalso sotto ogni punto di vista su un Barella irriconoscibile, un Calhanoglu come sempre ordinario quando la palla è in movimento e un Brozovic soggiogato sul piano dell'intensità, che – gol a parte – ha disputato il peggior derby in carriera.

 

A una visione più sommaria del match, i due migliori in campo sono stati anche gli unici candidati al Pallone d'Oro tra i 32 scesi in campo: nel calcio come nella vita esistono le categorie, scandirebbe voluttuoso Max Allegri. Il derby di Rafael Leao è stato all'insegna di un'onnipotenza che negli anni non avevano mostrato nemmeno i Lukaku, Perisic e Ibrahimovic più ispirati: una continuità sui 90 minuti inusuale per il portoghese, solito alternare luce e ombra nel giro dello stesso quarto d'ora come se fosse già sintonizzato sul meteo londinese (dove presto o tardi finirà). L'ultimo a sfornare due gol e un assist nello stesso derby era stato Andriy Shevchenko nello 0-6 del 2001: reso l'idea? Maignan ha un magnetismo prodigioso che traspare non tanto nei balzi e nei riflessi, patrimonio di ogni grande portiere, quanto nella tranquillità assoluta con cui si erge nella tempesta, enorme boa segnalatrice vestita di giallo che detta la rotta ai compagni in difficoltà. L'uscita acrobatica ad acchiappare la palla a due metri e mezzo d'altezza, per nulla facile e per giunta allo scoccare del 90', è un'assunzione di responsabilità di cui non si trovava più traccia nella nostra serie A in cui nove tiri su dieci vengono respinti e non bloccati: il confronto con il vicino di pianerottolo nerazzurro è ormai impietoso.

 

Piazzato in calendario all'inizio di due mesi tremendi, con il peso aggiuntivo di gironi di Champions complicatissimi, questo derby può spostare di molto i precari equilibri emotivi di una Serie A sempre più livellata verso il basso. Probabilmente il Milan proseguirà nel suo percorso di crescita all'insegna del “volere volare”, facendo semmai attenzione alla sindrome di Icaro che è tornata a lampeggiare anche dopo il 3-1, con il cambio Diaz/DeKetelaere che è stato un filino equivocato dalla squadra e dallo stadio intero. Ma ora sa di essere una squadra non solo più sana nel lungo periodo – come ambiente, prospettive, unità d'intenti – ma anche più forte nell'immediato. Probabilmente Inzaghi, apparso più abbacchiato del solito nelle interviste post-partita, dovrà interrogarsi (prima che lo facciano i suoi superiori) sui soliti limiti caratteriali e tattici di un'Inter che è ancora capace di notevolissimi squarci corali – l'azione del vantaggio è un piccolo capolavoro di tattica e malizia, con il lavoro prodigioso di Lautaro che apre una voragine nella difesa del Milan e Dumfries che rallenta Theo impedendogli di recuperare su Brozovic – ma è alla seconda ingiustificabile imbarcata in dieci giorni contro le prime otto. A proposito, buona fortuna per la Champions dove l'anno scorso, pur perdendo contro squadre molto più forti, l'Inter non ha sbagliato una partita: dovendo ricevere il Bayern Monaco che solitamente nella fase a gironi sfodera i canini da lupo, ne avrà parecchio bisogno.

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