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Da Boufal all'alieno Musk, fino alla Meloni: esempi di invincibili madri

Ginevra Leganza

Quante ne vediamo artefici del successo dei figli. Un potere poco in vista ma profondo

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Ragazze particolari che covano nidiate vincenti. Feconde e guerriere come Ishtar, buona e terrificante dea di Babilonia, nonché destinatarie d’un culto antichissimo: il culto del cocco di mamma. Guardatevi intorno. Capita spesso, infatti, che dietro uomini e donne di chiara fama, dietro moderni allori e macchine del successo, ci siano manovrieri di sesso femminile. Basta farci caso: è sufficiente guardare i social network. In questi giorni durissimi per noi nemiche del pallone, compare una foto che per un soffio non ci tocca il cuore. Giorni e settimane a ripetere Vade retro Qatar – inflessibili – per poi inciampare nell’immagine virale di Sofiane Boufal e di sua madre Zoubida. Mamma e figlio saltellano in campo per un Marocco che batte il Portogallo di Cristiano Ronaldo. Non che il balletto dei due ci abbia convinto a guardare la semifinale Marocco-Francia, sia chiaro. Eppure ci trascina nel paradiso ai piedi delle madri: in una morsa di tenerezza.

 

La storia è presto riassunta: un calciatore quasi trentenne, nato esattamente a Parigi da due marocchini, abbandonato dal padre e rimasto nel nido coi due fratelli, è allevato da una madre sola. Questa guerriera e la sua prole vivono ad Angers, dove la matriarca fa la domestica a ore. Zoubida si mette in moto ogni giorno. Ai piedi del più francese dei fiumi francesi. In quella valle della Loira fiabesca, cosparsa di castelli dai nomi sognanti: Chambord, Chenonceau… E’ qui che al piccolo principe franco-marocchino offrono un contratto che contrasta lo studio. Ed è ancora qui che la mater familias fa il grande passo: che è sempre un passo indietro dal talento di chi si ama. Zoubida non s’impunta come le nostre mamme. Non insiste, dunque, come quella che per farsi bella al paesello lo iscrive al liceo. E poi persiste con l’università per evitargli le mani in mano. Ed è lontana anni luce dalla madama che con la cultura spera di trattenerlo da droghe, devianze, aberrazione.

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Madre e figlio sono poveri, ma lucidi e risoluti com’è spesso la povertà. Così stringono un patto: una specie di voto o promessa d’onore. Entro diciotto mesi da quel patto, col gioco del calcio trasformato in lavoro, il figlio libererà la madre dal giogo della sua corvée. Al primo stipendio Boufal trattiene duecento euro e destina il resto a questa capotribù che non fa più la domestica ma amministra i suoi denari. E lo segue di squadra in squadra: a Lille, a Southampton, al Celta Vigo sino al ritorno ad Angers. Il ragazzo dalla doppia cittadinanza sceglie di giocare nella nazionale marocchina: come in un ritorno alla terra, che è sempre femmina e mai maschio. Per di più non si sposa e semina successo con la mamma al seguito. Gode i suoi frutti all’ombra della Grande Madre che come una potenza terragna gli propizia il campo perché segni un goal. Ma Boufal non è il solo.

 

Molti vincenti tirano in ballo la Magna Mater. E l’attualità scherza spesso con quest’archetipo. Guardate la donna che Forbes indica in settima posizione fra gli esemplari XX più potenti al mondo. E’ lei. La birbante della Garbatella. Quella che da un lettino in condivisione non ha sollevato il mondo, ma la “nazione” sì. Giorgia Meloni dormiva in un materasso risicato con la sorella Arianna. In quella casa coi nonni che – più della prima incendiata alla Camilluccia – era una fucina. Un focolare a carbone dove la mini Meloni s’infiammava e scaldava come un metallo. Forgiato da sua madre, Anna Paratore. Ginecocrate massima, cui la presidente deve ogni cosa. Anzitutto la vita, come scrive nell’autobiografia, perché donna Anna – per il rotto della cuffia – le risparmia un aborto. Ed ecco che il materno controllo della fecondità è il requisito primo del modello matriarcale. 

“Noi figli maschi non ne facciamo”, dichiara Giorgia underdog, oggi madre di una femmina. E speriamo sia ancora femmina la creatura di chi avanza su una fune. Di questo tipo di madre che per sostenere la prole supera lo spazio e la luce. Pur sapendo che l’altra faccia del successo non è che la distruzione. Esattamente come l’altra faccia del parto è un aborto.

 

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Donna Anna sembra quasi la “madre cosmica” negli appunti di Goethe, quella che fa “nascere e crescere, trasformare e distruggere”. Anna Paratore è in bilico. Ma poi opta per la nascita. E sembra fatta di tutt’altra pasta rispetto alle mamme dei maledetti. Quelle donne – spesso bellissime – nelle cui grazie nascono le angosce. Pensate alle creature tristi che conoscete. Oppure pensate a Pasolini. O magari a Proust. Due che se le madri fossero morte di parto la vita gli avrebbe sorriso. Ma la Grande Madre non ha capricci di grazia o bellezza. In capo alle sue fissazioni non ci sono skincare o beauty routine. Per crescere dei guerrieri bisogna imitare le dee semitiche o iraniche. Bisogna diventare una Ishtar, una Ashtart, una Nanaia. Bisogna porsi a metà tra fertilità universale e lotta contro il mondo. Occorre quindi emanciparsi da creme e acidi ialuronici per guidare i figli in guerra. Quali che siano i mezzi che il nostro tempo mette a disposizione.

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Ma si scenda adesso dalla fune. Si torni coi piedi per terra e s’accantonino le teorie, anche perché il mondo reale è sempre più bello e più vario di quello ideale. Ed è sempre carico di eccezioni, e dunque di grandi madri che curano sé stesse quanto la prole. Una dama tiene sottobraccio l’alieno burbanzoso venuto sulla Terra – lui sì – per sollevare il mondo. Elon l’impresentabile è figlio di una grande femme. Di una ninfa dai capelli bianchi. Un’alta vecchia magra elegante che l’accompagna quest’anno al Met Gala, immersa in vari giri di perle su velluto bordeaux. Maye Musk si fa largo ammanicata alla sua Lady Dior color panna. Come una ninfa, si diceva. Una Teti che ha preso il figlio per un tallone e l’ha calato nel fiume. Così Elon è diventato un mezzo-dio: il gigacapitalista sempre a un passo dal fallimento. Sul ciglio costante di una tragedia. L’imprevedibile ragazzone tira su il pollice e fa le smorfie come un bambino mentre la madre racconta di “Blastar” (così si chiamava il primo videogioco creato da Musk dodicenne). Questa volta sono al Saturday Night Live, dove si abbracciano e ricordano le battaglie di Elon contro gli alieni. E poi il conto in banca aperto da lei per sostenere i costi del suo baby nerd. Maye Musk è forte. Ma di una forza non forzuta (come quella di donna Anna). E’ un’anziana modella e dietista sudafricana, apparsa su Time e su Vogue, fra le donne più belle dell’Africa australe. Il suo nerbo non è di muscoli ma di soft power.

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Non è ctonia, non è terragna e non si sporca le mani. E’ la madre leggiadra che tiene il figlio maschio fra le spire dei velluti Dior. Fra i volteggi di un profumo che traspira dai pixel di una foto virale. La foto al Met Gala. Dove l’uomo più ricco al mondo sceglie di non sfilare con un’amica ma con mammà. Ci sono madri soft powerful che per i figli spostano pianeti. Macchine motrici in forza dell’haute couture: mamme che muovono cieli, navicelle, razzi aerospaziali. E poi ci sono mamme che forse non muovono niente ma commuovono. L’archivio sussurra: E forza Mamma / che è tempo di credere / E forza Mamma / che siamo tantissimi. Sarà che gli ultimi romantici col cuore zeppo di cimeli berlusconiani leggono proprio questo giornale. Ma che commozione e che tenerezza le foto in prua di mamma Rosa a sventolare la bandiera di Forza Italia. Era la campagna elettorale del 2000 quando salpava da Genova “Azzurra”, la nave della libertà. In quella primavera di vestiti alla marinara, lo scalpo di D’Alema seguì al trionfo delle regionali. Ma il tema vero, adesso, è un altro: è che sulla nave della libertà ci fosse una madre. O meglio, una beata in vita. Che durante l’imbarco fu accolta dall’inno emendato.

 

Inno alla vita: E forza Mamma / che è tempo di credere / E forza Mamma / che siamo tantissimi. Accidenti alla nostalgia. Accidenti a questo tempaccio senza navi e senza mamme e senza grandeur, con qualche pulmino o camperino e con parecchi pupetti in foto (scuola Ferragnez: l’istituto alti studi strategici e politici è a CityLife). Ed ecco che in politica, quella mamma – la mamma semper certa – è stata soppiantata da un feticcio: il figlio. Che per definizione è sempre un po’ frutto del caso. Ma questo dio-bambino non è innocente se traccia un cambio di paradigma. Se ci riscrive i connotati assiologici. Il figlio su Instagram segna infatti – e per paradosso – l’apice del cinismo. Vorrai mica prendertela col politico che torna a casa e, come diceva un Papa, carezza il bambinello? Non commenterai in malo modo l’innocenza spupazzata e sbattuta su Instagram (non se t’aggiri attorno al grado zero della civiltà). E se poi lo farai, beh, il bruto sarai tu (e giustamente). Mentre il piazzista di pargoli, no, bruto non sarà mai. Il bambinaio insultato è la vittima da soccorrere: prova che il vero comunicatore, oggi, più che empatizzare vuol essere “empatizzato”. Ma non divaghiamo e torniamo a Rosa Bossi Berlusconi, la segretaria di Pirelli che ha chiuso un’epoca. Mamma Rosa sigillava la nostra storia e il suo destino in forza di tre rosari al giorno: recitati apposta per lui. Di chiara ascendenza mariana, e meglio di chiunque, fu madre di misericordia e Avvocata sua. Come quando d’un Rutelli in corsa per Palazzo Chigi ebbe a dire: “Un cretin. Se met lì cume se fuss un concorso di bellezza”. Provando quant’è vero: la madre d’un maschio è più facile riconosca del figlio i difetti spirituali che non estetici. Alla madre d’un maschio non puoi toccare lo scarafone suo. E così fra le madri cosmiche, fertili e guerriere, accanto alle ninfe e alle Ishtar, c’è lei. La nostra preferita. Mamma-trattino-Rosa fra le parole Silvio-Mio. Un trattino come un apostrofo. Per la sua santa in terra e mamma angelicata. Trait d’union fra Cav. e Dio.

 

Ma in questi anni l’inno alla vita è diventato un requiem-hip hop. Kanye West ha dedicato l’anno scorso un album alla mamma, Donda, morta nel 2007. Imprescindibile nell’ascesa. Insopportabile nell’assenza, “più acuta presenza”. Kanye fu il menestrello di Donald Trump. Quasi più impresentabile di The Donald e certamente più di Elon Musk. Oggi che persino l’ex presidente prende le distanze da West (“un uomo seriamente disturbato a cui è capitato di essere nero”) per la sua libertà di parola contro quasi ogni forma di vita, non gli resta che lei. Sia assente o presente, un po’ per tutti, vincenti o dolenti cristi, resta solo la mamma. Soprattutto quando detesti il mondo e il mondo ti detesta. Resta solo quell’anima da evocare, come nella prima traccia dell’album, che per ben cinquanta secondi ripete: Donda, Donda, Donda… Lo spirito dei morti veglia. La momanager – come si chiamano le mamme-agenti dei figli e com’era Donda West – non se n’è mai andata. 

E in questo mondo c’è poi chi ce l’ha messa tutta per scucirsi dalla sottana materna. E con la buona volontà ha cercato, fra le donne, una luminosa più della madre. Pensate a DiCaprio. E pensate a tutti gli angeli di Victoria’s Secret. A tutti gli arcangeli d’Hollywood. Quasi sempre biondi, e sempre di gentilissimo aspetto. Ma cos’hanno potuto le Gisele Bündchen, le Bar Refaeli, le Blake Lively? S’è dissolta nell’aria anche la ventenne Camila Morrone. Perché in quella notte degli Oscar, finalmente acciuffato per The Revenant, fu tutto merito suo. Merito di frau Irmelin, la madre russo-tedesca che lo tirò su quasi sola. Ed eccola. Tra le bambine bionde, con gli anellini alle orecchie, tra le tante spose che partoriranno uomini grossi come alberi, anche lei, mamma DiCaprio, col suo uomo di carne dura e solida come legno trionfante sotto i riflettori.

Son tutte belle le mamme del mondo e figurarsi se non sono bellissime sotto al palco dei Bafta. Belle e potenti. Artefici sempre dello speciale destino degli uomini speciali. “Lei è l’unica ragione per cui sono in grado di fare quello che faccio”. Leonardo DiCaprio: famiglia monogenitoriale in un monolocale a Los Angeles. Ma con una mamma bella, potente e complice, anche un monolocale di periferia può diventare officina di un successo mondiale.

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