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mota a pedali

Colbrelli e la processione delle statue di creta alla Parigi-Roubaix

Giovanni Battistuzzi

Il fango del pavé francese ha trasformato la corsa in un viaggio nella scoperta senza passato. E la mancanza di conoscenze pregresse in questo caso si è trasformato in un vantaggio

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La processione delle statue di creta è iniziata a Troisvilles, chilometro novantasei della Parigi-Roubaix. È lì, nei primi due chilometri di pavé, che sui visi e sui corpi dei corridori l'Inferno del nord ha iniziato a palesarsi.

Mancavano 161 chilometri all'ingresso del velodromo di Roubaix e la corsa iniziava il velamento. La mota saliva dal basso a uniformare i connotati di tutti i ciclisti, ne camuffava le espressioni, escludeva la sola di possibilità di bluffare con un'occhiata, un'espressione. Tutto il superfluo era scomparso. Il passato, i pronostici della vigilia, i valori sulla carta evaporavano pian piano chilometro dopo chilometro. Rimaneva solo il presente, solo le gambe, le ruote che galleggiavano su di uno stagno melmoso.

E in questo annullamento del pregresso – una Roubaix bagnata mancava dal 2002 – si imponeva l'abilità di stringere il manubrio e muovere le gambe cavalcando l'ignoto. Il pedalare diventava una mescolarsi di violenza e leggerezza, l'esaltazione della ricerca della libertà nella costrizione. La mancanza di riferimenti della memoria si trasformava paradossalmente in un vantaggio.

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Sonny Colbrelli, Mathieu van der Poel e Florian Vermeersch in questo viaggio nella scoperta senza passato – erano tutti e tre alla prima esperienza – si sono avvantaggiati su tutti gli altri. E mentre chi li precedeva, Gianni Moscon, e li seguiva cedeva nelle trappole dell'esperienza, loro avanzavano attenti e affamati, pronti a sfruttare l'occasione.

Era, il loro un viaggio alla cieca. Il cerone di mota aveva trasformato i loro occhi in sfese. L'acqua delle borracce scendeva solo all'interno delle loro bocche, non avevano il tempo di fare altro. Una sorsata e via a pedalare. Non c'erano sui loro volti quelle righe di fango scuro, del tutto simile a lacrime di un pianto d'abbandono, che solcavano le guance di Wout van Aert e di altri inseguitori. Non s'affidavano alla vista, ma solo al sentimento dell'equilibrio. Solo chi fugge sa che il concedere fiducia all'istinto può essere una soluzione assai buona.

 

 

La processione delle statue di creta è durata circa quattro ore, quasi cinque per Tom Paquot, ultimo arrivato e fuori tempo massimo con il volto rigato da solchi scuri, questi sì dovuti alle lacrime, quelle di chi non è riuscito a fare ciò che aveva in mente di fare.

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Si è conclusa in due pianti, uno di gioia, l'altro di rimpianto. Due pianti che hanno reso evidente come le pietre, lì al Nord, sono fredde forse, ma sanno scaldare i cuori.

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