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il foglio sportivo

Una passione chiamata Blessin

Giampiero Timossi

Chi è davvero l’allenatore tedesco del Genoa, un assicuratore empatico che parla con il corpo e piace a tutti

Lo hanno già visto a metà strada tra Franco Scoglio e Jürgen Klopp, ha fatto tappa nel porto fiammingo di Ostenda, ma è partito da Stoccarda, la città dove costruiscono Mercedes e Porsche. Alexander Blessin è così particolare che i supporter del Genoa lo hanno amato ancora prima di capirlo. Si sono intesi al volo. Blessin si fa sempre capire, intanto perché parla con il corpo, non solo in tedesco. Il suo linguaggio è tutto un insieme di cose, mani che sbattono, sorrisi che si aprono, inglese fluente. Se serve esprimersi in italiano spunta Massimo Mariotti, svizzero e forse anche per questo multitasking e multilingue, collaboratore tecnico e traduttore, mestiere già sperimentato accanto ad altri allenatori, come Thomas Tuchel e Jürgen Klopp (rieccolo). 

Blessin a Genova non è arrivato per caso, ma quasi. Ne avevano scelto un altro, per farla breve. Il board americano della holding 777 e il neo general manager Johannes Spors (anche lui tedesco) avevano messo nel mirino tale Bruno Labbadia. Poi Labbadia ha cambiato idea, storia simile a quella dello sposo che scappa dall’altare. In realtà l’allenatore si è limitato a lasciar vuoto il posto che gli avevano prenotato su un volo diretto a Genova. Amen, perché la replica è immediata: il 19 gennaio di quest’anno spunta Blessin, così a sorpresa che neppure il “guru” del calciomercato Gianluca Di Marzio riesce a scoprirlo prima. “Ecco un certo Blessin”, che sostituisce il traghettatore Konko, che a sua volta aveva accettato di prendere il posto, per una partita, di Andriy Shevchenko. Alla fine una cosa appare certa: Blessin fin qui non ha fatto rimpiangere nessuno dei tre. 

Certo, serve sempre cautela, perché magari il nuovo allenatore del Genoa non potrà assicurare la salvezza alla fine di questo sofferto campionato, si vedrà. Però il presidente rossoblù Alberto Zangrillo ha appena assicurato: “È con Alexander che il Grifone tornerà vincente”. Questa sì che è un’assicurazione. Intanto è bene spiegare come il verbo assicurare non è fuori contesto, non è affatto usato a caso. Perché nella sua seconda vita l’allenatore si è messo a fare l’assicuratore. Prima, come attaccante pare fosse discreto, con trascorsi soprattutto nelle serie minori tedesche, con l’eccezione per le presenze racimolate in Bundesliga grazie alle squadre della sua città, ossia Stoccarda e Kickers Stoccarda. Quartieri alti frequentati anche nella massima serie turca, all’Antalyaspor, percorso frequente per i “discreti” calciatori tedeschi, in contromano rispetto ad altri lavoratori che lasciavano la Turchia per cercar fortuna in Germania. Dopo aver finito di fare del calcio una professione, ecco il nuovo lavoro: l’assicuratore. Eccellente assicuratore, roba da Coppa Polizza. E sulla sua penultima esperienza professionale Blessin spiega qualcosa di decisamente singolare. Perché assicurando l’uomo di Stoccarda sviluppa la capacità di essere eccezionalmente empatico. 

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È una qualità che ieri lo ha fatto apprezzare ai ruvidi portuali fiamminghi di Ostenda. È la squadra belga che allenava prima di venire imbarcato per far felici gli altrettanto ruvidi portuali genoani. La storia dell’empatia l’allenatore la spiega così: “Se fai l’assicuratore devi andare a parlare con le persone, magari le disturbi, ma devi portare a casa la polizza. Così quando qualcuno ti chiede un selfie o un autografo non puoi rifiutare, anzi devi essere felice. E ricordarti quando eri tu ad andare a cercare gli altri”. 

 

Blessin piace a tutti, si abbraccia pure con Gian Piero Gasperini, ultimo allenatore a portare il Grifone in Europa e forse anche per questo visto con inevitabile distacco da una buona parte dei suoi successori. Il tedescone no, abbraccia Gasperini e viene contraccambiato, alla fine di uno dei sette pareggi della gestione tedesca, quelli che hanno preceduto la vittoria genoana contro il Torino. 

Alla sosta per lo spareggio della Nazionale, il metà Scoglio e metà Klopp arriva imbattuto, il che ha acceso la lucida e insieme folle speranza che anche questa volta il Grifo possa restare tra le vette del calcio italiano e cioè in Serie A. Ci credono tutti, dopo la vittoria contro il Torino i festeggiamenti sembravano quelli di chi ha vinto la Champions, ma probabilmente il bello di essere genoani è anche fatto di queste cose. Due vittorie in stagione, l’altra l’aveva conquistata Davide Ballardini, prima dello sprofondo Sheva, ma sette pareggi che hanno permesso ai giocatori allenati di Blessin di respirare. Sette come il numero di maglia che indossava Marco Rossi, maglia che in suo onore il Genoa ha ritirato. Rossi ora fa il dirigente del Grifone, pazzo di Blessin, pure lui: “Ti abbraccia, ti carica, ti sveglia e mamma mia se riesce a trasmetterti forza ed energia”. Va detto che l’ex capitano genoano non eccede mai con l’entusiasmo. Sentimento che ora, invece, lo pervade anche per spiegare quel nuovo calcio che il tedesco ha fatto conoscere alla Serie A. Lo chiamano Gegenpressing, francamente il nome sembra orribile. Lui lo definisce così: “È difendere attaccando, tutti insieme, dall’attaccante al portiere”. Marco Rossi, solito disincantato, sintetizza così: “Aggressività allo stato puro, fantastica”. 

Le cose semplici sono le più belle e vedere una partita con Blessin in panchina sembra tante cose insieme: un pallone sparato tra le pale di un mulino a vento, quando il vendo soffia a 130 chilometri all’ora; ma anche una discoteca di Ibiza piena di berlinesi, prima che questa maledetta pandemia svuotasse tutto. Insomma, gli effetti della cura tedesca e la sua prodigiosa alleanza con l’entusiasmo dei nuovi proprietari americani, danno effetti che sembrano prodigiosi. Il Genoa sembra piacere poco solo a chi lo affronta. I tifosi lo amano, anche se ovviamente lo vogliono salvo e poi saldo in Serie A.

Ah, Blessin è amato dai genoani. Ed è amatissimo dalle genoane: i social del club, che adesso vanno a mille, impazziscono di commenti delle sue fans, di paragoni con gli attori più fighi e tenebrosi, di solito mentre interpretano le gesta di grandi condottieri, al minimo Alessandro Magno. Lui, ovviamente sorride, e ha occhi solo per le sue quattro donne: la moglie Charlotte, le figlie Patricia, Victoria e Franziska. Charlotte quando gioca il Genoa sta sempre in tribuna, ma non sta letteralmente seduta un minuto, vaga ovunque, stringe i denti. Cuore e batticuore, i Blessin’s sono fatti così.

Ora, alla fine della chiacchierata, si può capire cosa ne pensi lui di questa creatura metà Scoglio metà Klopp. Risposta non banale, in sintesi: io sono io. Meno sintetico: “Credo che ognuno debba coltivare la propria unicità. Scoglio è stato un grande allenatore, Klopp è un grande allenatore, ma non mi piacciono i paragoni. Scoglio era un ottimo tecnico, amato anche perché molto sanguigno. Il paragone con Klopp penso che sia nato perché anche io in panchina indosso il cappello. A Ostenda lo portavo sempre, al Genoa l’ho messo contro il Torino ed è andata bene”. Ha vinto la sua prima partita. Tre punti in più per il  Genoa di un allenatore che preferisce non essere paragonato né al tecnico del Liverpool né al Professore. Forse le persone speciali sono fatte così, non sanno fermarsi a metà strada.

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