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Il Foglio sportivo

Gli inattesi dell'Europeo

Giovanni Battistuzzi

La storia di questa competizione è ricca di convocati a sorpresa che hanno lasciato il segno. A Euro 2020 Giacomo Raspadori come Pietro Anastasi?

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Forse non tutto girerà attorno a Giacomo Raspadori. Né la Nazionale di Roberto Mancini, né il calcio italiano. Ma non si sa mai. Intanto quella maglia azzurra ce l'avrà indipendentemente dai minuti che passerà in campo. Il ct degli Azzurri porterà in giro per l’Europa, si spera – le tre partite del girone A dell’Europeo l’Italia le giocherà a Roma, debutto l’11 giugno alle 21 contro la Turchia –, il giocatore del Sassuolo che ancora non ha debuttato in partite ufficiali nella Nazionale maggiore (circa un quarto d'ora l'ha giocato nell'ultima amichevole prima di Euro 2020). “Qualcosa di inatteso”, ha detto l’attaccante. Non poteva utilizzare termine più appropriato.

E non tanto per la convocazione, più in generale per la competizione, per l’Europeo, che con quell’inatteso ci è andato a braccetto sin da quando nel 1954 il danese Ebbe Schwartz, durante il Mondiale, annunciò la fondazione di un’associazione calcistica continentale europea, la Uefa. “Il bello del calcio è l’inatteso”, disse quando venne trovato l’accordo tra le federazioni tedesca, francese e italiana. Replicò la stessa frase quando lo elessero primo presidente. E ancora quando, nel 1957, comunicò che nell’estate del 1960 ci sarebbe stata la prima edizione della Coppa Europea per Nazioni. Si chiamava così l’Europeo.
Sapeva dire anche altro il danese, era un buon oratore, un abile diplomatico. Eppure ci teneva sempre a dire che “il bello del calcio è l’inatteso”. La prima volta che utilizzò quella frase andò bene. Continuò. Questione di superstizione. L’idea iniziale era quella di disputarlo nell’estate del 1961, come anteprima calcistica della Coppa del mondo che si sarebbe disputata l’anno dopo in Cile. Naufragò subito questa ipotesi. Schwartz fu abile a convincere tutti: non si organizzano grandi eventi negli anni dispari, porta male. Per fortuna non potrà vedere questa edizione dell’Europeo che verrà disputato tra l’11 giugno e l’11 luglio 2021. Dispari sì, ma solo in campo. Si gioca Euro 2020, almeno nei gadget e nei tabelloni la pandemia non è entrata.

Inatteso l’Europeo lo fu sin dal principio. Alla prima edizione, quella del 1960, Germania Ovest, Italia e Inghilterra decisero di non partecipare. Litigarono con la Uefa per la formula del torneo. La grande favorita nonché organizzatrice della competizione, la Francia, venne eliminata in semifinale (all’epoca solo quattro squadre si qualificavano alla fase finale) e la coppa la conquistò l'Unione Sovietica di Lev Yaschin grazie ai gol di due giocatori che Oltralpe non sarebbero dovuto neppure esserci: Slava Met’reveli e Viktor Ponedel’nik. Il primo fu rimesso in piedi a tempo di record dopo un infortunio, il secondo fu chiamato per sostituire l’attaccante che doveva essere titolare in Francia, Anatolij Il’in.

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Era forte, fortissima, quella Nazionale sovietica. Oggi non avrebbe stupito nessuno la sua vittoria, ma all’epoca del calcio oltre Cortina se ne sapeva poco e l’Urss campione d’Europa generò stupore e preoccupazione. Mica era facile da accettare per l’Occidente capitalista una vittoria sovietica nel nome del mito socialista. Una “sorpresa enorme, ho visto gente pronta a ritornare a sognare la rivoluzione bolscevica in Italia”, ironizzò Giovannino Guareschi.

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Una sorpresa talmente grande che le vittorie della Danimarca nel 1992 e della Grecia del 2004 potrebbero passare anche in secondo piano. Ma anche no. Quelle furono davvero inattese. Ancor più del gol di Éder che decise l’ultima finale e concesse al Portogallo il successo contro la Francia. Avrebbero pensato a qualsiasi cosa i portoghesi, ma non a una rete del marcantonio che all’epoca giocava, poco e male, nello Swansea City e che sino ad allora in quell’edizione era sceso in campo per qualche manciata di minuti nel girone. Merito di un’illuminazione. Il tecnico dei lusitani stava per far entrare in campo Rafa Silva al posto di Renato Sanches, ma cambiò idea all’improvviso e spedì nel rettangolo di gioco il lungagnone originario della Guinea-Bissau.

Éder meglio di Dieter Müller. Semifinale degli Europei 1976. La Germania Ovest le stava prendendo, giustamente, da una  Jugoslavia tra le più belle della storia, quella di Dragan Džajic e Jovan Acimovic. I tedeschi allenati da Helmut Schön giocavano senza centravanti, mica se l’è inventato Guardiola il falso nueve. Sotto per 2-1 il ct manda in campo l’unica prima punta che ha, quello che per la Bild era “il Müller sbagliato”, disperandosi per l’addio alla Nazionale del grande Gerd. Non se lo filava nessuno Dieter. Era uno che segnava, ma era goffo e non appariscente. Apparì quel giorno. Tre gol e tanti saluti alla Jugo. Segnò pure in finale, ma la Cecoslovacchia vinse ai rigori.

Inatteso com’era stato otto anni prima l’Europeo di Pietro Anastasi. Aveva vent’anni allora il catanese. Ferruccio Valcareggi l’aveva chiamato perché bravo, ma soprattutto “perché così avrebbe imparato a gestire le emozioni”. Gli Europei da sempre sono stati una tappa intermedia, un modo per preparare i Mondiali successivi. E il ct azzurro quello stava facendo: coltivare il terreno per il Mondiale in Messico del 1970. Anastasi non aveva mai giocato un minuto con la maglia della Nazionale. Venne schierato titolare in finale contro la Jugoslavia. Non bastarono 120 minuti per deciderla, i rigori non c’erano ancora e quindi si rigiocò. Anastasi venne confermato, segnò il gol del 2-0, l’Italia alzò la coppa.

Giacomo Raspadori ha la stessa altezza, 172 centimetri, lo stesso peso, 64 chili. Non fosse stato per quel quarto d'ora contro la Repubblica Ceca avrebbe avuto anche gli stessi minuti in maglia azzurra, zero, dell’Anastasi di allora. Non succede, ma se succede.

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