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Per un pugno di follow

Rissa, video, social, hype e alla fine nuovi follower: unica vera merce di scambio, perché dal numero di seguaci si misura tutto

Roberta Benvenuto
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“Ce stamo ar monno” è la scritta che campeggia nel mezzo della storia su Instagram che F. mostra alla telecamera. Si vedono i suoi amici corsi a difenderlo durante la maxi rissa del 5 dicembre 2020 sulla terrazza del Pincio a Roma. Quasi una dichiarazione generazionale o forse una richiesta: ci siamo, siamo qui. Dal pomeriggio di quel 5 dicembre F. sta per felpa bianca, “ormai è il mio segno di riconoscimento” dice chiedendo di restare anonimo, mentre raggiunge il punto esatto del belvedere dove è iniziata la prima lite. “Ho visto tanti ragazzi, una folla gigantesca vicino a quell’albero, cercavano un ragazzino di 14 anni”, racconta. Lui, da poco 18enne, si è messo in mezzo dandogli così una via di fuga. Un ragazzo con la tuta rossa, parte del gruppo che aveva preso di punta il 14enne per una vecchia questione, “mi dà un pugno da dietro. In quel momento io mi difendo”. Da qui la rissa. Diventata virale in brevissimo tempo per la centinaia di persone (e dunque di cellulari e di video) raggruppate nonostante il Covid, per la falsa notizia della morte di un ragazzo, per un’altra scazzottata sotto la metro Flaminio, e perché le risse vanno. Tantissimo. 

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Prima di capire perché, i fatti: due ragazze si danno appuntamento per una resa dei conti tramite una delle tante pagine Instagram di “gossip, risse, fidanzamenti, tutto ciò che succede a Roma”. A quanto pare, una messa in scena a favore di cellulari, saltata perché una delle due non si presenta. Ma il tam tam di storie su Instagram, crea da una parte un’aspettativa e dall’altra una folla di ragazzi tra i 13 e i 18 anni, curiosi e un po’ annoiati. D'altronde è sabato pomeriggio e non hanno nulla da fare - ripetono - le scuole per loro sono chiuse, come le palestre. Così si celebra il vecchio rito della periferia che invade il centro. I ragazzi coinvolti, compresi i quattro minorenni che andranno a processo, chi per lesioni chi per percosse, vengono tutti da laggiù: Primavalle, Torre Spaccata, Torre Maura, Ponte di Nona, Cinecittà. “Un modo per ribadire una presenza altrimenti invisibilizzata per chi sta fuori dal nucleo della città”, dice Valerio Mattioli autore di Remoria, la città invertita (Minimum Fax, 2019). E il cuore della Capitale, il centro-vetrina, ormai vuoto di turisti diventa facile da conquistare.

    

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A spiegare qual è il meccanismo che ha portato alla rissa sul Pincio è un gruppo di cantanti e influencer romani formato da Kayler, oltre 63mila follower su Instagram, Elia17baby, 75mila follower, Gabriel Moriconi, 9mila, Elmatadormc7 & Lil dig, 11mila, Magodave oltre 20mila. “Non c’è una spiegazione più semplice - dice il primo in romanesco -  pe’ attira’ l’attenzione. Perché tutto questo genera una serie di canali di gossip che ti pubblicano sui loro canali e generano traffico”. E soprattutto fama e follower. A partire dall’esempio dei tanti trapper e personaggi famosi in rete che sono saliti alla ribalta proprio con questa leva. 

    

A volte le risse sono “fake” - dicono - ovvero organizzate per poi essere inviate ai profili di gossip che taggano i giovani autori rendendoli popolari almeno per un giorno, il tempo di una storia. Altre volte, come per quella del 5 dicembre, sono la fenomenologia di una moda, di una posa, della ricerca di hype. E quel pomeriggio, probabilmente, il palcoscenico era troppo grande per lasciarsi sfuggire l’occasione di un tag dalla page giusta di risse. Per riassumere: rissa, video, social, hype, follower. L’unica vera merce di scambio, perché dal numero di seguaci si misura tutto. E dai dati statistici di Instagram dipendono eventuali sponsorizzazioni che per Elia17baby, ad esempio, valgono anche fino a 2mila euro al mese, nonostante si sia affacciato da poco a questo mondo. “Da circa 8 mesi, per una rissa di cui sono stato vittima”, sottolinea il cantante. 

    

Il primo ad aver sperimentato questo meccanismo è Ayoub, su Instragram Badayub, oltre 17mila follower. Ha 22 anni, origini egiziane, qualche reato alla spalle, e da pochi mesi si è messo a fare musica trap-drill (testi violenti, uso di auto-tune) con la gang di Monteverde. Ma la “spinta”- come lui la definisce - è di qualche anno fa. Nel 2017 viene ripreso mentre litiga con Side, cantante che al tempo parte della Dark Polo Gang. Il video diventa virale e il suo profilo inizia a macinare follow. I ragazzi lo fermavano per strada, gli chiedevano un selfie: “Io prima non ne avevo bisogno, facevo altro. Dicevo ma che vuoi a frate’ perché ti devi fare la foto con me?”. Adesso però vuole “anna up”, letteralmente “andare su”, arrivare, diventare famoso. E sulla rissa che lo ha reso celebre per un po’, dice: “Abbiamo fatto pace ma ora voglio creare il mio pubblico, la mia strada musicale, non con una rissa… magari quello ti dà uno slancio, ti tira, però tu devi continuare”.

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In quel magari c’è tutta la contraddizione di un meccanismo così oleato, così afferrabile, che non riesce a smentire se stesso. Nonostante si tratti pur sempre di violenza e di possibili denunce. “Se non fosse intervenuto il ragazzo con la felpa bianca, avrei potuto perdere mio figlio”, ammette il padre del 14enne che ha riportato una frattura del naso e 30 giorni di prognosi e che da allora non esce più di casa. Sembra un’esagerazione, in fondo sono ragazzi, le liti ci sono sempre state. Ma lui cupo ricorda che solo qualche mese fa abbiamo pianto Willy Monteiro Duarte ucciso il 6 settembre 2020 a Colleferro, durante una lite in cui aveva difeso un ex compagno di scuola. Una possibilità, un brivido di consapevolezza che ha portato il padre del 14enne a razionare l’uso del cellulare. Perché i social, i video, la viralità, “sono sopra di lui che alla fine è solo un ragazzino”. 

 

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