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Lo scudetto del Milan e l'onda di Leao

Giovanni Battistuzzi

Era un surfer, l'attaccante rossonero. Se vedeva l’onda buona ci si buttava su e la faceva sua, se questa non arrivava latitava, scompariva, era un’assenza sulla linea laterale. È ancora così, solo che ora surfa anche sui cavalloni più bassi e a volte anche oltre la loro naturale scadenza

Quello che in Rafael Alexandre da Conceição Leão, per brevità e semplicità chiamato Leao, non è cambiato, dal primo agosto del 2019 a oggi, è lo sguardo. Quegli occhi che seguono chissà quale filo sospeso che vede solo lui, che sembrano voler dire, e con chiarezza, dai ragazzi è soltanto un gioco, mica una cosa seria.

 

Quelli che domenica sera festeggiavano lo scudetto, il diciannovesimo del Milan, erano rimasti gli stessi che guardavano i suoi compagni, e lo stadio tutto, il Friuli, al suo debutto con la maglia del Diavolo, il 25 agosto 2019. Gli stessi che sfuggivano ai mugugni di San Siro, il 29 settembre dello stesso anno, dopo aver segnato il primo gol in rossonero. Tanto bello quanto inutile. Il Milan guidato da Marco Giampaolo era stato preso a pallonate da Federico Chiesa e Frank Ribery: finì 1-3 quel Milan-Fiorentina. Quel gol, doppio dribbling e tre uomini saltati, pallone tirato sul palo più lontano, era l’evidenza che quel ragazzo alto e fine, scoordinato e molleggiato, nemmeno come uno scalatore en danseuse sui pedali, aveva talento per davvero. Paolo Maldini l’aveva ripetuto più volte, non erano stati molti quelli che gli avevano creduto davvero.

   

  

Leao osservava tutto, aspettava il pallone, poi faceva il suo. E per mesi e mesi non era mai la cosa giusta. Accarezzava la palla, poi si gettava velocissimo con essa al di là dei marcatori. O almeno quella era l’intenzione. Se il gioco riusciva era stupore, quando non accadeva, fischi. Lui si guardava attorno come nulla fosse successo, con quell’aria un po’ così che aveva il nostro amico all’oratorio, quello bravo, quando un dribbling non gli riusciva: che ci posso fare, dai siamo qui per divertirci, e poi anche se l’avessi passata a te l’avremmo persa comunque. Non servivano parole, bastava quell’occhiata per capire tutto.
Era ondivago Leao. Viveva di onde buone e risacche. Era un “surfer Leao”. Se vedeva l’onda buona ci si buttava su e la faceva sua, se questa non arrivava latitava, scompariva, era un’assenza sulla linea laterale. 

 

Non è cambiato. Non del tutto almeno.

 

Quello che è mutato è che ora si accontenta anche di un’ondina, l’addomestica con la sua tavola e la segue, la segue, la segue, fino a renderla lunghissima, a volte anche oltre la naturale scadenza del cavallone. La sua onda è più lunga, la risacca si è accorciata.

 

Lo scudetto del Milan è stato anche quello di Leao, quello delle sue sgroppate sulla fascia, del pallone che appariva e scompariva agli occhi degli avversari. Occhi ben diversi dai suoi, che guardavano tutto con la solita tranquillità. Solo più sorridenti, decisamente più consapevoli che sì, è vero, non è mica una cosa seria, ma che spettacolo quando tutto va per il verso giusto.

   

   

Leao non è un attaccante da tanti gol, ne ha fatti 11 quest’anno in campionato. Neppure George Weah era però un attaccante da tanti gol in campionato, tredici gol al massimo in rossonero. Era un giocatore spettacolare però George Weah, uno di quelli che sistemano la squadra, la sanno accendere e trascinare verso il risultato, che inseguono la gloria personale ben sapendo che non si è i soli in campo e che tra un gol fatto e un gol fatto fare la differenza è nulla. Leao sta seguendo questa via, ha capito, grazie a Stefano Pioli e a una società che ha avuto la pazienza di governare il suo moto ondoso, che questo e solo questo era il modo di stare in campo, la dimensione che doveva raggiungere. 

 

Non è mai semplice limare i particolari. Un bravo scultore ci mette molto più a curare i dettagli che a dare forma a una figura. Pioli ci ha messo un anno e mezzo. E un’intera estate per completare il suo lavoro di lima. Da agosto a domenica 22 maggio, sulla fascia sinistra, con qualche ricaduta di risacca, ha animato la fascia sinistra del Milan. Ha saltato uomini, tirato, crossato, sbagliato e riaggiustato partite: undici gol, dieci assist, trenta volte direttamente coinvolto nella parte finale delle azioni che i rossoneri hanno concluso con un gol. Nessuno come lui al Milan, in pochi così in Serie A.

 

Sarebbe stato un peccato, almeno per i tifosi rossoneri, se dopo le prime due stagioni a singhiozzo il Milan avesse deciso di lasciarlo andare. Anche perché le offerte non mancavano. Pioli, Maldini e compagnia s’erano però convinti che fosse soltanto una questione di tempo. Il tempo è maturato, Leao con esso. Forse. O chissà, forse no. Forse non era questione di tempo, ma di onde buone.

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