La Fiorentina in ritiro a Moena lo scorso luglio (Foto LaPresse - Spada)

Il Foglio sportivo

I forzati del ritiro in montagna

Emmanuele Michela

Così la passione di chi segue le squadre di Serie A in estate è diventata occasione di business

“Noi ti si vole bene, Ni’ola, non andarci al Milan”. Due uomini attempati hanno un sorriso sincero sul volto, e attendono dietro la rete del centro sportivo di Moena il passaggio del difensore Milenkovic, che si è attardato in campo per sciogliere i muscoli. Luglio ha già svoltato la boa e corre verso agosto, l’inizio del campionato dista giusto un mese, e qui in Trentino il cielo è grigio sporco: giorno che minaccia pioggia, una meraviglia di fresco per chi è venuto in fuga dalla calura toscana. L’uggia ben si mescola col viola, tira giù dal letto a fatica in una mattinata dove le cime possono aspettare, a stimolare tutta l’attesa per una stagione che ancora appare lontana, pur essendo in realtà dietro l’angolo. Saranno 500 i tifosi presenti: si è giocato il giorno prima un’amichevole contro un avversario “di basso livello” qualsiasi – un club tedesco mai sentito prima, l’Ostermunchen, battuto 7-1 – ma in questo periodo dell’anno e a queste altitudini la gente di calcio si scalda davvero con poco, e non c’è autocertificazione o green pass (obbligatori per accedere al centro sportivo) in grado di tenere lontani gli appassionati dalla propria squadra. Nel popolo viola che ronza attorno al ritiro della squadra di Italiano c’è il bello del tifo: attendere e dare fiducia, sostenere e amare nonostante tutto. E c’è una natura diversa dell’essere calciofili, che le belle cime dolomitiche sanno stimolare alla grande. Un affetto che ha la purezza e la fiducia del primo giorno di scuola, assiepati dietro le reti a scrutare i volti dei giocatori. Non sono pochi quelli che si fatica a riconoscere, ma si dà fiducia a tutti, e poco si parla delle preoccupazioni societarie stimolate dalla rottura del club con Antognoni.

 

In campo non ci sono ancora le “stelle” che sino a pochi giorni prima sono state impegnate con le Nazionali (mancano Castrovilli, Martinez Quarta, Pezzella, Pulgar, oltre al grande acquisto Nico Gonzalez), brilla certamente Vlahovic (“Ma resterà?”, “Ieri ha detto che se gli offrono il rinnovo firma”, “Se deve partire, almeno non in Italia”), c’è curiosità per alcuni prestiti rientrati come Terzic, Maleh, Sottil, ma per il resto il gruppo appare da fare, sin troppo simile a quello che solo a maggio finiva un campionato così così.

Eppure, di mugugni non se ne sentono troppi, nemmeno quando – dopo una prima sessione di allenamento su un campo secondario – il direttore generale viola Joe Barone, molto elegantemente, si avvicina agli spalti per dire alle decine di tifosi già seduti che l’allenamento mattutino sarà in palestra, e che quindi nulla avverrà sotto ai loro occhi. “Ma non passano nemmeno a fare qualche autografo?” “Nel pomeriggio, forse”. “E qualche palla la regalate ai bimbi, oggi?”. “Ci sono anche bimbi di 45 anni che si son fatti 500 chilometri per venire qui”. Intanto inizia a piovere.

 

Non resta che aspettare l’uscita dei giocatori, dietro la rete, al cancello. Ci si inzuppa per racimolare un autografo da Duncan o Igor – non proprio Batistuta e Rui Costa – per poi inseguirli come cavallette mentre attraversano la provinciale per andare a fare crioterapia nell’Avisio (ovvero, pucciare i piedi nel fiume). Alla spicciolata escono gli altri: un saluto da lontano, un pollice su e dritti coi pulmini all’albergo. C’è della follia nello stare qui ad aspettare, ma è tutto un sorriso, un crederci, un incitamento per questo o quel ragazzino. E in pochi si lamentano anche per il prezzo dei biglietti delle amichevoli – sino a 15 euro per assistere a partite dai risultati bulgari – ma anzi si godono tutto ciò che circonda il campo, l’area gioco bambini, lo shop viola, il bar e le iniziative in programma.

Perché, in fondo, i ritiri dei club di Serie A, in Trentino e non solo, sono ben di più di una semplice 15 giorni d’allenamento. La cabina di regia è ormai rodata e sempre più “brava” a fare tesoro delle esperienze passate, costruendo un autentico business su quella passione estiva di cui Moena è un esempio. “Ci sta molto a cuore che numerosi campioni, di discipline diverse, scelgano il Trentino per la loro preparazione: la nostra è la comunità più sportiva d’Italia”, dice al Foglio Sportivo Maurizio Rossini, amministratore delegato di Trentino Marketing, società della Provincia di Trento che si occupa del marketing turistico, e segue dall’alto l’organizzazione dei ritiri nelle diverse località del territorio. “Qui si può fare sport tutto l’anno, e questo ci ha portato a creare buone infrastrutture, tanto che quasi il 70 per cento dei nostri ospiti vengono per praticare sport, chi in modo dolce e chi in modo agonistico. E mi preme sottolineare che ospitiamo anche altre discipline: abbiamo avuto preparazioni di squadre e nazionali di ciclismo, pattinaggio su ghiaccio, volley, basket, rugby, sci alpino, sci nordico…”.

 

Già, ma le squadre di calcio sono il fiore all’occhiello: quest’anno, oltre alla Fiorentina, in Trentino c’era il Napoli, per il decimo anno a Dimaro, il Torino a Santa Cristina, il Cagliari a Pejo, il Bologna a Pinzolo, il Verona a San Martino di Castrozza, lo Spezia a Ronzone. E di Serie B Spal, Monza, Cremonese, Cittadella e Lecce, e il Bari di C, che oggi va a Storo nell’albergo che anni fa ospitò il Napoli di Maradona. Lo scorso anno il Covid cambiò i piani, ma quest’estate la macchina è ripartita alla grande, con costi non indifferenti. I contratti che vengono stipulati sono almeno biennali, con decine di pagine di dettagli. Una parte è gestita dalla singola azienda del turismo locale, un’altra parte direttamente dalla Provincia. Si calcola che per il Napoli siano stati spesi quasi 800mila euro, per la Fiorentina 200mila, e a scendere per gli altri club. L’indotto, però, rende tutto più ragionevole: “Si stima 120-130 euro a presenza: in passato, a vedere il Napoli abbiamo avuto anche 2.000 tifosi al giorno”. E la strategia si è fatta più ampia: “Dobbiamo continuamente coniugare le esigenze dello staff tecnico per un momento così delicato di avvio stagione, con il fatto che tantissime famiglie amano queste squadre e desiderano vedere i campioni allenarsi, ma anche stare vicino a loro. Occorre quindi pensare momenti di incontri, autografi, foto, presentazione della squadra in piazza, dialoghi con l’allenatore, serate con i calciatori…”.

I ritiri dei club di calcio, in Trentino, hanno una storia decennale, ma c’è un momento in cui è cambiata la modalità di svolgerli: dal 2006, quando la Juve appena retrocessa in B venne a Pinzolo, si è tentato di stimolare maggiormente il valore turistico di questi appuntamenti, tentando di sposare due mondi apparentemente distanti, sport e turismo. “Ricordo due pagine di Gazzetta particolarmente emblematiche, che raccontavano di una giornata libera della Juve in cui Deschamps aveva giocato a tennis, Nedved a golf, alcuni giocatori erano andati a pescare, altri in mountain bike e un ultimo gruppo a mangiare nei rifugi”, dice Diego Decarli, storico corrispondente dell’Ansa da Trento, ora anche lui ingranaggio di questa macchina attraverso la società della figlia, Bianca Maria: “Quando mai ricapita di fare una pubblicità simile del territorio, così varia?”.

 

Da cronista o da organizzatore, può raccontare aneddoti di decine di club, dalla spaghettata aglio, olio e peperoncino con cui Maradona fu accolto all’una di notte – assieme ai giornalisti – nella Valle del Chiese, ai 33 mm di altezza dell’erba pretesi da Van Gaal per il suo Bayern a Riva del Garda. Per lui, ciò che muovono i ritiri è qualcosa di grande e variegato, dove il calcio – inteso come attività agonistica – non è per forza al primo posto. “Lo sportivo è anch’esso un turista, seppur molto particolare, e il ritiro è un Frecciarossa che porta visitatori in montagna a luglio, mese in cui solitamente le presenze non sono altissime. Il bello di queste situazioni è che sanno offrire ai tifosi circostanze che magari, in città, non potrebbero avere, come avvicinare i giocatori, fare foto e autografi, le serate in piazza con la squadra, incontrare l’allenatore. Si torna a una dimensione del calcio umana e calda”.
 

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