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Il Foglio sportivo

Oltre a chiedere soldi, cosa fa il calcio per salvarsi?

Umberto Zapelloni

Non ci sono piani per tagliare i costi e far tornare la gente allo stadio. Parla Abodi: “Investire sul futuro”

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C’è un’Italia che si muove, quella che ha firmato il manifesto dello sport promosso da Mauro Berruto e Fabio Pagliara con 13 azioni per salvare il movimento dalla pandemia. Ma purtroppo c’è anche un’Italia più impegnata a litigare o a chiedere soldi al governo che a programmare. D’altra parte, quando hai l’acqua alla gola è normale provare a sbracciare per recuperare un po’ d’aria, piuttosto che pensare su quale spiaggia stendersi a prendere il sole. Calcio, basket, volley, per citare solo i primi tre sport di squadra, rischiano di veder sparire molte società con tutte le conseguenze che ne possono derivare per l’attività giovanile. Se ne è parlato anche in Consiglio dei ministri, e le dichiarazioni del ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli (“Credo siano necessari degli interventi di sostegno economico perché dobbiamo ricordarci quante persone lavorano, oltre a chi va in campo, in queste società”) hanno però fatto arrabbiare gli esclusi, come la Lega di Serie B che si sente terra di nessuno, lontana dalla ricchezza (presunta) della Lega di A e dalla santa alleanza della Lega Pro con basket, calcio e atletica. 

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C’è un’Italia che si muove, quella che ha firmato il manifesto dello sport promosso da Mauro Berruto e Fabio Pagliara con 13 azioni per salvare il movimento dalla pandemia. Ma purtroppo c’è anche un’Italia più impegnata a litigare o a chiedere soldi al governo che a programmare. D’altra parte, quando hai l’acqua alla gola è normale provare a sbracciare per recuperare un po’ d’aria, piuttosto che pensare su quale spiaggia stendersi a prendere il sole. Calcio, basket, volley, per citare solo i primi tre sport di squadra, rischiano di veder sparire molte società con tutte le conseguenze che ne possono derivare per l’attività giovanile. Se ne è parlato anche in Consiglio dei ministri, e le dichiarazioni del ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli (“Credo siano necessari degli interventi di sostegno economico perché dobbiamo ricordarci quante persone lavorano, oltre a chi va in campo, in queste società”) hanno però fatto arrabbiare gli esclusi, come la Lega di Serie B che si sente terra di nessuno, lontana dalla ricchezza (presunta) della Lega di A e dalla santa alleanza della Lega Pro con basket, calcio e atletica. 

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Con gli incassi da botteghini che spariscono (se non riapriranno gli stadi si parla di 300 milioni), quelli da diritti tv che diminuiscono, il merchandising che non fattura più, il calcio non può permettersi di spendere quello che spendeva un anno fa. Che sia necessario tagliare gli ingaggi lo hanno capito  anche i muri degli spogliatoi. Eppure, mentre le cronache ci raccontano di come la crisi abbia costretto anche la Liga a rivedere il salary cap che, visto il crollo dei fatturati mai sarebbe stato rispettato (è stabilito su una percentuale fissa degli incassi, da noi si continuano a sentire giocatori che chiedono cifre mostruose per rinnovare contratti in scadenza e procuratori che sembrano non aver capito il panorama che li circonda. D’altra parte non è che dall’alto arrivi un grande esempio. Tra Coni, ministero dello Sport e Dipartimento si è lavorato più per guadagnare posizioni che per altro, e la guerra non è ancora finita. Coni e Sport e Salute, che in comunque ormai hanno soltanto le toilette, hanno litigato anche sul ruolo di Manuela Di Centa, che per aderire al progetto Legend si è autosospesa dai suoi ruoli istituzionali. Ognuno sembra pensare al suo orticello, intanto nei campi del vicino muoiono gli ulivi. Sarebbe logico vedere i club di Serie A seduti attorno a un tavolo (anche in remoto visti i tempo) a discutere di salary cap, di contenimento dei costi, magari dopo un accordo con le grandi leghe europee come auspica il presidente Gravina che ha già scritto a Uefa e Fifa per evitare di ritrovarsi poi a chiudere le porte con il gregge già scappato. Invece al massimo ci si siede per approvare la cessione del 10 per cento del business ai fondi e quindi mettere qualche denaro in cassa da bruciare subito per pagare gli stipendi. Di fronte a un’offerta di 1,7 miliardi da parte di CVC-Advent-Fsi per il 10 per cento del giocattolo i 20 presidenti si sono scoperti uniti come mai prima e hanno votato il sì all’unanimità. Non è stato preparato un piano per tagliare i costi in attesa che ripartano le entrate, non è stato preparato un piano per riavere gli spettatori negli stadi, ma in compenso nove club sono finiti nel mirino dell’antitrust per il mancato rimborso degli abbonamenti.

 

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"Con l’arrivo dei fondi qualche inevitabile condizionamento ci sarà – spiega al Foglio Sportivo Andrea Abodi, presidente dell’Istituto per il Credito Sportivo, uno che la sa lunga e tra l’altro ha firmato il manifesto di Berruto – perché si dovrà fare più attenzione alla quantità del pubblico e alla qualità degli impianti, anche i presidenti dovranno assumersi le loro responsabilità e stare attenti a certe dichiarazioni che potrebbero far crollare il valore del prodotto. Dovremo agire sul costo del lavoro, investire in infrastrutture e sul capitale umano, aggiungendo valore a quello che già abbiamo”.  Ci vorranno gioco di squadra, lungimiranza.  Negli Stati Uniti, l’Nba che ha concluso la sua stagione chiusa nella bolla di Orlando sa bene di non poter continuare a vivere senza tifosi e così dal proprietario dei Golden State Warriors è arrivata la proposta: siamo disposti a pagare i test rapidi per chi viene alla partita dove poteranno comunque accedere solo con la mascherina e mantenendo la distanza di sicurezza. Joe Lacob, il proprietario che oltre a essere uno degli uomini più ricchi d’America, laureato in Scienze Biologiche con un master in  Public Health, ha stanziato 30 milioni di dollari per quella che è stata definita “Operation Dub Nation” per riportare almeno il 50 per cento degli spettatori al Chase Center di San Francisco. Test rapidi per tutti i tifosi, quattro ricambi dell’aria ogni ora: “Ci costerà 30 milioni dollari, perderemo soldi, ma è la cosa giusta da fare. Dobbiamo far tornare i nostri tifosi sono la nostra famiglia, ma in sicurezza”, ha detto il proprietario presentando il piano al dipartimento delle Salute pubblica di San Francisco. Questo significa investire sul futuro, perché dobbiamo metterci in mente che stadi al 100 per cento della capienza non ne vedremo per un po’. Tutto questo va oltre il Manifesto  che nelle sue 13 linee guida si occupa di sport di base, rapporto con la scuola,  cultura sportiva. Ma se il vertice dell’iceberg si scioglie affonda anche tutto il resto. “Il calcio di Serie A alimenta tutto lo sport, non soltanto i 20 club che ne fanno parte – aggiunge Abodi –  per questo  è necessario lavorare sul futuro, sulle infrastrutture per gli allenamenti e le partite, sui contenuti da valorizzare. È necessario un salto di qualità e alla fine ne beneficerà tutto lo sport sperando di riuscire a salvare le migliaia di piccole società che con questa crisi stanno rischiando di sparire, e poi bisogna  affiancare la scuola, insegnare cultura sportiva considerare lo sport come parte delle nostre difese immunitarie sociali”. 

 

La Nazionale, di cui a dire la verità non si sentiva certo la necessità, ha portato a tutto il movimento una boccata d’ossigeno: “La nazionale è un grandissimo collante per la sua capacità di aggregazione, dà grande speranza”, ha dichiarato il presidente Gravina che sul Club Italia ha  ben lavorato. Il bacio  di Vialli al pallone  durante la partita con la Polonia è la  copertina di questo momento: ripartire da un  gesto d’amore per costruire qualcosa che possa rimanere.

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