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Il castigo di San Valentino?

Simonetta Sciandivasci

Dolcetti, bacetti, corpetti: sì, era tutto diventato insopportabile. Ma quest’anno gli innamorati, minoranza perseguitata della pandemia, possono concederselo. Insieme all’ultimo Avati e a una canzone di Sanremo

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Ti tocca il pranzo di San Valentino, sii felice. Che domenica bestiale. Accoppiata, scoppiata, congiunta, disgiunta, poligiunta che tu sia, hai ricevuto il temibile ma agognato invito, quello che nella vita precedente, quando si stava peggio ma almeno non c’era il virus, avresti deriso pubblicamente e benedetto privatamente, dentro di te, lì dove il mascara non cola e i tuoi sogni proibiti erano ancora culturalmente condizionati, funzionali all’istanza patriarcale, lì dove davi piena ragione e anche pieni poteri a Matilde Serao e Irene Brin, quando dicevano una che il femminismo le piaceva ma lo trovava impraticabile poiché non esisteva donna che in cuor suo non desiderasse darsi del tutto a un uomo, e l’altra che non conosceva donna che non sognasse il matrimonio, incluse le vedove. E adesso? Sono ben altri e ben diversi i tuoi dissidi. Non conta tanto che in te s’agiti Kamala Harris, una che fa la vicepresidente degli Stati Uniti e nonostante questo tiene famiglia e l’uomo suo non è nemmeno uno stronzo che perde la testa e il tavolino per una stagista, e no, è uno che si fa chiamare Second Gentleman su Twitter, così che sia chiaro al mondo intero che la numero uno è lei, non lui. Il tuo inconscio è adesso più spiccio, rozzo, ha sogni e immaginario antecedenti al contratto sociale quindi anche al patriarcato, desidera sopravvivere e soddisfare gli istinti, due in particolare: accoppiarsi e scappare, semplicemente e senza condizioni. O almeno così è stato nel primo semestre dell’anno pandemico. E adesso?

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Ti tocca il pranzo di San Valentino, sii felice. Che domenica bestiale. Accoppiata, scoppiata, congiunta, disgiunta, poligiunta che tu sia, hai ricevuto il temibile ma agognato invito, quello che nella vita precedente, quando si stava peggio ma almeno non c’era il virus, avresti deriso pubblicamente e benedetto privatamente, dentro di te, lì dove il mascara non cola e i tuoi sogni proibiti erano ancora culturalmente condizionati, funzionali all’istanza patriarcale, lì dove davi piena ragione e anche pieni poteri a Matilde Serao e Irene Brin, quando dicevano una che il femminismo le piaceva ma lo trovava impraticabile poiché non esisteva donna che in cuor suo non desiderasse darsi del tutto a un uomo, e l’altra che non conosceva donna che non sognasse il matrimonio, incluse le vedove. E adesso? Sono ben altri e ben diversi i tuoi dissidi. Non conta tanto che in te s’agiti Kamala Harris, una che fa la vicepresidente degli Stati Uniti e nonostante questo tiene famiglia e l’uomo suo non è nemmeno uno stronzo che perde la testa e il tavolino per una stagista, e no, è uno che si fa chiamare Second Gentleman su Twitter, così che sia chiaro al mondo intero che la numero uno è lei, non lui. Il tuo inconscio è adesso più spiccio, rozzo, ha sogni e immaginario antecedenti al contratto sociale quindi anche al patriarcato, desidera sopravvivere e soddisfare gli istinti, due in particolare: accoppiarsi e scappare, semplicemente e senza condizioni. O almeno così è stato nel primo semestre dell’anno pandemico. E adesso?

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La ragione per la quale hai risposto sì, certo, quando lui, lei, loro (perché sei anche poliamorosa, la vita è troppo lunga per amare una volta sola, considerato che l’amore dura quanto un governo italiano), la ragione per cui hai creduto d’avere non solo la fortuna ma pure il dovere di festeggiare San Valentino, che come dice Barbara Alberti è l’anniversario di una strage, è prima di tutto politica: gli innamorati (quelli che amano davvero, i miracolosi signori Harris e gli adulteri, quelli che non si sciupano mai poiché mai condividono gli oneri della lavatrice) sono la minoranza perseguitata di questa pandemia. E’ giusto festeggiare pro domo loro, piccoli poveri cuori funestati, divisi, inibiti, incatenati da dpcm, indice dei contagi, distanziamento sociale, trasparenza, tracciamento. I dolcetti, i bacetti, i fioretti, i corpetti e tutto l’insopportabile, mieloso immaginario del 14 febbraio, fino all’anno scorso paccottiglia cheap per ipocriti, è ora dettaglio sopportabile in vista di un più nobile fine, oltre che collante sociale, poiché tutti hanno addosso dodici mesi di plumbeo rigore del quale sono stufi perfino gli Scrooge e allora ben vengano vassoi glitterati, cornici a forma di anello o di flut, cuoricini di cioccolata. Ben vengano persino i bigliettini dei Baci Perugina, quest’anno affidati ai Pinguini Tattici Nucleari, quelli che l’anno scorso a Sanremo cantavano: “Gli amici ormai si sposano alla mia età e io mi incazzo se non indovino all’Eredità” e adesso, pentiti come tutti, finiscono a incartare leccornie di saggezze amorose.

 

Che torsione. Che colpo di teatro. Che agnizione. E’ anche la tua agnizione? E’ questo che la pandemia ti ha fatto? Ti ha ridotta a una spasimante mielosa allupata romantica? Ti ha convinta che l’amore muove il sole e le altre stelle? E’ per questo che hai detto un sì entusiasta al tuo affine fuori regione, che per te attraverserà gli Appennini, con in tasca una certificazione lavorativa un po’ farlocca e un po’ no, del resto come è ogni corteggiamento, e ha avuto anche l’accortezza di farsi un tampone prima di partire per il lungo viaggio, inviandoti foto del risultato, con una croce a forma di cuore su “Negativo” e tu lo hai trovato struggente, anche se avresti preferito che ti dimostrasse più piglio e più guizzo e ti mandasse un selfie con tampone, un po’ simile al selfie con siringa del ministro francese della salute, scamiciato e bellissimo e sorridente e sano e immune o meglio immunizzato. No. Sii onesta. Hai detto sì perché non vuoi morire sola. Perché ci sei cascata. Perché il virus ti ha ricordato che sei mortale, vivi circondata da esseri che vanno sulla luna e scrivono “Infinite Jest” e scalano il Nanga Parbat ma da un anno muoiono soffocati da un esserino invisibile. Non è vero che ti sono mancati gli abbracci, i baci, il marito, il figlio, la sacra famiglia, il sesso, l’amante uno e due e tre e sette. E’ stato vero forse soltanto all’inizio, a marzo e aprile, quando uscire di casa proprio non si poteva e allora ti mancavano i tuoi diversivi, ti mancava persino l’ufficio e figurarti se non ti mancava l’innamorato; ti mancava il traffico e figurarti se non ti mancava il solito sesso. Ora no, ora stai bene, sei sopravvissuta al Natale, lo hai trascorso mangiando Häagen-Dazs e frutta secca davanti a un vecchio film, come Kevin di “Mamma ho perso l’aereo”, e per fare gli auguri agli zii perfidi che hanno negli occhi una bilancia e un contacalorie con i quali ti monitorano, non hai dovuto prendere la macchina ma fare una velocissima telefonata di pochi minuti, fingendo contrizione e dispiacere e meravigliandoti poi, a Santo Stefano, di quanto sia stato facile rinunciare alla famiglia nel giorno della famiglia santa. Stai bene ed è questo che ti terrorizza. Sei una stronza sociopatica? Sei un abominevole lupo solitario? Sì, lo sei. E siccome questo fatto ti sconcerta, vuoi rimuoverlo, annegarlo, tacitarlo in un oceano di coccole, peluche, lettere, canzoni e vino – speri che quello là abbia almeno il buongusto di portartene un paio di bottiglie di quello piemontese di cui è esperto lui e che tu non trovi da nessuna parte, nemmeno nel dark web.

 

Il New York Times ha scritto che quest’anno a San Valentino bisogna portare un regalino a tutti, perché siamo tutti più soli e spaventati e ingrigiti e abbiamo il dovere di rinfocolare e accendere le passioni, amicali, sessuali, professionali che siano – gentile NYT, scusi, ma cosa crede, che sono la Befana, ma come si permette, si ricomponga, per favore, ché a forza di epurare i non allineati alle sensibilità di Twitter rischia di diventare più ameno che interessante.

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Tu l’anno scorso dov’eri, a San Valentino? Neanche te lo ricordi. Che schifo. Ma di certo non avevi portato una torta alla tua migliore amica, di certo non avevi spedito una lettera al tuo ex, né un messaggio al tuo post. Avevi la tinta fresca e cinque chili di meno, questo è certo, perché vivere era andare a caccia senza mai farsi predare, e ci tenevi a essere all’altezza dell’impeccabilità necessaria per mantenere ferma quella non reciprocità. L’ultimo San Valentino pre pandemico lo hai trascorso come fosse un giorno qualsiasi, ma hai raccomandato a tuo padre di comprare i fiori per tua madre, e lo hai fatto solo perché lui ti rispondesse: già fatto. Come in quella splendida storiella del signore ebreo che, dopo la guerra, andava tutti i giorni a chiedere all’edicolante un giornale nazista che aveva cessato le pubblicazioni, per il semplice piacere di sentirsi rispondere: non è più in vendita, ha chiuso. E’ bello l’amore dei tuoi genitori. Ammiri tua madre perché in 64 anni di vita ha baciato soltanto tuo padre, ma sei contenta di avere la metà dei suoi anni e di aver perso il conto di quanti uomini, donne, X hai baciato. Hai pianto dall’inizio alla fine quando hai visto l’ultimo film di Pupi Avati, “Lei mi parla ancora”: hai pianto quando Renato Pozzetto chiama Stefania Sandrelli in ospedale e dice al medico di dirle di stare tranquilla e di non avere paura, perché lei ha paura proprio quando sembra che non ne abbia, lui la conosce; hai pianto quando lui ha continuato a parlare con lei sebbene lei fosse morta; hai pianto quando lui ha detto al ghost writer: “Come può lei scrivere la mia storia, se non è stato in grado di custodire la sua”, immedesimandoti purtroppo nel ghost writer, il cui matrimonio è durato pochi anni, mentre quello di Pozzetto e Sandrelli è durato più di mezzo secolo.

 

E quando è finito il film hai pensato al tuo congiunto fuori regione, al tuo innamorato di quartiere, al tuo ex marito, al tuo amante, e incredibilmente non ti è dispiaciuto che la tua storia con ciascuno di loro non sia che quel rumore inestinguibile di cui ha cantato Diodato, precisamente l’anno scorso, nella canzone con cui ha vinto il festival di Sanremo perché non poteva che vincerlo lui, perché ci aveva azzeccato: aveva detto che l’amore finisce ma non smette, che le persone che hai amato continuano a ronzare, a disturbarti, a volte a dilaniarti nel bel mezzo di un gelido pomeriggio di clausura, mentre videochiami un altro, che pure ami. Diodato e Avati stanno alle estremità temporali dell’anno che ha stravolto tutto, vengono da due generazioni diverse, e hanno entrambi raccontato che dell’amore non ci si libera, che il per sempre esiste, dura davvero per sempre, in forma di passione o tormento, di cominciamento o di fine. Tua madre e tuo padre si sono amati come Sandrelli e Pozzetto nel film, e tu fai i conti col rumore che fanno i tuoi ex, hai un corridoio pieno di fantasmi che emettono un rumore struggente e bellissimo al quale non hai mai voluto davvero rinunciare finché non è arrivata la pandemia a fare di te un essere umano dozzinale, primordiale, terrorizzato, perduto.

 

Cosa ti ha commosso delle storie d’amore che hai visto in questi mesi in tv, ai tg? La morte. Non l’amore. La morte. Migliaia di mariti e mogli non hanno potuto tenersi la mano mentre lasciavano questo mondo, che poi è il fine ultimo di tutti i matrimoni: non lasciare l’altro solo nel momento più importante e sommo della vita, la sua fine. E’ per questo che domenica festeggi con uno che ami e che però mai e poi mai terresti in casa per più di 48 ore. E’ per questo che hai pianto guardando Pupi Avati, perché hai capito che la storia prima di te è stata fatta da persone che sono state capaci di dividere la propria vita in parti uguali insieme a un altro, ma hai capito pure che quella cosa non fa per te e che sollievo è stato capirlo, un sollievo che è durato fino a quando, giovedì, non ti è arrivato un messaggio che ti diceva: ho fatto il tampone e vengo, vengo da te.

 

E dal sollievo sei passata alla pazza gioia, ma poi dalla pazza gioia sei passata a un non sai cosa, un languorino, un dispiacere per una domenica di febbraio che avresti volentieri trascorso come hai trascorso il Natale, ma per colpa del NYT e del fatto che si muore e del fatto che Draghi ama la stessa donna da quando aveva 19 anni e Navalny prima di andare in galera ha disegnato un cuore su un vetro per sua moglie, guardandola negli occhi come se lei fosse nuda e lui non fosse in manette, per colpa di Pupi Avati e dell’importanza delle illusioni, che serviranno a rialzare questo paese e questo mondo assai più delle concretezze, che per adesso non sono altro che dati sconfortanti, per colpa dell’animale che ti porti dentro e che sei e quindi dell’istinto sessuale che però puoi appagare solo in regime di sicurezza e quindi non con un estraneo, per colpa di tutto questo, tu, questo San Valentino lo festeggerai con una cofana di boccoli in testa, a pranzo fuori, seduta davanti a un onesto individuo come te terrorizzato dalla paura di morire solo e che spera, dopo il dessert, che tu gli dica: devo andare a lavorare. E così sarete liberi, ma avrete vidimato questa scemenza, avrete perpetrato quest’illusione, perché a Pupi Avati riconoscete tutto, incluso che ha completamente ragione quando dice che bisogna saper sognare soprattutto quando si sa come va a finire. Male, naturalmente.

 

 

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