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facce da mondiali

Il peso di Casemiro

Giovanni Battistuzzi

Al centrocampista della Seleçao e del Real Madrid nessuno dava due lire, dicevano che era grasso. Con Zidane divenne fondamentale per la vittoria di tre Champions League

"Fondamentale". Era il 3 giugno 2017 e la corsa del Real Madrid verso la Champions League si era conclusa per la seconda volta consecutivamente con la coppa tra le mani dei Blancos. Juventus battuta 4-1 e dodicesimo titolo europeo. Zinedine Zidane sorrideva ai microfoni: "E' stato fondamentale non solo oggi, per tutta la stagione". E non parlava di Cristiano Ronaldo. E nemmeno di Gareth Bale, di Toni Kroos, di Luka Modric o di Isco. No, nessuno dei grandi campioni che valevano centinaia di milioni di euro. C'era un altro nei suoi pensieri. Un volto pacioccone, di quelli a cui non daresti due lire e che due lire nessuno ha dato a lungo. Uno di quelli per cui il suo boss, il presidente Florentino Perez, non impazzisce, lui che "schiererebbe tre trequartisti, due ali e un centravanti", disse Zizou, "ché se non vinci tanto a poco non è da Real", ricordava Fernando Hierro, capitano del Real dei Galacticos, quello dei Ronaldo, Beckham, Figo, Zidane, Raul eccetera. "Ma una squadra votata all'attacco ha bisogno di un suo equilibrio e c'è chi lo riesce a dare e chi no. Lui lo fa. Ed è fondamentale in questo". Carlos Henrique Casimiro è questo, il baricentro di tutto, quello che fa stare in piedi la squadra, che magari non è il più bello a vedersi, il più bravo a calciare, a dribblare, che non ha l'eleganza del campione, ma tant'è. Lo sa bene Zizou, che i fenomeni fanno impazzire i tifosi, ma ben altri sono i calciatori a cui ci si deve affidare. Mica è uno sprovveduto Zidane, non lo è mai stato.

 

 

Quando arrivò a Madrid nel 2001, da giocatore, il francese pretese che Claude Makelele, nonostante una prima stagione non buona, venisse confermato. "Abbiamo tanta qualità, ci serve un uomo come lui". Perez a malincuore lo accontentò. Dopo l'Europeo del 2004 aveva annunciato di lasciare la Nazionale, Raymond Domenech lo pregò di ripensarci. Rimase un anno a meditare. Poi disse al tecnico che sì, sarebbe tornato, ma a una condizione: Makelele doveva far parte del progetto. Domenech all'inizio si arrabbiò, gli disse che non era disposto a compromessi. Poi richiamò entrambi e raggiunsero la finale di Coppa del Mondo. Disse Zizou: "Era l'unico che sempre, sempre, e dico sempre manteneva la sua posizione. Non ha mai sbagliato a interpretare la dinamica di un'azione. Mai. Sapeva sempre quello che stava facendo, ed era il punto di riferimento per la squadra". Un decennio dopo il francese ha detto lo stesso di Casemiro. "Fondamentale. E' lui il centro d'equilibrio della squadra. Chi dice il contrario non capisce di calcio".

 

Casemiro è di San Paolo e nella squadra della città ha iniziato a giocare. Aveva fiato, non aveva paura di niente, ma i piedi non erano eccezionali. "Recupera palla e passa subito il pallone al tuo compagno più vicino", gli aveva insegnato l'allenatore. Lui eseguiva e bene, tanto che tra tanti giocatori virtuosi quello che non usciva mai dal campo era lui. Dannarsi lì in mezzo, per lui era l'ultimo dei problemi. Sacrificarsi per i compagni, accettare i consigli dell'allenatore pure. Ché gliela doveva far vedere a suo padre, quello che gli aveva detto sei un ciccione, non farai mai il calciatore, quello che poi se ne era scappato e aveva lasciato lui, i suoi fratelli e sua madre ad andare avanti a stento. Quando lo chiamarono al San Paolo gli sembrò l'America. Un letto comodo, la tv, cibo quando voleva. A 14 anni, poi, l'epatite. Un anno fuori e dieci chili presi. Ci mise un po' a smaltirli. Quando ci riuscì arrivò il Real Madrid.

  

In Spagna arrivò a 20 anni nell'estate del 2012. L'aveva consigliato ai Blancos un osservatore. Quando scese a Madrid e lo portarono da Perez, lo guardò, lo salutò, poi chiamò in disparte i dirigenti. "Quattro milioni e mezzo per uno così? Voi rischiate il licenziamento". Casemiro si era presentato in sovrappeso a causa di alcuni problemi alla gamba. Gli risposero: "E' valido, va solo rimesso un po' a posto, ha già debuttato in Nazionale". Lo mandarono nella squadra B e non impressionò. Poi un anno in panchina, una dozzina di presenze, quasi sempre da subentrato. Infine il prestito al Porto. E lì Casemiro iniziò a far capire che gli osservatori non avevano visto male. Rafa Benitez lo rivolle al Real, ma il tecnico durò poco. Quando arrivò Zidane, il brasiliano si accomodò in panchina. In mezzo giocavano Kroos, Isco e Modrid, al massimo Kovacic. Per lui non c'era posto. O almeno così sembrava. Ma Zidane, che al Real era di casa e che Casemiro lo conosceva bene, aveva un piano: tenerlo fuori, farlo arrabbiare, renderlo uomo. E così contro il Levante, dopo 9 panchine e 20 minuti giocati soltanto, lo piazzò davanti alla difesa. Non uscì più dal campo.

  

"Combatte per la palla e aiuta i difensori centrali. Se la squadra attacca e si espone, c'è bisogno di un giocatore come Casemiro; aiuta a sostenere il sistema, perché il sistema è lui che lo manovra", ha detto l'ex allenatore del Real Madrid che dovrebbe ringraziare anche il suo successore sulla panchina delle Merengues, Julen Lopetegui, che lo ha allenato al Porto e che al Porto lo ha reso il giocatore che è oggi. "Gli piaceva vivere di notte, fare il calciatore da donne e motori. Insomma un luogo comune del calcio". L'allenatore lo ha ripreso, lo ha aiutato a diventare un professionista, lo ha spremuto di allenamenti supplementari per insegnargli cosa doveva fare con il pallone. "È stata una gioia allenarlo; ascolta, chiede un consiglio, lo accetta", ha detto al Guardian. "Il suo segreto è il desiderio di migliorare, la sua volontà di adattarsi. È il partner di tutti, li aiuta a sistemare le cose in campo. In Portogallo è cambiato, ha iniziato a fare le cose con criterio".

 

Fortunatamente per il Real e per la Nazionale brasiliana non ha più smesso.