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Tre passi da fare per un ritorno graduale alla nuova normalità

Claudio Cerasa

Considereremo normali alcune delle misure che fanno parte di questa stagione di clausura. Adegueremo i cambiamenti alle fasce d’età. Assisteremo a una rivoluzione nel mondo del lavoro. Senza fretta, ma non facciamoci trovare impreparati

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Una serie di professori proveniente da diverse università italiane sabato scorso ha firmato un appello per chiedere alla classe dirigente italiana non di rivedere urgentemente il lockdown ma di prepararsi urgentemente a ragionare su quella che sarà una fase importante della nostra vita: il passaggio tra la fine dell’emergenza e il ritorno alla normalità.

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Una serie di professori proveniente da diverse università italiane sabato scorso ha firmato un appello per chiedere alla classe dirigente italiana non di rivedere urgentemente il lockdown ma di prepararsi urgentemente a ragionare su quella che sarà una fase importante della nostra vita: il passaggio tra la fine dell’emergenza e il ritorno alla normalità.

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Nessuno di noi può sapere oggi quando l’emergenza in Italia sarà finita e ragionare sul domani in modo astratto, senza avere prove certe che possano testimoniare l’uscita dal tunnel, rischia di essere uno sterile esercizio retorico. Ma nonostante questo, per ragionare sulla zona grigia che separa lo stato in cui ci troviamo oggi con lo stato in cui ci troveremo domani, è utile leggere alcune righe dell’appello.

 

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Non è pensabile tenere bloccato un paese ancora per diversi mesi, avrebbe conseguenze economiche e sociali devastanti. Per rimettere in moto la nazione, evitando il riaccendersi virulento della pandemia, occorre una politica simile a quella coreana. Occorrono pertanto tamponi e test sierologici generalizzati per quelle categorie professionali che operano a contatto con i pazienti ovvero che hanno più contatti con il pubblico. Inoltre tamponi e test sierologici per tutti coloro che manifestano sintomi e da questi allargamento a raggio dei tamponi e dei test, coinvolgendo cioè parenti e persone incontrate negli ultimi giorni. Le app di tracciamento sono sotto questo profilo decisive, è dunque necessario l’avvio di una politica di geolocalizzazione che deroghi temporaneamente alle norme sulla privacy. Infine obbligo delle mascherine per chi frequenta luoghi pubblici dove non si possono mantenere distanze opportune: uffici, mezzi di trasporto etc. Occorre altresì prevedere forme di isolamento e monitoraggio con adeguata quarantena dei positivi per evitare il contagio dei conviventi e dei loro contatti stretti”.

 

Ci sarà tempo per giudicare la fattibilità di queste proposte ma ci sono due punti fermi che meriterebbero di essere analizzati con cura per prepararci al dopo. Primo punto: è difficile immaginare che un paese come l’Italia, e come qualsiasi altro paese industrializzato, possa sostenere un lockdown che duri diversi mesi. Lo si può fare, tecnicamente, ma prolungare per troppo tempo la chiusura totale rischia di essere una cura pericolosa e la desertificazione industriale di una potenza industriale potrebbe essere un costo difficile da sostenere. Possiamo dire che le sei settimane di lockdown della Cina sono un riferimento troppo ottimistico ma è credibile pensare che tra l’ottava e la decima settimana – quando i posti in terapia intensiva saranno maggiori rispetto a oggi e quando se tutto andrà per il verso giusto il numero di contagi nuovi potrebbe avvicinarsi allo zero – ci sia un graduale ritorno non alla normalità ma alla nuova normalità.

 

E dunque il punto da definire oggi è tutto qui: che cosa bisogna intendere per nuova normalità? La nuova normalità – in cui si spera che la diffusione del virus sarà tenuta sotto controllo con un grande numero di test privati, con un efficace isolamento dei soggetti positivi e con il loro tracciamento attraverso la geolocalizzazione – sarà una fase caratterizzata da tre fenomeni sui quali vale già la pena ragionare. Ci sarà un primo fenomeno che riguarderà la nostra nuova socialità e piano piano impareremo a considerare normali alcune delle misure di prevenzione che oggi fanno parte della nostra stagione in clausura: la distanza con gli altri, le mascherine, l’igiene delle mani, la promozione dello smart working, il distanziamento dei tavoli nei ristoranti, la misurazione della febbre nei supermercati e sui mezzi di trasporto, la chiusura forse inevitabile per chissà quanto tempo dei luoghi affollati, come lo stadio, come il cinema, come purtroppo i teatri.

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Ci sarà poi un secondo fenomeno che riguarderà il ritorno graduale alla nuova normalità e l’opzione israeliana del ritorno alla vita quasi normale per fasce d’età dovrebbe essere una strada tutt’altro che tabù: le fasce d’età statisticamente più vulnerabili dovranno aspettare più delle altre per tornare alla vita normale e chi tornerà prima degli altri a una vita simile a quella precedente alla pandemia dovrà necessariamente considerare una forma di distanziamento sociale anche con i propri genitori. Ci sarà un terzo fenomeno poi che riguarderà la rivoluzione del lavoro e così come dopo l’Undici settembre il mondo intero, come ha scritto la scorsa settimana sull’Atlantic lo staff writer Ed Yong, si è concentrato sull’antiterrorismo è verosimile che l’attenzione degli stati si sposterà quasi interamente sul futuro della salute pubblica, con tutto ciò che questo può significare per il lavoro del domani, ed è verosimile che l’attenzione delle aziende e delle industrie si andrà a concentrare anche sui nostri nuovi stili di vita e inevitabilmente ci saranno mestieri che avranno un appeal e un’offerta diversa rispetto a quella di oggi (pensiamo alla grande distribuzione organizzata, ai magazzinieri, agli addetti al trasporto, ai gestori dell’e-commerce, a tutti i prodotti legati alla casa, dove tutti staremo di più, e alla pulizia, di cui non potremo più fare a meno).

 

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In questo momento, ha detto sabato scorso Roberto Burioni, la situazione è ancora talmente grave da rendere irrealistico qualunque progetto di riapertura a breve. Ma dobbiamo cominciare a pensare a una ripresa delle nostre vite, non possiamo pensare di rimanere in casa per sempre. Immaginare come cambierà la nostra vita quando tutto finirà è complicato da dire perché, fino a che non ci sarà un vaccino, è complicato immaginare quando tutto finirà. Ma immaginare che tra non molte settimane la vita debba in qualche modo ricominciare non è un’eresia e per questo tutti dovrebbero cominciare non a pensare al domani ma a pensare al durante. Senza fretta di ripartire. Ma senza farsi trovare impreparati. Forza e coraggio.

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